Dies irae, dies illa
Solvet saeclum in favilla
Teste David cum Sybilla.
A poco a poco le voci calano di volume. La musica sfuma, facendosi soffusa e astratta; il suono degli strumenti ora è vuoto, non è che un profilo di suono, niente dentro, l’idea di suono piuttosto che il suono stesso, e il coro, lontano lontano, canta le parole terribili dell’antica preghiera in un tono debole, tremolante, sussurrato, elegante; un tono intenso e penetrante:
Quantus tremor est futurus
Quando Judex est venturus
Cuncta stricte discussurus!
E poi, tutto è silenzio. Ora Shadrach è in pace. Ha raggiunto l’essenza del sogno di morte, ha posto fine agli sforzi e gli affanni, ha posto fine alle ricerche. La corsa è finita. Se solo lo volesse, potrebbe andare a Bangkok, ad Addis Abeba, San Francisco, Bagdad, Gerusalemme, viaggiare non richiederebbe più sforzo di quanto non ne richieda un batter di palpebre: ma non c’è motivo di andare da nessuna parte, perché tutti i posti sono divenuti uno solo, ed è meglio restare qui, a un punto di stasi, immobili, avvolto nel vello morbido, dolce, accogliente della tomba. Consumatum est. Shadrach è in perfetto equilibrio. È finalmente, autenticamente morto. Sa che dormirà per sempre.
All’istante si sveglia. La sua mente è sgombra, viva, dolorosamente attenta. La passione gonfia il suo pene, se non è passione è la forza cieca che si impossessa degli uomini nei sogni; in un modo o nell’altro, preme spudorato contro il panno che copre l’inguine di Shadrach, gli crea in grembo una piccola piramide. Katya giace a poca distanza, appoggiata sui gomiti, lo guarda. Il suo sorriso è quello della Sfinge. Shadrach vede la carne dell’ampio sedere nudo, i glutei sodi e densi, e in un attimo la tranquillità del sogno di morte è sparita; la lussuria lo governa. — Andiamo — dice rauco.
— Va bene.
— L’ostello degli amanti non è lontano.
— No. Non lì. — Katya si sta già rivestendo. La guida-leonessa è appena più in là, accoglie un gruppo di nuovi arrivati. L’aria nitida confonde Shadrach. Anubi e Thoth occhieggiano ancora da qualche parte nei paraggi, ne è convinto. Lotta per ricuperare quell’equilibrio scomparso, per ritrovare quel punto di stasi, ma sa che saranno necessarie molte altre sessioni di sogno di morte prima che sia in grado di raggiungere quel posto calmo senza bisogno di esservi condotto.
— Dove? — chiede.
— Alla torre. Odio fare l’amore in una camera presa in affitto. Non lo sapevi?
Dunque Shadrach deve frenare le sue voglie ancora per un’ora o due. Forse è quella la lezione del sogno di morte: rimandare la gratificazione, purificare lo spirito. O forse no. È una scossa, passare dall’ambiente illuminato della tenda del sogno di morte all’oscurità che c’è fuori, e la notte è fredda; molto fredda perfino per il maggio mongolo, la neve è appena annunciata nell’aria, pochi fiocchi piccoli e rigidi che volano nella brezza. Sul treno sotterraneo che li riporta indietro non si parlano quasi, ma poco prima di entrare nella stazione di Ulan Bator lui le chiede: — C’eri davvero?
— Nel tuo sogno?
— Sì. Quando abbiamo incontrato Pancho Sanchez. E il Primo Imperatore. E quando siamo andati in Messico.
— Quello era il tuo sogno — dice lei. — Io facevo altri sogni.
— Oh. Oh. Me lo domandavo. Sembrava molto reale, parlarti, averti al mio fianco.
— I sogni sembrano sempre così.
— Ma sono sorpreso di come tutto fosse così allegro. Frivolo, addirittura.
— Per te è stato così?
— Fino a poco prima della fine — dice Shadrach. — Lì è diventato solenne. Quando le cose sono diventate più calme. Ma prima di quel momento…
— Frivolo?
— Molto frivolo, Katya.
— Per me è stato solenne tutto il tempo. Una grande pace
— E diverso per ciascuno?
— Certo — dice lei. — Cosa credevi?
— Oh.
— Pensavi, quando mi hai incontrato nel tuo sogno, che io fossi veramente lì, a parlarti, che condividessi le tue esperienze?
— Confesso di sì.
— No. Non c’ero.
— Eh, no. Immagino di no. — Shadrach ride. — Okay. Non ci avevo pensato. Per te è stato molto serio. Per me è stato tutto un gioco. Cosa dice questo su di te, su di me?
— Niente, Shadrach.
— Davvero?
— Assolutamente niente.
— Con i sogni che ci scegliamo non esprimiamo qualcosa del nostro sé interiore?
— No — risponde lei.
— Come fai a esserne così sicura?
— I sogni vengono scelti per noi. Da un estraneo. Non ne so di più di quel che ti sto dicendo, ma ci ha detto la donna mascherata cosa sognare. A grandi linee. Il tono generale.
— E noi non abbiamo scelta sul contenuto?
— In parte. Le sue istruzioni vengono filtrate dalla nostra sensibilità. E però… però…
— Il tuo sogno è sempre lo stesso?
— Il contenuto? Il tono?
— Il tono.
— Il sogno è sempre nuovo — dice Katya — eppure ha in qualche modo sempre lo stesso sapore, perché la morte è sempre la stessa. Succedono cose diverse ogni volta, ma il sogno ti porta sempre allo stesso posto, nello stesso modo, alla fine.
— Al punto di stasi?
— Si può chiamarlo così. Sì. Sì.
— E il significato di quello che ho sognato…
— No — dice lei. — Non parlare di significato. Il sogno di morte non ti offre saggezza, non è un oracolo. Il sogno non ha significato. — Il treno sotterraneo ha raggiunto Ulan Bator. — Vieni — dice Katya.
Vanno alla suite dove vive lei, due piani più in basso di quella di Nikki Crowfoot: un posto buio, tre stanzette dove le finestre sono coperte da tendaggi pesanti. Ancora una volta, si ritrovano nudi l’uno davanti all’altra, ancora una volta Shadrach avverte l’attrazione fortissima del robusto corpo di Katya; le si avvicina rigido, l’abbraccia, immerge i polpastrelli nella carne profonda delle sue spalle e della sua schiena. Non riesce a trovare il coraggio di baciare quella bocca terrificante. Pensa ai gioiosi accoppiamenti che ha condiviso con lei nel sogno di morte, alla risaia, alle fragranti notti messicane, e la trascina sul letto con sé; eppure, pur riempiendosi le mani chiuse a coppa con i seni di lei, pur lasciandosi imprigionare la testa dalle cosce lisce e fresche, pur premendosi con furia contro la sua carne, si sente del tutto annientato dall’effetto della presenza fisica di Katya, è inerte. E non per la prima volta: i loro coiti sporadici sono sempre stati contraddistinti da difficoltà del genere, che raramente Shadrach ha sperimentato con altre donne. Katya non si lascia turbare da questo: con calma lo spinge contro il cuscino premendogli le nocche ripiegate contro il petto, poi, piegandosi in avanti, comincia a occuparsi di lui con la bocca, con la sua bocca sinistra e feroce dalle zanne aguzze, accogliendolo con amore; e tutto quel che lui sente sono labbra e lingua, labbra e lingua, calde e umide, i denti non si fanno sentire del tutto, e sotto le abili cure di lei Shadrach si rilassa, accantona la sua paura di lei, diventa finalmente rigido. Con agilità lei si avvicina scivolandogli sopra (è chiaramente una manovra di cui ha lunga esperienza) e, con un improvviso movimento, si lascia cadere giù con forza, impalandosi su di lui. È accucciata a cavalcioni del corpo di Shadrach, forte come una contadina, lo sovrasta, le ginocchia flesse, i glutei ben tesi, il corpo si dondola. Shadrach la guarda, e vede un volto distorto dai primi spasmi dell’estasi; le narici dilatate, gli occhi serrati, le labbra distese all’indietro in una smorfia selvaggia; poi chiude gli occhi anch’egli e si concede interamente alla loro unione. Una energia spaventosa percorre Katya. Lo cavalca, ora appena accucciata su di lui così che solo i lombi sono a contatto, ora schiacciando tutto il suo corpo contro quello di Shadrach; ma sempre rimane sopra, sempre resta al comando. Lui non si oppone. Lei freme, schiaccia, spinge, si contorce, improvvisamente si discosta con uno scatto ed erompe in una bizzarra risata; lui sa che si tratta del segnale, le stringe i seni e si unisce a lei nel culmine del piacere. Poi si assopisce, e quando si risveglia si accorge che Katya sta singhiozzando in silenzio. Com’è strano, non è per niente da lei! Non avrebbe mai immaginato che Lindman fosse capace di versare lacrime.
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