Connie Willis - Strani occhi

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Se avete una bella faccia, o un bel paio di gambe, o un seno rifatto, potete entrare nel grande show del 2000. Se avete umiltà e pazienza potete prestare la vostra bocca — o qualunque altra parte del corpo — agli attori famosi del passato, e partecipare al remke elettronico di un capolavoro del cinema. Ma attenti! A Hollywood non interessano gli attori vivi. La loro specialità sono i fantasmi elettronici e i corpi caldi sono in pericolo…
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1996.

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Lo aggirai strusciandolo, sperando di non ritrovarmi coperto di sanguisughe, e mi portai a fianco di Hedda. — Mayer è qui? — chiesi.

— No. — La sua testa platinata era china sull’assortimento di cubetti e capsule che teneva nella mano guantata di rosa. — È stato qui per qualche minuto, ma se n’è andato con una delle matricole. E all’inizio del party c’era uno della Disney che fiutava l’aria. Dicono che la Disney abbia una mezza idea di assorbire l’ILMGM.

Un altro motivo per farmi pagare subito. — Mayer ha detto se tornava?

Lei scosse la testa, ancora immersa nello studio della sua piccola farmacia.

— C’è della chocha ? — chiesi.

— Credo siano queste — disse lei, porgendomi due capsule viola e bianco. — Questa roba me l’ha data una faccia, e mi ha spiegato cosa sia cosa, ma non ricordo più. Sono quasi sicura che queste siano chocha. Ne ho prese un po’. Tra un minuto potrò dirti.

— Grande. — Mi sarebbe piaciuto poterle mandare giù subito. Il fatto che Mayer se ne fosse andato con una matricola poteva significare che era in caccia di un’altra donna per il suo boss, il che avrebbe significato un nuovo lavoro d’incollaggio. — Cosa si dice del boss di Mayer? La sua nuova ragazza lo ha già scaricato?

L’interesse di Hedda si risvegliò all’istante. — Non che io sappia. Perché? Hai sentito voci?

— No. — E se nemmeno Hedda ne sapeva qualcosa, non era successo. Quindi Mayer aveva portato la matricola in stanza solo per una veloce scopatina o un’ancor più veloce fiutatina o due di neve, e sarebbe tornato nel giro di pochi minuti, e magari io sarei riuscito a farmi pagare.

Abbrancai un bicchiere di plastica da una Marilyn di passaggio e mandai giù le capsule.

— Allora, Hedda — continuai, visto che era meglio parlare con lei che con Berretto Da Baseball o con il dirigente che viaggiava nel tempo — quali altre chiacchiere metterai questa settimana nella tua rubrica?

— Rubrica? — ribatté lei, perplessa. — E mi chiami sempre Hedda. Perché? È una star del cinema?

— Una giornalista che aveva una rubrica di pettegolezzi. Sapeva sempre tutto di quello che succedeva a Hollywood. Allora? Che succede?

— La Viamount ha un nuovo programma di foley automatico — disse all’istante lei. — L’ILMGM si sta preparando a chiedere i copyright su Fred Astaire e Sean Connery, che finalmente si è deciso a morire. E gira voce che la Pinewood scritturi corpicaldi per il nuovo sequel di Batman. E la Warner… — Si interruppe a metà della frase e fissò perplessa la propria mano.

— Cosa c’è?

— Secondo me non è chocha. Sento una strana… — Si studiò la mano. — Forse le gialle erano chocha. — Pescò nella farmacia. — Queste sembrerebbero ghiaccio.

— Chi te le ha date? — chiesi. — Il tizio della Disney?

— No. Uno che conosco. Una faccia.

— Che aspetto ha? — Domanda stupida. Esistono due sole varietà di facce maschili: James Dean e River Phoenix. — È qui?

Lei scosse la testa. — Me le ha date perché se ne andava. Ha detto che non gli servivano più, e comunque in Cina lo arresterebbero per il possesso di questa roba.

— In Cina?

— Dice che là hanno uno studio per livefilm e scritturano controfigure e corpicaldi per i loro film di propaganda.

E io che pensavo che fare inserimenti digitali per Mayer fosse il peggior lavoro del mondo.

— Magari è filarossa — disse lei, tastando le capsule. — Spero di no. La filarossa mi dà sempre un aspetto di merda il giorno dopo.

— Invece di un aspetto da Marilyn Monroe — commentai. Mi guardai attorno. Mayer non era ancora riapparso. Il dirigente che viaggiava nel tempo stava raggiungendo la porta con una Marilyn. I freakkati col casco ridevano e abbrancavano l’aria; il loro party doveva essere molto meglio del nostro. Fred e Ginger stavano facendo pubblicità a un altro programma di editing. Primi piani a montaggio frenetico di Ginger, le tende della sala da ballo, la bocca di Ginger, le tende. Doveva essere la scena della doccia di Psycho.

Il programma finì e Fred afferrò la mano tesa di Ginger, si scaraventò tra le sue braccia. L’orlo nero del vestito di Ginger si gonfiò di spinta centrifuga. Gli orli dello schermo cominciarono a essere sfuocati. Guardai le scale. Erano un po’ sfuocate anche quelle.

— Merda. Non è filarossa — dissi. — È klieg.

— Davvero? — Hedda fiutò le capsule.

Sì che lo è, pensai disgustato, e adesso cosa devo fare? Un trip di klieg era la situazione meno adatta per incontrarmi con un porco come Mayer, e quella roba fottuta non ti dà niente che valga la pena. Non c’è eccitazione, o allucinazioni, nemmeno un senso di sbronza. Solo una vista sfuocata e poi un flash di realtà indelebile. — Merda.

— Se è klieg — disse Hedda, muovendo le capsule col dito guantato — per lo meno possiamo fare del grande sesso.

— Non ho bisogno del klieg per quello — ribattei, ma cominciai a cercare con gli occhi una da scopare. Hedda aveva ragione. Fare sesso sotto klieg significa avere un orgasmo indimenticabile. Alla lettera. Scrutai le Marilyn. Potevo esibirmi nel numero del dirigente in cerca di attrici con una matricola, ma era impossibile prevedere quanto tempo avrebbe richiesto, e la mia sensazione era di avere a disposizione solo pochi minuti. La Marilyn che mi aveva abbordato prima era davanti allo schermo, ad ascoltare il discorsetto di un produttore.

Guardai la porta. Sulla soglia c’era una ragazza. Si stava guardando attorno con aria incerta, come fosse in cerca di qualcuno. Aveva capelli castano chiaro a riccioli, tirati indietro alle tempie. La soglia alle sue spalle era scura, ma da qualche parte doveva esserci una luce perché i capelli splendevano come fossero illuminati da dietro.

— Di tutti gli spacci di gin del mondo… — dissi.

— Gin? — chiese Hedda, assorta sul suo assortimento di pillole. — Non avevi detto che è klieg? — Fiutò la sua farmacia personale.

La ragazza doveva essere una faccia, era troppo carina per non esserlo, ma l’acconciatura era sbagliata, e anche il vestito, che non aveva il top e non era bianco. Era nero, con un giubbetto verde, e la faccia portava guanti verdi, corti. Deanna Durbin? No, il colore dei capelli era sbagliato. E aveva anche un nastro verde per tenerli fermi. Shirley Tempie?

— Chi è quella? — borbottai.

— Chi? — Hedda si leccò l’indice e lo passò sulla polvere che le pillole le avevano lasciato sul guanto.

— Quella faccia là. — Le indicai la porta. La ragazza si era spostata. Adesso era appoggiata alla parete, ma i suoi capelli catturavano ancora la luce, avevano attorno una specie d’alone.

Hedda succhiò la polvere sul dito. — Alice — disse.

Alice chi? Alice Faye? No, Alice Faye era una bionda platinata, come tutte a Hollywood. Charlotte Henry in Alice nel paese delle meraviglie ?

Chiunque stesse cercando (il Coniglio Bianco, probabilmente), la ragazza si era arresa. Ora guardava lo schermo. Fred e Ginger danzavano l’uno attorno all’altra senza toccarsi, tenendosi stretti solo con lo sguardo.

— Alice chi? — chiesi.

Hedda fissava il proprio indice a fronte aggrottata. — Eh?

— Chi dovrebbe essere? Alice Faye? Alice Adams? Alice non abita più qui ?

La ragazza si era allontanata dal muro, gli occhi ancora puntati sullo schermo, e si dirigeva verso il Berretto Da Baseball. Quello balzò avanti, eccitato all’idea di avere nuovo pubblico, e attaccò la sua tiritera, ma lei non lo ascoltava. Guardava Fred e Ginger, la testa piegata all’insù, i capelli che catturavano la luce dello schermo.

— Secondo me qui non c’è niente di quel che mi ha detto quello — disse Hedda, leccandosi un’altra volta il dito. — Si chiama così.

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