Gene Wolfe - L'artiglio del Conciliatore

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L'artiglio del Conciliatore: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ciclo del “Libro del Nuovo Sole” di Gene Wolfe è ambientato in un futuro estremamente remoto, su una Terra trasformata in modi misteriosi e meravigliosi, e in un tempo in cui la cultura attuale non è nemmeno un lontano ricordo.
Nel primo romanzo della serie avevamo fatto la conoscenza di Severian, il giovane torturatore mandato in esilio per essersi innamorato di una delle sue vittime e aver disobbedito alle ferree regole della corporazione cui apparteneva. Entrato per caso in possesso dell’Artiglio del Conciliatore, una gemma dai poteri miracolosi appartenuta a una leggendaria figura di proporzioni mitiche, Severian continua il suo viaggio verso Thrax, la città del suo esilio, in compagnia della sua spada Terminus Est. Molte sono le meraviglie che l’attendono sul suo cammino: creature scimmiesche dotate di intelligenza umana e di corpi pelosi e lucenti; un bizzarro rituale cannibalesco che gli riporterà le memorie e i pensieri della sua amata e scomparsa Thecla; la stanza delle superfici specchianti in cui svanirà Jonas, il suo compagno strano e non del tutto mortale.
Evocativo, profondo, ipnotico nella sua lirica potenza, L’artiglio del conciliatore si rivela un vero capolavoro di grandiosa e raffinata maestria letteraria.
Vincitore del premio Nebula per il miglior romanzo in 1981.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo fantasy in 1982.
Nominato per i premi Hugo e World Fantasy in 1982. 

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Quello spettacolo mi aveva talmente affascinato che non mi ero accorto quando Hildegrin aveva abbandonato il tetto. Lo vidi sfrecciare in mezzo alla folla — se un uomo tanto grosso può sfrecciare — e afferrare Apu-Punchau.

Non so come descrivere quello che successe poi. In un certo senso lo si potrebbe paragonare al piccolo dramma consumatosi nella capanna gialla dei Giardini Botanici, ma era molto più strano, se non altro perché allora sapevo che la donna, suo fratello e il selvaggio erano vittime di un incantesimo. Lì invece pareva quasi che fossimo noi, Dorcas, Hildegrin e io, a essere presi da una magia. I danzatori, ne sono certo, non riuscivano a vedere Hildegrin, anche se in un certo senso erano consapevoli della sua presenza e inveivano contro di lui percuotendo l’aria con le clave dai denti di pietra.

Apu-Punchau, al contrario, lo vedeva come aveva visto noi sul tetto e come Isangoma aveva scorto me e Agia. Probabilmente però ne aveva una visione diversa dalla nostra e credo che gli apparisse strano come la Cumana era apparsa strana a me. Hildegrin lo stringeva ma non riusciva a vincerlo; Apu-Punchau lottava e si divincolava senza potersi liberare. Hildegrin sollevò la testa verso di me in cerca d’aiuto.

Non so per quale motivo risposi al suo appello. Non desideravo più servire Vodalus e i suoi scopi. Forse fu a causa dell’effetto residuo dell’alzabo o solo del ricordo di Hildegrin che accompagnava me e Dorcas in barca sul Lago degli Uccelli.

Cercai di allontanare gli uomini dalle gambe storte, ma uno dei loro colpi sferrati nel vuoto mi centrò la testa e mi fece cadere in ginocchio. Quando mi rialzai mi sembrò di non riuscire più a trovare Apu-Punchau in mezzo ai danzatori che saltavano e gridavano. Vidi invece due Hildegrin, uno che lottava contro di me e uno che si batteva contro qualcosa di invisibile. Rabbiosamente scagliai lontano il primo e cercai di andare in aiuto del secondo.

— Severian!

La pioggia che mi batteva sulla faccia mi svegliò… grosse gocce gelate che colpivano come grandine. Il tuono rombava sulle pampas. Per un istante pensai di aver perso la vista, poi il bagliore del fulmine mi mostrò l’erba sferzata dal vento e le pietre in rovina.

— Severian!

Era Dorcas. Cercai di alzarmi e la mia mano toccò fango e stoffa. Presi la stoffa e la liberai… una lunga e sottile striscia di seta bordata di nappe.

— Severian! — Era un urlo di paura.

— Sono qui! — risposi. — Quaggiù! — Un secondo lampo mise in luce l’edificio e la figura frenetica di Dorcas stagliata sul tetto. Perlustrai i muri ciechi fino a trovare la scala. I nostri destrieri erano spariti. Anche le streghe erano sparite, sul tetto. Dorcas era sola, piegata in avanti sul corpo di Jolenta. Alla luce dei lampi vidi il volto morto della cameriera che aveva servito il dottor Talos, Baldanders e me nel caffè di Nessus. Era completamente privo della sua bellezza. Alla fine, rimane solo l’amore, solo questa divinità. Il nostro imperdonabile peccato è proprio quello di riuscire a essere solo ciò che siamo.

Qui mi fermo di nuovo, lettore, dopo averti portato di città in città… dal piccolo villaggio minerario di Saltus fino alla desolata città di pietra il cui nome era perduto da tempo immemorabile nel vortice delle ere. Saltus per me era stata la porta del mondo al di fuori della Città Imperitura. La città di pietra era a sua volta una porta per me, la porta verso le montagne che avevo intravisto oltre i suoi archi diroccati. Da quel momento mi sarei aggirato per le loro gole e i loro balzi, fra i loro occhi ciechi e i loro volti cupi lungo una strada molto lunga.

Qui faccio una sosta. Se non desideri seguirmi oltre, lettore, non ti rimprovero. Non è una strada facile.

APPENDICI

RELAZIONI SOCIALI NEL REGNO

Uno dei compiti più difficili affrontati dal traduttore è sempre quello di esprimere in maniera corretta i problemi riguardanti le caste e le posizioni per renderli comprensibili alla nostra società. Nel caso del Libro del Nuovo Sole , la mancanza di materiale lo rende doppiamente difficoltoso. Ne presentiamo un accenno.

Basandosi sui manoscritti, pare possibile stabilire che la società del Regno consista di sette gruppi fondamentali, uno dei quali pare essere completamente chiuso. Un uomo o una donna diventa esultante solo per nascita e resta tale per tutta la vita. Nonostante esista una scala interna a questa classe, i manoscritti non la riportano. Le donne vengono dette castellane, gli uomini assumono vari onorifici. Al di fuori della città che ho deciso di chiamare Nessus, questa casta cura l’amministrazione degli affari quotidiani. L’ereditarietà del potere contrasta fortemente con lo spirito del Regno e spiega chiaramente la tensione esistente fra esultanti e autarchia, ma è difficile capire come una forma di governo locale potrebbe essere meglio organizzato nelle stesse condizioni: la democrazia si esaurirebbe nel mercanteggiamento e una burocrazia a nomine sarebbe impossibile senza la disponibilità di un nutrito numero di funzionari preparati ma relativamente poveri che ricoprano le cariche. Comunque, la saggezza degli autarchi ritiene che un’intesa completa con la classe dominante rappresenti il malessere peggiore per uno stato. Nei manoscritti, Thecla, Thea e Vodalus sono senza dubbio esultanti.

Gli armigeri sono molto affini agli esultanti, ma un gradino più in basso. Il loro nome indica una classe di guerrieri, che comunque non avrebbero monopolizzato i gradi principali dell’esercito; si potrebbero senz’altro paragonare ai samurai che servivano i daimyo nel Giappone feudale. Lomer, Nicarete, Racho e Valeria sono fra questi.

Gli ottimati sembrano essere dei mercanti più o meno facoltosi. Delle sette classi sono quelli che compaiono meno frequentemente nei manoscritti, anche se alcuni accenni indicano che Dorcas appartenesse in origine a questo gruppo.

Come in tutte le società, la comunalità costituisce il grosso della popolazione. Di solito soddisfatti della propria realtà, ignoranti perché la loro nazione è troppo povera per dare loro un’istruzione, si lamentano dell’arroganza degli esultanti e venerano l’Autarca che, in ultima analisi, costituisce la loro apoteosi. Jolenta, Hildegrin e gli abitanti di Saltus fanno parte di questa classe, alla pari di innumerevoli altri personaggi dei manoscritti.

L’Autarca, che sembra diffidare degli esultanti certamente per ottimi motivi, è circondato dai servitori del trono. Sono i suoi ammiratori e consiglieri nella vita militare e civile. Pare provengano dalla comunalità, ed è da sottolineare l’importanza da essi attribuita all’educazione ricevuta. (Per contro, si veda il disprezzo mostrato da Thecla al riguardo.) Lo stesso Severian e gli altri abitanti della Cittadella, a eccezione di Ultan, si può dire che appartengano a questo gruppo.

I religiosi sono enigmatici quanto il dio che venerano, un dio fondamentalmente solare ma non apollineo. (Dal momento che al Conciliatore è attribuito un Artiglio, è facile fare un’associazione fra l’aquila di Giove e il sole, ma forse è fin troppo banale.) Come il clero della nostra chiesa cattolica, i religiosi si dividono in vari ordini, ma non sembrano sottoposti a un’autorità suprema. Talvolta rammentano l’induismo, nonostante il loro evidente monoteismo.

Le Pellegrine, che nei manoscritti ricoprono un ruolo più importante di qualsiasi altra comunità sacra, sono evidentemente un ordine di sacerdotesse accompagnate da servitori maschi armati, come è naturale per un gruppo nomade come il loro, in quel tempo e in quei luoghi.

Infine, i cacogeni costituiscono, in un modo che riusciamo a malapena a intuire, l’elemento estraneo che, proprio per la sua caratteristica aliena, è più universale ed esiste in quasi tutte le società che conosciamo. Il nome che li designa fa pensare che fossero temuti o per lo meno detestati alla comunalità. La loro presenza alla festa dell’Autarca rivela che sono accettati a corte (probabilmente per necessità). Per quanto la popolazione ai tempi di Severian li consideri un gruppo omogeneo, è probabile che siano in realtà molto differenti fra di loro. Nei manoscritti, la Cumana e Padre Inire sono rappresentanti di questo elemento.

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