— Damon, Damon — supplicò lei, stringendolo a sé, — è sempre stato così. Coloro che sono stati istruiti nelle Torri sono più saggi di noi: devono sapere quello che fanno, quando stabiliscono che sia così!
— Non ne sono tanto sicuro.
— Comunque, adesso non possiamo far niente, caro. Devi riposare e calmarti, altrimenti turberai lei — disse Ellemir, prendendo la mano di Damon e posandosela sul ventre. Damon sapeva che sua moglie stava cercando di distrarre i suoi pensieri, ma era disposto ad accettarlo: dopotutto, Ellemir aveva ragione. Sorrise, cominciando a captare l’informe emanazione casuale — che non era ancora un pensiero — della creaturina. — Lei , hai detto?
Ellemir rise sommessamente, felice. — Non saprei spiegarti come lo so, ma ne sono certa. Forse una piccola Callista?
Damon pensò: Mi auguro che abbia una vita più felice. Non vorrei vedere la mano di Arilinn posarsi su mia figlia… Poi rabbrividì all’improvviso, in un guizzo di precognizione, vedendo una donna snella, dai capelli fulvi, nelle vesti cremisi della Custode di Arilinn… Se le strappava da dosso, dal collo alla caviglia, e le gettava via… Damon sbatté le palpebre. La visione era scomparsa. Precognizione? Oppure era una drammatica allucinazione, nata dalla sua inquietudine? Tenendo fra le braccia sua moglie e sua figlia, cercò di dimenticarla, almeno per il momento.
Gli uomini che erano stati vittime del congelamento si stavano riprendendo; ma poiché per ora erano invalidi, un nuovo fardello di lavoro fisico toccò a Andrew; e perfino Damon dava una mano di tanto in tanto. Il tempo si era calmato, ma Dom Esteban diceva che era soltanto una tregua prima che le vere tempeste invernali scendessero dagli Heller coprendo le basse colline di neve destinata a durare per mesi.
Damon si era offerto di andare a Serrais con Andrew e di portare qualcuno degli uomini in soprannumero di quella tenuta, perché lavorassero lì fino alla fine dell’inverno e aiutassero a curare i campi all’inizio della primavera. Il viaggio sarebbe durato più di dieci giorni. Quel mattino stavano facendo i piani nella Grande Sala di Armida. I malesseri mattutini di Ellemir erano passati, e come al solito lei era nelle cucine a dirigere il lavoro delle donne. Callista era seduta accanto al padre, quando all’improvviso si raddrizzò sul sedile con aria inquieta. Disse: — Oh… Elli, Elli… oh, no! — Ma prima ancora che lei si alzasse in piedi, Damon aveva rovesciato la sedia per correre verso le cucine. In quel momento si levarono grida dalle altre stanze.
Dom Esteban borbottò: — Cos’hanno, quelle donne? — Ma nessuno l’ascoltava. Anche Callista si era precipitata verso la porta delle cucine. Dopo un attimo, Damon tornò di corsa e fece un cenno a Andrew.
— Ellemir è svenuta. Non voglio che nessun estraneo la tocchi. Puoi portarla tu?
Ellemir giaceva accasciata sul pavimento della cucina, circondata dalle donne sgomente. Damon fece loro segno di allontanarsi, e Andrew sollevò Ellemir tra le braccia. Era spaventosamente pallida: ma Andrew non sapeva nulla delle gravidanze, e quello svenimento, pensò, non doveva essere molto allarmante.
— Portala nella sua stanza, Andrew. Io vado a chiamare Ferrika.
Andrew aveva appena deposto Ellemir sul letto quando Damon arrivò insieme alla levatrice. Strinse le mani della moglie, entrando in rapporto telepatico con lei e cercando il fioco e informe contatto con la creaturina. Mentre sentiva ripercuotersi nel proprio corpo i tormentosi spasimi che straziavano Ellemir, comprese ciò che stava accadendo. Supplicò: — Non puoi fare qualcosa?
Ferrika rispose, gentilmente: — Farò tutto quello che posso, nobile Damon. — Ma al di sopra della sua testa china, l’uomo incontrò gli occhi di Callista: erano pieni di lacrime. Lei disse: — Ellemir non è in pericolo, Damon. Ma è già troppo tardi per la piccina.
Ellemir strinse convulsamente le mani del marito. — Non lasciarmi — implorò, e lui mormorò: — No, amore. Mai. Resterò con te. — Era la tradizione: nessun telepate Comyn dei Domimi lasciava sola la moglie quando partoriva la loro creatura, o rifiutava di condividere le sue sofferenze. E adesso lui doveva dare a Ellemir la forza per sopportare la loro perdita, non per prepararsi alla gioia. Represse l’angoscia e s’inginocchiò accanto a lei, tenendola fra le braccia, stringendola a sé.
Andrew era ritornato da Dom Esteban: poteva dirgli solo che Damon e Callista erano con Ellemir, e che avevano mandato a chiamare Ferrika. Per tutta la giornata si sentì oppresso dalla lugubre atmosfera che pesava sulla casa. Perfino le ancelle stavano riunite in gruppetti impauriti. Andrew avrebbe voluto entrare in contatto con Damon e cercare di dargli forza, di rassicurarlo: ma cosa poteva dire, cosa poteva fare? Una volta, alzando gli occhi verso le scale, vide Dezi che entrava nella sala esterna. Il ragazzo chiese: — Come sta Ellemir? — Il risentimento di Andrew traboccò.
— Te ne importa molto, a te ?
— Io non voglio male, a Elli — rispose, stranamente mesto. — È l’unica, qui, che sia buona con me. — Voltò le spalle a Andrew e se ne andò, e il terrestre ebbe la strana sensazione che anche Dezi fosse sul punto di piangere.
Damon e Ellemir erano stati così felici per il loro bambino, e adesso… questo! Andrew si chiese, assurdamente, se per caso la sua sfortuna era contagiosa, se i tormenti del suo matrimonio si erano comunicati all’altra coppia. Poi, rendendosi conto che quella era una pazzia, scese nella serra e cercò di distrarsi dando ordini ai giardinieri.
Molte ore dopo, Damon uscì dalla stanza dove giaceva Ellemir, addormentata, dimentica del dolore e dell’angoscia, vinta da una delle pozioni soporifere di Ferrika. La levatrice, soffermandosi per un momento accanto a lui, disse gentilmente: — Nobile Damon, meglio che sia accaduto ora piuttosto che veder nascere deforme quella povera creatura. La misericordia di Avarra assume talvolta strani aspetti.
— So che hai fatto tutto quello che potevi, Ferrika. — Ma Damon le voltò le spalle, depresso: non voleva che lo vedesse piangere. Lei comprese e scese le scale in silenzio, mentre Damon procedeva come un cieco. D’istinto si diresse alla serra, e vi trovò Andrew: il terrestre gli andò incontro, chiedendo a bassa voce: — Come sta Ellemir? È fuori pericolo?
— Sarei qui, se non lo fosse? — ribatté Damon; poi, ricordando, si lasciò cadere su una cassa, si coprì la faccia con le mani e si abbandonò al dolore. Andrew gli rimase accanto, tenendogli una mano sulla spalla e tentando senza parlare di dargli un sostegno, di comunicargli la consapevolezza della sua pietà.
— Il peggio è — disse infine Damon, alzando la faccia stravolta, — che Elli pensa di avermi deluso per non aver potuto dare alla luce nostra figlia. Ma se qualcuno ne ha colpa, sono io, che le ho permesso di occuparsi da sola di questa casa tanto grande. Ho colpa io comunque! Siamo parenti troppo stretti, due volte cugini, e spesso in tale parentela c’è un’eredità di morte. Non avrei mai dovuto sposarla! Non avrei mai dovuto sposarla! Io l’amo, l’amo, ma sapevo che desiderava un figlio, e avrei dovuto capire che era pericoloso, che eravamo parenti troppo stretti… Non so se avrò il coraggio di lasciare che tenti di nuovo. — Alla fine si calmò un poco e si alzò, dicendo con voce stanca: — Dovrei tornare da lei. Quando si sveglierà, mi vorrà accanto. — Per la prima volta da quando Andrew lo conosceva, dimostrava tutti i suoi anni.
E lui aveva invidiato a Damon la sua felicità! Ellemir era giovane, avrebbe potuto avere altri figli. Ma col peso di quel senso di colpa?
Più tardi Andrew trovò Callista nella piccola distilleria, con un fazzoletto sbiadito avvolto intorno ai capelli per proteggerli dall’odore delle erbe. Lei alzò il volto, e Andrew scorse i segni del pianto. Aveva condiviso quel tormento con la sorella? Ma la sua voce aveva la calma distaccata che lui ormai si attendeva in Callista: e ora, inspiegabilmente, gli dava fastidio.
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