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Robert Heinlein: Il pianeta del miraggio

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Robert Heinlein Il pianeta del miraggio

Il pianeta del miraggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Escursionisti inter-dimensionali, attenzione: basta imboccare una volta sola il bivio sbagliato del tempo, e la Terra si trasforma in un vero e proprio pianeta-miraggio, sempre elusivo, anche se apparentemente a portata di mano. Si può finire, per esempio, in un mondo dove il famoso presidente americano William Jennings Bryan, la personalità cruciale della Grande Guerra 1912–17, non è stato eletto, con la conseguenza che laggiù l’intera civiltà è arretrata di settant’anni, la tecnologia degli anni Novanta è ancora quella degli anni Venti e i gangster alla Al Capone la fanno da padroni. E i rischi non finiscono qui. Se a questo punto, volendo tornare indietro, si imbocca il bivio giusto e Bryan è stato regolarmente eletto nel 1896, la situazione può addirittura peggiorare, perché quel mondo è dominato da un puritanesimo pettegolo e invadente, e le Chiese Unite per la Decenza ne bandiscono con uguale severità le parolacce e le minigonne, la narrativa d’evasione e i liquori, le sigarette e il baltabarin. Ma forse il bivio giusto non esiste più: muovendo un altro passo, si può finire in un mondo di computer e di stazioni orbitanti o in uno ancora fermo ai carri a cavalli. Oppure si può essere catapultati da una Terra all’altra, senza poter fare nulla per opporsi, costretti a fermarsi per poche ore in ciascuna, a cambiare mondo tutti i giorni, a fare il pendolare tra gli universi. E quanto capita ad Alex Hergensheimer, a partire dal momento in cui, durante una crociera in Polinesia, comincia ad avere il sospetto che qualcosa non quadri: la sua austera motonave è diventata un’allegra Love Boat, gli ultimi novant’anni di storia sono cambiati, e lui stesso ha ora un altro nome, Graham e in tasca un milione di dollari di dubbia provenienza. Che cosa mi è successo? si chiede l’imbarazzatissimo Alex. È finito in un altro universo? Si è spezzato qualcosa nella trama della realtà e il mondo è prossimo alla fine? Qual è il mondo “giusto” e come arrivarci? E, soprattutto, dov’è finito il vero Graham? Nominato per il premio Nebula per il miglior romanzo in 1984. Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1985.

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I tre che avevano spianato i carboni iniziarono l’attraversamento, in fila indiana, nel centro della distesa rovente: tenevano un passo regolare, né troppo lento, né troppo affrettato. Gli altri uomini del villaggio li seguirono uno alla volta, come in processione. Poi venne il turno delle donne, compresa la giovane madre con il bimbo in braccio.

Quando il neonato fu colpito dalla vampata di calore, cominciò a piangere. Allora la madre, senza fermarsi, se lo accostò al petto; il bambino prese a succhiare e non pianse più.

Poi fu la volta dei ragazzi, dagli adolescenti in giù, fino ai bambini in età da asilo d’infanzia. Per ultima passò una ragazzina di circa otto anni, che teneva per mano il fratellino dagli occhi spalancati. Questi non dimostrava più di quattro anni ed era vestito soltanto della propria pelle.

Guardai il bambino e capii che ero servito di barba e capelli: a quel punto non potevo più tirarmi indietro. Una volta, il bambino inciampò, ma la sorella lo aiutò a stare in piedi, e lui proseguì a passetti decisi. Quando giunse alla fine, qualcuno si chinò su di lui e lo prese in braccio.

Era il mio turno.

Il traduttore mi disse: «Come certo avrà compreso, il ministero del Turismo polinesiano non si ritiene in alcun modo responsabile della sua incolumità. Può bruciarsi, o anche morire. La gente del villaggio riesce ad attraversare il fuoco senza danni perché ha fede».

Gli assicurai che anch’io avevo fede, e nello stesso tempo mi chiesi come potessi mentire con tanta sfacciataggine. Gli firmai il documento che mi presentò, in cui lo liberavo di ogni responsabilità.

In men che non si dica, mi trovai a un capo della distesa di braci, con i calzoni rimboccati fino al ginocchio. Calze, scarpe e portafogli erano all’altra estremità dei carboni, su uno sgabello, in attesa che andassi a prenderli. Erano la mia meta, il mio premio… mi chiesi: se non ce l’avessi fatta, se li sarebbero giocati ai dadi? O li avrebbero spediti ai miei eredi?

L’uomo mi suggerì: «Attraversi nel centro; non corra, ma cerchi di non fermarsi».

L’alto sacerdote disse qualcosa, e il mio mentore tradusse: «Dice di non correre, neanche se sentirà bruciare i piedi. Rischierebbe di cadere sui carboni, e a quel punto non potrebbe più rialzarsi. Dice che potrebbe morire. Se posso dire la mia opinione, lei non corre il rischio di morire, a meno che non respiri le fiamme. Ma corre il rischio di procurarsi delle bruttissime scottature. Perciò, non corra, e faccia attenzione a non cadere. Vede quella pietra piatta? È il punto di partenza. Que le bon Dieu vous garde. Buona fortuna».

«Grazie.» Diedi un’occhiata all’Esperto Universale, che sogghignava come uno spettro, ammesso che gli spettri sogghignino. Lo salutai con un cenno della mano, fingendo un’allegria che ero ben lungi dal provare, e posai il piede sulla pietra.

Per i primi tre passi non sentii assolutamente nulla. Solo dopo il terzo cominciai a sentire qualcosa: la paura. Una paura folle, mescolata al rimpianto di non trovarmi in un altro luogo qualsiasi, anziché su quelle braci rosseggianti. Lo sgabello mi sembrava all’altro capo del mondo, se non più lontano ancora. Ma continuai a muovere un passo dopo l’altro, nella speranza che la mia strana insensibilità non mi facesse cadere.

Mi sentii quasi mancare, e improvvisamente mi accorsi che trattenevo il fiato. Trassi bruscamente un respiro… e mi pentii subito di averlo fatto. Su uno strato di carboni così largo c’erano gas arroventati, fumo, anidride carbonica, ossido di carbonio e probabilmente anche l’alitosi di Satana, ma non certo l’ossigeno che mi serviva. Smisi immediatamente di respirare, con gli occhi che mi lacrimavano, e cercai di capire se ero in grado di trattenere il fiato fino all’altra estremità del letto di carboni.

Santo Cielo, non riuscivo neppure a vedere l’altra estremità! Era nascosta dal fumo, e non riuscivo a mettere a fuoco gli occhi. Perciò tirai innanzi, cercando nel contempo di ricordare la formula per la confessione sul punto di morte e così assicurarmi l’ingresso in Paradiso grazie a una formalità.

Forse la formuletta non esisteva neppure. Provai una strana sensazione ai piedi e mi sentii cedere le ginocchia…

«Si sente meglio, signor Graham?»

Ero steso sull’erba e scorgevo, china su di me, una faccia scura, sorridente.

«Penso di sì» risposi. «Che cosa è successo? Sono riuscito ad attraversare i carboni?»

«Oh, li ha attraversati, certo. In modo bellissimo. Ma, all’ultimo passo, ha perso i sensi. Noi eravamo lì ad aspettarla e l’abbiamo tenuta su. Ma mi spieghi cos’è successo? Le è entrato del fumo nei polmoni?»

«Può darsi. Mi sono bruciato?»

«No. Può darsi che le venga una vescica sul piede destro. Ma lei ha attraversato in modo perfetto, a parte lo svenimento, che dev’essere stato causato dal fumo.»

«Lo credo anch’io.» Mi rizzai a sedere, con il suo aiuto. «Mi può dare le scarpe e le calze? Dove sono finiti gli altri?»

«L’autobus è ripartito. L’alto sacerdote le ha tastato il polso e le ha controllato il respiro, ma non ha permesso a nessuno di disturbarla. Se si costringe un uomo a svegliarsi mentre il suo spirito è ancora lontano, lo spirito rischia di non trovare la strada del ritorno. Lui ne è convinto, e nessuno osa contraddirlo.»

«Ha fatto bene. Mi sento a posto. Riposato. Ma come posso ritornare alla nave?» Otto chilometri di paradiso tropicale diventano presto noiosi, una volta percorso il primo. A piedi. Soprattutto se si considera che avevo i piedi un po’ gonfi. Comprensibilmente.

«L’autobus ritornerà a prendere i parenti degli abitanti del villaggio, e lei potrebbe approfittarne per fare ritorno alla nave. Ma c’è un’altra soluzione. Mio cugino ha l’automobile. La porterà lui.»

«Bene. Quanto mi costerà?» Il prezzo delle corse in taxi in Polinesia era sempre esagerato, soprattutto quando occorreva affidarsi alla clemenza degli autisti, che non ne hanno mai avuta. Ma pensai che potevo permettermi quel latrocinio, in quanto le scommesse mi avevano lasciato in attivo. Trecento meno una corsa in taxi. Presi il cappello. «Dov’è il portafogli?»

«Sì, l’avevo infilato dentro il cappello. Dov’è finito? Non c’è niente da ridere; avevo i soldi dentro. E i documenti.»

«I soldi? Oh! Vôtre portefeuille. Mi spiace, non avevo capito la parola. L’uomo della vostra nave, la guida dell’escursione, lo ha tenuto lui.»

«Molto gentile. Ma come potrò pagare vostro cugino? Non ho neanche un franco con me.»

La cosa si chiarì subito. La guida turistica della nave, nel lasciarmi al villaggio, aveva pagato in anticipo il prezzo della corsa. Il canaco mi accompagnò alla macchina del cugino e mi presentò a lui… sforzo inutile, perché l’inglese del cugino si limitava a «Okay, capo» e io non riuscii a capire bene il suo nome.

L’auto era tenuta insieme dal fil di ferro e dalle buone speranze. Ritornammo al porto correndo a tutto gas, spaventando le galline e lasciandoci facilmente alle spalle le capre nane. Io non prestai molta attenzione al tragitto perché, prima che partissi, era successa una cosa strana. Gli abitanti del villaggio erano tutti riuniti ad aspettare il ritorno dell’autobus, e noi, per raggiungere la macchina, dovemmo passare in mezzo a loro. O meglio, cercammo di farlo. Perché mi gettarono le braccia al collo. Mi baciarono tutti. Sapevo dell’abitudine polinesiana di baciarsi in casi in cui noi giudicheremmo sufficiente una stretta di mano, ma era la prima volta che succedeva a me.

Il mio amico mi spiegò: «Avete camminato sul loro fuoco, e perciò siete un membro onorario del villaggio. Vogliono uccidere un maiale in vostro onore. Tenere un banchetto per voi.

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