— Signore? — chiede Shadrach confuso.
— Cristiano. Cristiano. Riconosce l’Unigenito Figlio di Dio come suo Salvatore? Eh? Non ci sente? L’udito che se ne va? Chiederò a Warhaftig di metterle dei timpani nuovi in quelle orecchie. Le ho chiesto: è cristiano?
Sconcertante. — Be’…
— Ha presente. Ha presente. Pater noster che sei nei cieli. Ave Maria piena di grazia. Chi mangia della mia carne e beve del mio sangue avrà vita eterna, e risorgerà dai morti nell’ultimo giorno, dice il Signore. Eh? Le conosce queste cose? Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo. Ite missa est. Allora?
— Be’, i miei genitori mi portavano a messa di tanto in tanto, ma non potrei dire che…
— Peccato. Non è un credente, allora?
— In un certo senso, forse, ma…
— C’è un senso solo, mi pare.
— Allora non penso di essere un credente.
— Va bene, sia santificato il suo nome, Shadrach. Le piacerebbe diventare papa, comunque?
— Signore?
— Ma è tutto quel che sa dire? Signore? Signore? — Gengis Mao fa il verso all’ossequiosità di Shadrach con ferocia devastante. Le pulsazioni del Khan stanno aumentando; la faccia si fa rossa. — Il regno e il potere. Oh, e la gloria. Voi cristiani le capite queste cose. Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore; nessuno raggiunge il Padre se non attraverso di me. — Questo saltare freneticamente di palo in frasca inquieta il dottor Mordecai; senza farsi notare aumenta l’erogazione di calmante nel metabolismo del Khan, premendo il pedale del 9-pardenon mentre è chinato, e finge di esaminare la base del macchinario di sostegno medico. Gengis Mao si alza a sedere e, urlando ormai, prosegue: — Risponda di sì, risponda di no, ma basta signore ! Papa! Le ho chiesto, le piacerebbe diventare papa? Il Papa è morto, a Roma, il vecchio Benedetto. I cardinali si riuniranno quest’estate. Mi hanno invitato a nominare qualcuno. Manderò loro il nome del mio medico, il mio bel dottore nero, eh? Le Pape noir. Papa niger. Ci sono stati dei santi neri, perché non un papa nero? Si sceglierà un bel nome pontificale. È uno dei piccoli dividendi di potere e gloria. Cosa ne dice di Papa Legba? Eh? Eh? — Gengis Mao batte le mani compiaciuto. — Papa Legba! Papa Legba!
Il nuovo fegato, pensa Shadrach. Che fosse il fegato di un pazzo?
In tono mite dice: — Non sono cattolico, signore.
— Può sempre diventarlo. Ci vuol tanto? Una settimana di studio, e sarebbe perfettamente in grado di borbottare le parole giuste. Kyrie eleison. Credo in unum deum. Om mani padme hmmmm…
C’è qualcosa di minaccioso, in questo folle cianciare di pontificato. I salti fulminei di argomento, il flusso frenetico di fantasticherie, la vulcanica energia verbale, non ispirano fiducia nella stabilità mentale di Gengis Mao. Questo è l’uomo che governa il mondo, riflette Shadrach. Che piaccia o no.
Shadrach dice: — Se io diventassi papa, chi sarebbe il suo medico?
— Ma lei, naturalmente, Shadrach.
— Da Roma?
— Traslocheremmo il Vaticano a Ulan Bator.
— Anche così, non credo che potrei svolgere i due lavori in maniera soddisfacente, signore.
— Un giovane come lei? Ma certo che potrebbe. Cos’ha, trentacinque, trentott’anni, qualcosa del genere? Sarebbe un papa splendido. Diventerei cattolico anch’io, e lei potrebbe ricevere la mia confessione. Non rifiuti quest’offerta, Shadrach. Credo che lei non sia abbastanza occupato, al momento. Ha bisogno di qualche distrazione. Passa troppo tempo a curare me, perché altrimenti le sue giornate sarebbero oziose. Mi riempie di medicinali inutili. Perché mi fissa in quel modo?
— Preferirei non diventare papa, signore.
— Decisione definitiva?
— Definitiva.
— Molto bene. Nominerò Avogadro.
— Lui almeno è italiano.
— Pensa che io sia impazzito, Shadrach?
— Credo che si stia affaticando troppo, signore. Le prescrivo due ore di riposo assoluto. Posso darle una pastiglia per dormire?
— No, non può. Può andarsene a divertirsi a Karakorum. Gonchigdorge diventerà papa, sì, un mongolo, come le suona l’idea? A me piace. E tu, lassù, vecchio, santo padre Gengis, vecchio Temucin, ti piace? Se ne vada, Shadrach. Mi irrita, oggi. Non sono pazzo. Non mi sto affaticando troppo. Ho sofferto per la morte di Mangu. Sono in lutto per Mangu. Farò sì che il mondo ricordi Mangu per sempre. Quarantuno persone ai vivai, ed è solo mattina! Mi farà il favore di andarsene a Karakorum?
I livelli metabolici stanno salendo su una decina abbondante di fronti diversi. Shadrach è allarmato. Interviene nuovamente sul pedale dei tranquillanti. Il vecchio dev’essere imbottito di 9-pardenon a questo punto, ma in qualche modo Gengis Mao riesce a resistergli e rimane sovreccitato nonostante il farmaco. Sta facendo finalmente effetto, però. Finalmente, i primi segni di rilassamento. Il Khan sta cedendo.
Shadrach si avvia, preoccupato, ma fiducioso che l’umore del Khan si stabilizzerà per un po’ di tempo. Mentre sta uscendo, Gengis Mao lo chiama: — Oppure, re d’Inghilterra! Che gliene pare? A Windsor si libererà un posto tra non molto!
Va a Karakorum con Katya Lindman. Normalmente passa le sue sere libere con Nikki Crowfoot, ma non sempre è così; non sono marito e moglie, non è un rapporto monogamo quello tra loro. Shadrach ama Crowfoot, o è convinto di amarla, che per lui è la stessa cosa. Ma non è mai stato in grado di sfuggire a Lindman a lungo. Ora lei è in ascesa, come Saturno, lugubre, ascendente nella casa dell’Acquario. Questa notte sarà sua. Nikki è altrove, in ogni caso, Shadrach ignora dove; lui è libero, accessibile, vulnerabile.
— Facciamo i sogni insieme questa notte?
Perché no? La sua forte, severa voce di contralto gli ha piegato la volontà. Shadrach acconsentirà finalmente a essere iniziato ai misteri del sogno di morte. Fa un cenno di assenso, e gli occhi scuri di Lindman scintillano della selvaggia soddisfazione della trionfatrice.
Il padiglione del sogno di morte è un’ampia tenda retta da molti pali, il telone nero bordato di una striscia arancio-ruggine. Sopra l’ingresso si protende in fuori una testa d’ariete, pesante, minacciosa, aggressiva; le massicce corna arricciate trafiggono l’aria fredda di primavera con prepotenza titanica. Shadrach sa che l’ariete è Ammone-Ra, signore della paura, re del sole, protettore del sogno di morte; si dice infatti che questo culto derivi dall’Egitto dei Faraoni, riti segreti che non si persero mai dai giorni in cui venivano praticati originariamente lungo le rive del caldo, pigro Nilo al tempo della Quinta Dinastia. All’interno della tenda, stranamente, tutto è luce. Il posto sfolgora di strutture sfavillanti dal suolo fino al soffitto: lampade sospese, poste in cima ad alti pali, faretti, cascate luminose, l’aria brucia di una lucentezza bianca-azzurra che stordisce, l’ombra è annientata. Shadrach ricorda l’atmosfera torbida della tenda dei transtemporalisti, ed è profondamente impressionato da questa luce intensa. Ma nel dominio di Ammone-Ra deve regnare un fulgore solare.
Si sta avvicinando una figura mascherata, un’orientale dalla linea slanciata che non indossa altro che un panno bianco arrotolato a cingerle i fianchi e un’enorme maschera da leone dorata che le poggia pesante sulle spalle magre. Tra i seni minuti le scende un pendente, una croce ansata d’oro fiammeggiante. Non parla; ma con gesti espressivi guida Mordecai e Lindman per la tenda affollata, oltre le file di uomini e donne che giacciono addormentati. I soffici materassi di cotone bianco sono contornati da barriere di corda dorata tesa tra aste d’ebano. Arrivati a un cubicolo vuoto, che sarà il loro, si fermano. Dentro all’anello di corda ci sono due spessi materassi affiancati, e a ciascuno dei due lati vi è un costume da sogni ripiegato con cura, e un baule di legno adorno dove, indica la loro guida, dovranno mettere i loro vestiti. Katya inizia immediatamente a spogliarsi, e Shadrach, dopo un istante, la imita. La guida attende da parte, senza mostrare alcun interesse per la loro nudità; Shadrach si sente sciocco nel suo costume: un singolo riquadro di lino delle dimensioni di un fazzoletto a coprirgli il pube e le cosce, una cintura di perle colorate per assicurarlo attorno ai fianchi, e due strette strisce di panno, una verde, una blu, che la guida lo aiuta a sistemare incrociate sul petto.
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