«Il Vagabondo è fuggito nell'iperspazio,» disse McHeath.
«Forse, ma era già condannato,» disse Hixon. «È stato colpito, ancora un colpo e sarebbe andato a pezzi, e lo Straniero si è tuffato all'inseguimento. Il Vagabondo è finito.»
«Ma non possiamo esserne certi,» disse Hunter. «Potrebbe continuare a fuggire per sempre.» Mentalmente aggiunse, Come l'Olandese Volante.
«Non possiamo essere nemmeno certi che se ne siano andati davvero,» disse Wojtowicz, con una risatina nervosa. «Potrebbero essere balzati semplicemente dall'altra parte della Terra.»
«Questo è vero,» disse l'Omino. «Ma non li abbiamo visti neppure iniziare un movimento… sono semplicemente svaniti. E ho una sensazione…»
In quel preciso istante, quando i riverberi gialli e arancione svanirono dalla loro retina, gli studiosi dei dischi volanti cominciarono a rendersi conto, uno per uno, che erano in piedi, immobili, nell'oscurità totale. Hunter aveva spento il motore della Corvette. Dietro di lui, udì spegnersi il motore del camion. A gruppi di due e tre le stelle cominciarono ad ammiccare nel cielo nero… le vecchie stelle familiari, che il cielo grigio e d'ardesia aveva mascherato per tre notti.
Don e Paul guardarono, attraverso lo schermo visore del Baba Yaga, i vuoti campi di stelle, e i raggi laser azzurri e viola che si allontanavano in linea retta, strisciando verso l'infinito.
Erano entrambi legati ai sedili antigravitazionali. Paul teneva premuto sulla guancia un fazzoletto rosso in più punti. Don osservava il quadro di comando, e l'immagine verde del radar, i cui segnali rimbalzavano dalla California Meridionale e dal Pacifico. Benché soltanto una lievissima traccia dell'atmosfera della Terra fosse sotto di loro, lui aveva già compiuto una volta la manovra di frenaggio, soprattutto per assicurarsi che il motore principale si sarebbe acceso nel momento critico.
«Be', se ne sono andati,» disse Don.
«Nella bufera,» finì per lui Paul. «Il Vagabondo era già un relitto.»
«Non si può chiamare relitto un oggetto capace di immergersi nell'iperspazio,» gli assicurò Don, in tono allegro. Le stelle cominciarono a strisciare attraverso lo schermo, e Don accese per un secondo i razzi stabilizzatori, e le immagini si fermarono.
«Forse il Vagabondo sarà portato alla deriva nell'iperspazio in un altro cosmo,» mormorò pensieroso Paul. «Forse è questa la sua strada; non cercare di aprirsi un varco a forza, ma lasciarsi andare alla deriva, come una nave in avaria nelle correnti dell'iperspazio, arrendersi alla tempesta.»
Don gli lanciò un'occhiata acuta:
«Lei ti ha detto molte cose, vero? Chissà se è ritornata a bordo in tempo.»
«Naturalmente,» disse Paul, in fretta. «Credo che anche quelle piccole astronavi possano muoversi alla velocità della luce, o superarla.»
«È stato un bel graffio, quello che ti ha dato,» fece notare Don, casualmente, affrettandosi però ad aggiungere, «Io non ho avuto nessun grande romanzo d'amore, lassù.» Accese di nuovo i razzi stabilizzatori, e corrugò la fronte, osservando l'indicatore della temperatura esterna. Continuò, bruscamente: «E non credo che me ne siano rimasti neppure laggiù. Direi che Margo fa sul serio con quel tizio, quell'Hunter.»
Paul si strinse nelle spalle.
«E cosa t'importa? Tu hai sempre amato la solitudine più della gente. Non offenderti… amare se stesso è il principio di tutto l'amore.»
Di nuovo, Don gli lanciò una rapida occhiata.
«Scommetto che tu amavi Margo più di quanto l'amassi io,» disse. «Penso di averlo sempre saputo.»
«Naturalmente,» disse Paul, in tono piatto. «Sarà arrabbiata, perché ho perso Miao.»
Don fece una risatina.
«Quali e quante cose vedrà, quella gattina!» Poi la sua voce cambiò. «Tu volevi andare con Tigerishka, vero? Sei rimasto indietro, per chiederglielo.»
Paul annuì.
«E lei non mi ha voluto, a nessuna condizione. Quando le ho chiesto che cosa sentiva per me, mi ha dato questo.» Premette il fazzoletto sulla guancia che sanguinava ancora.
Don ridacchiò.
«Tu sei goloso di punizioni, eh?» Poi, in tono leggero: «Non so, Paul, ma se io fossi innamorato di una bellissima gatta, quel graffio sarebbe l'unica cosa capace di convincermi del fatto che lei mi ricambiava. Adesso stringi la sbarra… stiamo sorvolando le Cascate del Niagara.»
Gli studiosi dei dischi volanti erano in piedi, nell'oscurità fittissima, un nero edificio di tenebre con un tetto di stelle. Poi, così vicino che per un attimo parve loro di trovarsi realmente in una stanza, una piccola luce bassa si accese, mostrando un tavolo ingombro di carte, e dietro il tavolo un uomo che aveva il viso senza età, sottile e dai lineamenti marcati di un faraone. Margo si mosse verso quest'uomo, seguendo il giovane che indossava la maglietta bianca, e Hunter scese dall'auto e andò a sua volta in quella direzione.
L'uomo dietro il tavolo guardava alla sua destra. Qualcuno, in quel punto, disse:
«I campi magnetici di entrambi i pianeti sono scomparsi, Oppie. Siamo ritornati alla norma-Terra.»
Margo disse, ad alta voce:
«Professor Opperly, le stiamo dando la caccia da due giorni. Io ho qui una pistola che è caduta da un disco volante. Serve a imprimere momentum negli oggetti. Abbiamo pensato che dovesse essere affidata a lei. Sfortunatamente, per arrivare qui, abbiamo consumato tutta la carica.»
Egli le lanciò una rapida occhiata, poi abbassò lo sguardo sulla grigia pistola che lei aveva tirato fuori dalla giacca. Le sue labbra si strinsero in un sorrisetto abbastanza sgradevole.
«Direi che assomiglia molto di più a un giocattolo da quattro soldi,» le disse, bruscamente. Poi, volgendosi di nuovo all'uomo che gli stava accanto, «E le comunicazioni radio, Denison? L'etere è più libero, oppure…»
Margo aveva rapidamente spostato la freccia in senso opposto alla canna, poi l'aveva puntata contro il tavolo, e aveva premuto il bottone. Opperly e il giovanotto in maglietta bianca si mossero, cercando di afferrarla, poi si fermarono. Alcuni fogli di carta galleggiarono nell'aria, verso la pistola, e poi furono seguiti da tre fermacarte metallici e da una penna metallica che era stata usata come fermacarte. Per un secondo tutti questi oggetti rimasero appesi alla canna della pistola, poi ricaddero.
«Deve trattarsi di un fenomeno elettrostatico,» disse il giovanotto, con evidente curiosità, osservando i fogli che ricadevano lentamente.
«Agisce anche sugli oggetti metallici,» dichiarò l'uomo che era stato chiamato Denison, osservando i fermacarte che cadevano. «Induzione?»
«Ha attirato la mia mano! L'ho avvertito distintamente,» disse a sua volta Opperly, allargando le dita della mano che aveva allungato, sul tavolo, verso la pistola. Guardò di nuovo Margo. «Ha detto che è effettivamente caduta da un disco volante?»
Lei sorrise, porgendogli la pistola.
Hunter disse:
«Le portiamo anche un messaggio del tenente Donald Merriam, dell'Astronautica. Atterrerà qui…»
Opperly si era rivolto a qualcun altro che era accanto a lui.
«Non c'era un Merriam, tra i dispersi della Base Lunare?»
«Non è disperso,» interloquì Margo. «È riuscito a fuggire a bordo di una delle astronavi lunari. È stato sul nuovo pianeta. Cercherà di atterrare qui… forse sta già arrivando.»
«E aveva un messaggio speciale per lei, professor Opperly,» aggiunse Hunter. «Il nuovo pianeta possiede degli acceleratori lineari pari al raggio terrestre, e un ciclotrone pari alla circonferenza terrestre.»
Opperly sorrise.
«Ne abbiamo avuto appena adesso una dimostrazione, no?»
Nessuno di loro notò una stella ammiccare in ritardo, in prossimità di Marte. Un raggio laser in fuga nello spazio aveva colpito Deimos, la piccola luna esterna di Marte, trasformandola in una massa incandescente… provocando una considerevole eccitazione in Tigran Biryuzov e nei suoi compagni.
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