— Cosa c’è che non va? Lei scuote la testa.
— Katya?
— Niente. Ti prego.
— Cosa c’è?
In tono risentito, la faccia premuta contro il cuscino, lei risponde: — Ho paura per te.
— Paura? Perché? Per che cosa?
Lei lo guarda e scuote nuovamente la testa. Serra le labbra. Improvvisamente la sua bocca non sembra affatto selvaggia. È la bocca di un bimbo. Katya ha paura.
— Katya?
— Ti prego, Shadrach.
— Non capisco.
Katya tace. Scuote la testa.
Passa più di una settimana prima che Shadrach riveda Nikki Crowfoot. Nikki sostiene di essere molto occupata al laboratorio: problemi di ricalibrazione, aggiustamenti compensativi che si sono resi necessari nel sistema di trapianto della personalità dell’Avatar, ora che il donatore non è più Mangu. È troppo stanca quindi, alla fine della giornata, per aver voglia di compagnia. Ma Shadrach sospetta che lei lo stia evitando. Crowfoot è sempre stata tanto più orientata alla vita sociale quanto più il lavoro la soffocava: è il suo modo di evadere dalla pressione. Shadrach non riesce a immaginare che motivo potrebbe avere per volerlo evitare. Sicuramente non è per la notte che ha passato con Katya Lindman. Era già stato a letto con Lindman, e con altre donne; anche Crowfoot ha avuto altri partner; cose del genere non hanno mai avuto importanza tra loro. Shadrach è perplesso. Quando parlano al telefono Nikki è guardinga e distante. È fuor di ogni dubbio che qualcosa sia andato storto nel loro rapporto, ma Shadrach non ha ipotesi su cosa precisamente sia stato.
Una nuova crisi con Gengis Mao lo distrae brevemente da queste faccende. Negli ultimi giorni, il Khan si è alzato regolarmente dal letto per lavorare in studio, per visitare il Vettore di Sorveglianza Uno, per dirigere le attività del Comitato dalla stanza del quartier generale. La sua convalescenza procedeva così liscia che non pareva esservi motivo di limitare i suoi movimenti. Ma ora gli impianti di percezione del dottor Mordecai ricevono i primi segnali di qualche problema: pulsazioni epigastriche, un debole soffio sistolico, un affaticamento generale della circolazione. Troppa attività, e troppo presto? Shadrach si reca allo studio del Presidente per discutere la questione. Gengis Mao però, ancora preso dai suoi monumenti a Mangu e dalle sue retate di assassini, non ha voglia di conferire col suo medico, non vuole discutere di sintomi. Accantona le domande di Shadrach, dichiarando bruscamente che non si è mai sentito meglio. Poi torna alla sua scrivania. Gli arresti, confida gonfio d’orgoglio a Mordecai, sono ormai arrivati a duecentottantadue. Di queste persone, novantasette sono state dichiarate colpevoli e mandate al vivaio di organi.
— Presto — dice il Khan — i polmoni e i reni e gli intestini di questi criminali serviranno ad allungare la vita di membri leali del governo. Non c’è una giustizia poetica in questo? Tutte le cose sono centripete, Shadrach. Tutti gli estremi opposti vengono riconciliati.
— Duecentottantadue cospiratori? — domanda Shadrach. — Ce ne sono voluti così tanti per spingere un uomo giù da una finestra?
— E chi lo sa? Per il delitto vero e proprio forse non sono stati necessari più di due o tre sicari. Ma dev’essere stata necessaria una grande rete di compiici nella congiura. Hanno dovuto modificare dei congegni di sicurezza, distrarre delle guardie, mettere fuori uso delle videocamere. Riteniamo che potrebbe essere stata necessaria una dozzina di cospiratori semplicemente per far sparire i corpi degli assassini dalla piazza, dopo il salto.
— Per fare cosa?
Gengis Mao si produce in un sorriso condiscendente. — Riteniamo — dice — che gli assassini, dopo aver gettato Mangu dalla finestra, siano saltati deliberatamente dalla stessa finestra per evitare di essere catturati all’interno dell’edificio. Dei complici appostati nella piazza hanno raccolto immediatamente i loro corpi e sono fuggiti portandoseli via, mentre altri ancora provvedevano a cancellare dal terreno ogni segno di quelle morti.
Lo sguardo di Shadrach è fisso nel vuoto. — Signore, Horthy ha visto cadere un solo uomo.
— Horthy non è rimasto nella piazza a osservare gli sviluppi ulteriori.
— Ma in ogni caso…
— Se gli assassini di Mangu non l’hanno seguito per la stessa strada — dice il Khan, gli occhi lucenti della lucentezza della ragione trionfante — cosa ne è stato di loro? Dopo il delitto, nella Torre non si è trovata nessuna persona sospetta. — Shadrach non è in grado di trovare una replica adeguata a tutto questo. Qualunque commento facesse, sospetta, non riuscirebbe a essere costruttivo. Dopo una pausa si schiarisce la gola e riprende: — Signore, se potessimo parlare un attimo della sua salute…
— Gliel’ho detto. Sto benissimo.
— I sintomi che sto cominciando a percepire sono piuttosto preoccupanti, signore.
— Sintomi di cosa? — si informa Gengis Mao.
Shadrach sospetta che il Khan stia sviluppando un aneurisma dell’aorta addominale; un cedimento nella parete del grande condotto che diffonde sangue proveniente dal cuore. Chiede a Gengis Mao se ha avvertito qualche fastidio insolito, e il Presidente confessa, con riluttanza, recenti dolori acuti alla schiena e ai fianchi. Il dottor Mordecai evita di sottolineare come questo contraddica ciò che Gengis Mao diceva a proposito della propria buona salute; ma l’ammissione concede effettivamente una posizione di vantaggio a Shadrach, che ordina al Presidente di tornare a letto a riposare.
Spiando attraverso l’occhio di una sonda in fibra che si estende nell’aorta attraverso un catetere, Shadrach conferma la diagnosi. È stata la recente operazione al fegato, forse, a rilasciare degli emboli nella circolazione sanguigna del Presidente, e uno di questi è riuscito in qualche modo a risalire la corrente nell’arteria, installandosi nell’aorta addominale e causando infezione. O forse non è andata così, ma in ogni caso sta prendendo forma un tumore, e sarà necessaria un’altra operazione. Se si trattasse di chiunque altro, i rischi di un’operazione a così poca distanza dal trapianto di un organo importante potrebbero addirittura superare i rischi del permettere a un aneurisma di espandersi. Ma Shadrach è diventato sorprendentemente rilassato, quanto ad affidare il suo venerabile paziente alle cure del bisturi. Il corpo ben resistente di Gengis Mao è stato aperto così tante volte da accettare ormai le operazioni di chirurgia come il proprio stato naturale. E poi, l’aneurisma non è così distante dal fegato, quindi Warhaftig sarà in grado di farsi strada attraverso l’incisione recente, che sta cominciando a rimarginarsi solo ora.
La notizia infastidisce Gengis Mao. — Non ho tempo per un’operazione adesso — dice irritato. — Stiamo continuando a scoprire nuovi congiurati ogni giorno che passa. Devo concedere a questo problema tutta la mia attenzione. E settimana prossima ci sono i funerali di Stato di Mangu, funerali che intendo presiedere personalmente. Non…
— Il pericolo è critico, signore.
— Mi dice sempre così. Credo che le piaccia dirmelo. Lei è troppo insicuro, Shadrach. Anche se non riuscisse a scoprire una nuova crisi ogni ventina di giorni, la pagherei lo stesso. Lei mi piace , Shadrach.
— Non invento le crisi, signore.
— Lo stesso. Non si può aspettare un mese o due?
— In quel caso dovremmo fare un nuovo taglio nel tessuto rimarginato.
— E allora? Per un taglietto in più…
— A parte quello, i rischi…
— Già — dice Gengis Mao. — I rischi. Che rischi corro lasciando perdere questa storia per un po’?
— Lei sa cos’è un aneurisma, signore?
— Più o meno.
— È un tumore che contiene del sangue, o un grumo di sangue, in diretto contatto con la parete di un’arteria; causa delle modifiche degenerative nei tessuti che lo circondano. Se lo immagini come un palloncino che viene gonfiato gradualmente. Quando i palloncini diventano troppo grandi, esplodono.
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