Ma noi ci trovavamo in una città nella quale risuonava solo la voce del corvo. L’acqua che avevamo portato con noi era quasi finita; Jolenta si era ulteriormente indebolita e probabilmente, se non fossimo riusciti a trovare dell’altra acqua prima di sera, sarebbe morta. Proprio quando Urth iniziava a rotolare attraverso il sole, arrivammo a una mensa sacrificale spezzata, il cui bacino conteneva ancora dell’acqua. Era stagnante e aveva un odore immondo, ma eravamo talmente presi dalla disperazione che permettemmo a Jolenta di berne qualche sorso. Vomitò immediatamente. La rotazione di Urth intanto fece apparire la luna, che aveva ormai superato il plenilunio, la cui pallida luce verdognola sostituì quella del sole.
Un semplice fuoco da campo ci sarebbe sembrato un miracolo. Quello che trovammo fu più strano ma meno sorprendente. Dorcas mi additò un punto sulla sinistra. Guardai e dopo un istante pensai di aver visto una meteora. — È una stella cadente — dissi. — Non ne hai mai viste? A volte cadono a sciami.
— No! È una casa… non vedi? Cerca un punto buio contro il cielo. Deve avere il tetto piatto, e sopra c’è qualcuno con un acciarino e una selce.
Stavo per fare un commento sulla sua fantasia quando un bagliore rosso, non più grande della capocchia di uno spillo, comparve nel luogo in cui erano cadute le scintille. Due respiri dopo fece la sua apparizione una minuscola lingua di fiamma.
Non era distante, ma il buio e le pietre frantumate sulle quali stavamo avanzando ci facevano sembrare il tragitto molto più lungo e quando arrivammo alla costruzione, il fuoco era abbastanza vivo da permetterci di distinguere tre figure accovacciate intorno a esso. — Ci serve aiuto — urlai. — Questa donna sta morendo.
Le tre figure sollevarono la testa e la voce acuta di una vecchia chiese: — Chi parla? Sento una voce d’uomo ma non vedo nessuno. Chi sei?
— Sono qui — gridai in risposta, gettando indietro il manto di fuliggine e il cappuccio. — Sulla tua sinistra. Sono vestito di scuro, ecco tutto.
— Sì… sì. Chi sta morendo? Non la piccolina con i capelli chiari… quella più alta, con la chioma d’oro rosso. Abbiamo del vino e un fuoco, ma niente di più. Girate dietro la casa, troverete una scala.
Portai i nostri animali dietro l’angolo dell’edificio, come mi era stato detto. I muri di pietra celarono la luna ancora bassa e ci lasciarono nell’oscurità più completa. Inciampai sui rozzi scalini che probabilmente non erano altro che pietre ammucchiate prese dalle strutture cadute lì intorno. Impastoiai i due destrieri e feci salire Jolenta sul tetto. Dorcas ci precedette, per trovare la strada a tentoni e per avvertirmi degli eventuali pericoli.
Il tetto in realtà non era piatto e anzi, possedeva una tale pendenza che a ogni passo temevo di cadere. La superficie, dura e irregolare, pareva fatta di tegole… una delle quali a un certo punto si staccò, scricchiolando e rotolando sulle altre fino a quando cadde nel vuoto e si frantumò sul lastricato irregolare, là sotto.
Quando ero un giovane apprendista, troppo piccolo per poter ricevere incarichi difficoltosi, venni inviato alla torre delle streghe per consegnare una lettera, al di là del Vecchio Cortile. (In seguito scoprii che c’era una valida ragione per mandare solo bambini impuberi a consegnare i messaggi resi necessari dalla vicinanza alle streghe.) Adesso so quale orrore ispirasse la nostra torre non solo agli abitanti del quartiere ma anche a tutti gli altri residenti della Cittadella, e la mia paura mi appare incredibilmente ingenua; ma allora era sincera, per un bambinetto goffo quale ero. Avevo sentito raccontare dagli apprendisti più grandi delle storie terrificanti e avevo constatato che bambini senza dubbio più coraggiosi di me erano spaventati. In quella torre, la più sottile dell’intera Cittadella, di notte risplendevano strane luci colorate. Le urla che sentivamo nei dormitori non provenivano da una stanza sotterranea come la nostra camera degli interrogatori, ma dai piani più alti; e noi sapevamo che erano le streghe stesse a gridare, non i loro clienti, perché loro non avevano clienti nel senso che noi attribuivamo a quel termine. Quelle urla non erano ululati di agonia o di pazzia.
Mi era stato detto di lavarmi le mani per non sporcare la busta e, mentre mi avviavo in mezzo alle pozzanghere d’acqua ghiacciata che costellavano il cortile, mi vergognavo perché erano umide e rosse. La mia fantasia aveva immaginato una strega incredibilmente dignitosa e sprezzante, che mi avrebbe senz’altro punito per aver osato consegnarle la lettera con le mani rosse e che mi avrebbe fatto tornare dal Maestro Malrubius con una nota di biasimo.
Ero davvero molto piccolo e dovetti spiccare un salto per arrivare al picchiotto. Il rumore delle mie suole sottili sul gradino logoro mi è rimasto impresso nella memoria.
— Sì? — La faccia che mi fissava era poco più in alto della mia. Era una di quelle facce che fanno pensare contemporaneamente alla bellezza e alla malattia, straordinaria fra le centinaia di migliaia di facce che ho visto. La strega mi apparve vecchia: doveva avere all’incirca vent’anni; ma non era alta e aveva il portamento curvo della vecchiaia. Il suo viso era talmente bello ed esangue da apparire come una maschera d’avorio scolpita da un grande artista.
Porsi la lettera, senza profferire parola.
— Seguimi — disse lei. Era quello che avevo temuto e dopo essere state pronunciate quelle parole mi apparvero inevitabili come il susseguirsi delle stagioni.
Entrai in una torre molto diversa dalla nostra. Quella dei torturatori era massiccia e opprimente, costruita con lastre di metallo talmente connesse che con il passare del tempo avevano costituito un unico corpo, e i piani più bassi erano afosi e grondanti d’umidità. Nella torre delle streghe niente appariva solido, e in realtà ben poche cose lo erano. In seguito, il Maestro Palaemon mi disse che quella torre era una delle più antiche dell’intera Cittadella, ed era stata edificata quando era in uso la tendenza a imitare con materiali inanimati la fisiologia umana; perciò erano stati usati scheletri d’acciaio per sorreggere una trama di sostanze più inconsistenti. Con il trascorrere dei secoli, tale scheletro si era completamente corroso… e la struttura che gli stava intorno era sostenuta solamente dalle riparazioni effettuate di generazione in generazione. Saloni immensi erano separati da muri il cui spessore non superava quello dei drappi; nessun pavimento era pianeggiante, nessuna scala era diritta; mi sembrava che ogni ringhiera e ogni balaustrata che toccavo potesse restarmi in mano. Le pareti erano colme di segni gnostici fatti con il gesso bianco, verde e porpora, ma i mobili erano molto scarsi e l’aria pareva più fredda che all’esterno.
Dopo aver salito numerose rampe di scale e una scala a pioli ottenuta con i tronchi sottili e non privati della corteccia di una pianta odorosa, venni presentato a una vecchia, seduta sull’unica sedia che avevo visto là dentro. Era intenta a guardare qualcosa che sembrava un paesaggio artificiale abitato da animali senza pelo e deformi attraverso il piano di vetro di un tavolo. Le consegnai la lettera e venni condotto via; ma per un istante mi aveva guardato e il suo volto, come quello della giovane-vecchia che mi aveva accompagnato da lei, era rimasto impresso nella mia memoria.
Ho raccontato tutto questo perché mentre adagiavo Jolenta sulle tegole vicino al fuoco mi sembrava che le donne raggomitolate vicino alle fiamme fossero le stesse di quell’episodio. Non era possibile: la vecchia a cui avevo consegnato la lettera doveva essere già morta e la giovane (se viveva ancora) doveva essere mutata tanto da non riuscire più a riconoscerla, come me. Eppure le facce che si voltarono nella mia direzione erano quelle che avevo fissato nella mia memoria. Forse esistono solo due streghe, al mondo, e rinascono in continuazione.
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