Roger Zelazny - Io, Nomikos, l'immortale

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Io, Nomikos, l'immortale: краткое содержание, описание и аннотация

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Anche pubblicato como “Io, l’immortale”.
“Io, Nomikos, l’immortale” è la secca risposta che Conrad Nomikos dà a chiunque voglia indagare sull’enigma del suo passato oscuro e misterioso. Tuttavia l’unica cosa che si sa con certezza sul suo conto è forse proprio questa: che il suo vero nome non è Conrad. Chi egli sia in realtà è una domanda cui è impossibile rispondere. Secondo alcuni egli ha avuto un tempo un nome diverso, quello del liberatore della Terra, l’uomo che ha combattuto contro l’impero stellare di Vega conquistando l’indipendenza del nostro mondo; secondo altri egli è invece Karaghiosis l’assassino; l’ipotesi più ardita è che si tratti di un essere vecchio quanto la storia della Terra, forse addirittura del mitico e temibile dio Pan! Per il momento Conrad deve fare da guida a un inviato del pianeta Vega, Cort Myshtigo, e condurlo a visitare le bellezze della Grecia antica e dell’antico Egitto rimaste ancora intatte dopo la breve guerra atomica che ha popolato di crateri radioattivi e di mostri mutanti il nostro pianeta.
Ma i fini dell’ambasciatore vegano in realtà sono ben diversi da quelli dichiarati: da questa visita dipende il futuro stesso dei Terrestri e la posizione che la Terra avrà tra i pianeti della Galassia, e il ruolo di Conrad Nomikos sarà molto più importante di quello di semplice accompagnatore.
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1966.

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— Quanto tempo ci fermeremo qui? — chiese Ellen.

— Mi piacerebbe passare un altro paio di giorni a Makrynitsa — risposi, — poi ci dirigeremo a nord. Diciamo ancora una settimana in Grecia, e poi saremo a Roma.

— No — disse Myshtigo, che era rimasto seduto su una roccia a parlare nel suo registratore e fissare il mare. — No, il viaggio è finito. Questa è l’ultima sosta.

— Perché mai?

— Sono soddisfatto e voglio tornare a casa.

— E il suo libro?

— Ho la storia che volevo.

— Che specie di storia?

— Le manderò una copia autografata, appena l’avrò finito. Il mio tempo è prezioso, e adesso ho tutto il materiale che voglio. Tutto quello che mi sarà necessario, comunque. Stamattina ho chiamato il Porto, e stanotte mi manderanno una Lancia. Voialtri andate pure avanti e fate quello che volete, ma io ho finito.

— C’è qualcosa che non va?

— No, va tutto bene, ma è tempo che io parta. Ho molto da fare.

Si alzò in piedi e si stirò.

— Devo preparare i bagagli, per cui tornerò indietro subito. Comunque il suo paese è molto bello, Conrad. Ci vediamo a cena.

S’allontanò e prese a discendere la collina.

Feci qualche passo nella sua direzione, osservandolo sparire.

— Mi chiedo cosa lo abbia spinto a prendere questa decisione — pensai ad alta voce.

Si udì un rumore di passi che s’avvicinavano.

— Sta morendo — disse George, dolcemente.

Mio figlio Giasone, che ci aveva preceduti di parecchi giorni, se n’era andato. I vicini avevano preso a parlare della sua partenza per l’Ade avvenuta la sera prima. Il patriarca era sparito sulla schiena d’un cagnaccio dagli occhi di brace, che aveva abbattuto la porta della sua abitazione ed era scomparso con lui nella notte. I miei parenti volevano tutti che mi fermassi a mangiare. Dos Santos continuava a riposare: George gli aveva curato le ferite, e non aveva ritenuto necessario ricoverarlo all’ospedale di Atene.

È sempre piacevole tornare a casa.

Scesi giù nella Piazza e passai il pomeriggio a parlare coi miei discendenti. Avevo voglia di raccontar loro di Taler, di Haiti, di Atene? Sì, avevo voglia, e lo feci. Avevano voglia di raccontarmi i fatti successi a Makrynitsa durante la mia assenza? E anche loro mi accontentarono.

Poi portai qualche fiore al cimitero, mi fermai un poco, e andai a casa di Giasone e gli riparai la porta con certi attrezzi che trovai nel ripostiglio. M’imbattei in una bottiglia del suo vino e lo bevvi tutto. E fumai un sigaro. Mi feci anche un bricco di caffè, e lo scolai tutto.

Ma mi sentivo ancora depresso.

Non sapevo cosa stava succedendo.

George conosceva il suo mestiere, comunque, e aveva detto che il vegano mostrava i sintomi inconfondibili d’una malattia nervosa extraterrestre. Incurabile. Immancabilmente fatale.

E nemmeno Hasan poteva essere ritenuto responsabile del fatto.

«Eziologia sconosciuta» fu la diagnosi di George.

Così tutto era di nuovo in discussione.

George sapeva di Myshtigo sin dalla prima volta che l’aveva incontrato. Che cosa l’aveva messo sull’avviso? Phil gli aveva chiesto di osservare se il vegano presentasse i sintomi d’una malattia fatale.

Perché?

Diavolo, non l’aveva detto, e ormai non potevo più andarglielo a chiedere.

Avevo un problema.

O Myshtigo aveva finito il suo lavoro, oppure non gli restava abbastanza tempo per finirlo. Aveva detto d’averlo finito. Ma se non era vero, allora io avevo protetto per tutto quel tempo un uomo morto, senza scopo alcuno. Se l’aveva finito sul serio, dovevo conoscere i risultati, per decidere al più presto circa quel che rimaneva della sua vita.

La cena non fu d’alcun aiuto. Myshtigo aveva detto tutto quello che intendeva dire, e ignorò o evitò le nostre domande. Così, subito dopo il caffè, Parrucca Rossa ed io uscimmo a fumarci una sigaretta.

— Cos’è successo? — mi chiese.

— Non lo so. Credevo lo sapessi tu.

— No. E adesso?

— Dimmi tu.

— Lo uccidiamo?

— Forse sì. Ma prima, perché?

— Ha finito.

— Cosa? Cosa diavolo ha finito?

— E come faccio a saperlo?

— Maledizione! Devo saperlo! Devo sapere perché uccido qualcuno. Sono fatto così.

— Così, eh? Bene. Dopo tutto è ovvio, no? I vegani vogliono comprare di nuovo sulla Terra. Tornerà a fare un rapporto sui posti che gli interessano.

— E allora perché non li ha visitati tutti? Perché taglia corto dopo l’Egitto e la Grecia? Sabbia, rocce, giungle, e mostri assortiti: non ha visto altro. Roba poco incoraggiante per un acquisto.

— È spaventato, ecco perché, è contento d’essere ancora vivo. Poteva essere divorato da un boadrillo, o da un Kourete. Sta scappando.

— Bene. Allora lasciamolo scappare. Lasciamogli fare un rapporto negativo.

— Ma non può. Se vogliono comperare, non si fideranno d’un resoconto tanto incompleto. Manderanno qualcun altro, più resistente, per finirlo. Se uccidiamo Myshtigo sapranno che esistiamo ancora sul serio, che continuiamo a protestare, che siamo ancora noi.

— … E non teme per la propria vita — notai.

— No? E per cosa, allora?

— Non lo so. Ma devo scoprirlo.

— Come?

— Penso che glielo chiederò.

— Tu sei pazzo! — Lei si girò.

— A modo mio, o non se ne fa nulla — replicai.

— In qualsiasi modo, allora. Non importa. Abbiamo già perso.

La presi per le spalle e le baciai il collo. — Non ancora. Vedrai.

Lei rimase rigida.

— Torna a casa — disse; — è tardi. È troppo tardi.

Le obbedii. Tornai nel vecchio, caro edificio di Iakov Korones che ospitava sia Myshtigo che me, e dove s’era fermato anche Phil.

Mi fermai nella stanza funebre, nel posto dove Phil aveva dormito per l’ultima volta. Il suo Prometeo Liberato si trovava ancora sul tavolino, accanto ad una bottiglia vuota. Quando mi aveva chiamato in Egitto si sentiva già la fine addosso, e poi aveva avuto un attacco di cuore, e aveva passato un mucchio d’altri guai. Mi sembrava che dovesse aver lasciato un messaggio per un vecchio amico, su una faccenda del genere.

Così aprii l’inconsistente poema di Percy B. Shelley e lo sfogliai.

Stava scritto sulle pagine bianche alla fine del libro, in greco. Ma non greco moderno. Classico.

Suonava più o meno così:

Caro amico,

per quanto io aborra scrivere cose che non potrò rivedere, capisco che è meglio non fare tanto il prezioso con un messaggio. Non sto bene. George vuole che voli ad Atene. E domattina ci volerò. Ma prima, per quanto concerne la faccenda che hai tra le mani… Fa’ ripartire vivo il vegano dalla Terra, ad ogni costo. È importante.

È la cosa più importante di questo mondo. Avevo paura di parlartene prima, perché pensavo che Myshtigo fosse un telepate. È per questo che non vi ho seguiti durante tutto il viaggio, anche se mi sarebbe piaciuto moltissimo. È per questo che ho finto di odiarlo, per potergli stare lontano tutto il tempo che volevo. Ho deciso di raggiungervi solo dopo essere riuscito ad appurare che non è un telepate.

Sospettavo, data la presenza di Dos Santos, Diane e Hasan, che la Radpol volesse il suo sangue. Se era telepatico, ho immaginato che se ne sarebbe accorto in fretta e avrebbe pensato da solo a mettersi al sicuro. E se non lo era, avevo sempre molta fede nella tua abilità di difenderlo da qualsiasi cosa. Hasan compreso. Ma non volevo che lui sapesse che ero al corrente di tutto. Comunque ho cercato effettivamente di avvisarti, se ti ricordi.

Tatram Yshtigo, suo nonno, è una delle creature viventi più nobili e sensibili. È un filosofo, un grande scrittore, un amministratore altruistico di pubblici servizi. Lo conobbi durante la mia visita a Taler, qualcosa come trent’anni fa, e più tardi diventammo amici intimi. Da allora siamo sempre rimasti in contatto; e già da tempo m’aveva avvisato dei piani dell’Impero Vegano per quel che concerne la Terra. Ma mi ha anche costretto al segreto. Nemmeno Cort può sapere che io ne sono al corrente. Suo nonno perderebbe completamente la faccia, se la cosa saltasse fuori prima del tempo. I vegani si trovano in una posizione molto imbarazzante. I nostri emigrati si sono bellamente appoggiati, dal punto di vista economico e culturale, alla loro civiltà. D’altronde i vegani hanno capito (e con quale immediatezza!) durante i giorni della Ribellione Ritornista che esiste una popolazione indigena con una propria organizzazione, desiderosa di prendere nuovamente possesso del pianeta e di riportarlo al passato splendore. Anche ai vegani piacerebbe che questo accadesse. Non vogliono la Terra. E cosa se ne farebbero? Se volessero sfruttare la nostra gente, ce n’è di più su Taler che qui; e comunque non lo stanno facendo, almeno non su grande scala o per cattiveria. I nostri emigrati hanno preferito fermarsi sui loro pianeti a svolgere qualsiasi lavoro, piuttosto che tornare qui.

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