Connie Willis - Strani occhi

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Se avete una bella faccia, o un bel paio di gambe, o un seno rifatto, potete entrare nel grande show del 2000. Se avete umiltà e pazienza potete prestare la vostra bocca — o qualunque altra parte del corpo — agli attori famosi del passato, e partecipare al remke elettronico di un capolavoro del cinema. Ma attenti! A Hollywood non interessano gli attori vivi. La loro specialità sono i fantasmi elettronici e i corpi caldi sono in pericolo…
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1996.

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— Tom — disse Alis, e ci fu un’altra dissolvenza in nero, e Fred e Ginger erano su tutte e due le pareti. Sorseggiavano Martini sul bordo di una piscina.

— Bisogna farlo — dissi. — Bisogna trasmettere il messaggio “Noi ci teniamo a voi”. Bisogna far tornare sobrio Jimmy Stewart. Ma se quello fosse l’unico modo per fargli trovare il coraggio di dirle che è innamorato di lei? Il fatto è che sa che lei è troppo per lui. Sa di non poterla avere. Deve ubriacarsi. Solo così riuscirà a dirle che è innamorato.

Le misi una mano sui capelli. — Com’è che fai? — chiesi. — Quell’illuminazione da dietro.

— Tom…

Lasciai ricadere la testa. — Non importa. Tanto nel remake lo rovineranno. E poi non è reale.

Agitai la mano in direzione dello schermo con fare melodrammatico, come Gloria Swanson in Viale del tramonto. — Tutte illusioni. Trucco e parrucche e set fasulli. Persino Tara. Solo una facciata finta. Effetti speciali e foley.

— È meglio che tu ti sieda. — Alis si impadronì del mio braccio.

Scrollai via la sua mano. — Persino Fred. Non è affatto reale. Tutti i colpi delle sue scarpe sono stati aggiunti dal doppiaggio sonoro, e le stelle non sono vere. Quelle sul pavimento. Tutto fatto con gli specchi.

Mi allungai verso la parete. — Solo che non è nemmeno uno specchio. Ci puoi far passare attraverso la mano.

Dopo di che, è tutto un lavoro di montaggio. Ricordo di avere cercato di scendere a Forest Lawn per vedere la tomba di Holly Golightly e Alis che mi strattonava e piangeva grandi lacrime gelatinose come quelle del programma di Vincent. E poi l’insegna delle stazioni che diceva “Beguine”, e poi eravamo nella mia stanza che aveva un aspetto strano, gli schermi erano sul lato sbagliato, e su tutti quanti c’era Fred che trasportava a braccia Eleanor sul bordo della piscina, e io dissi: — Lo sai perché il musical ha tirato le cuoia? Non bevevano abbastanza. A parte Judy Garland — e Alis chiese: — È fatto? — e si rispose da sola: — No, è ubriaco. — E io dissi: — Non voglio tu pensi che ho problemi con l’alcol. Posso smettere quando voglio. È solo che non voglio — e aspettai, sorridendo, che quelle due riconoscessero la battuta, ma non ci arrivarono. — A qualcuno piace caldo. Marilyn Monroe — dissi, e cominciai a versare lacrime dense, oleose. — Povera Marilyn.

Poi avevo buttato Alis sul letto e la stavo scopando e tenevo gli occhi puntati sul suo viso per vederlo all’arrivo del flash, ma il flash non arrivò, e i lati della stanza diventarono sfuocati, e io spinsi più forte, più veloce, inchiodandola al letto perché non potesse scappare, ma lei era già scappata e io cercai di rincorrerla e finii contro gli schermi, Fred ed Eleanor che si dicevano addio all’aeroporto, e alzai la mano e trapassai lo schermo e persi l’equilibrio. Ma quando caddi, non finii tra le braccia di Alis o in mezzo agli schermi. Finii nella regione di antimateria dello scivolo.

LEWIS STONE: [Severo] Spero che tu abbia imparato la lezione, Andrew. Bere non risolve i problemi. Serve solo a peggiorarli.

MICKEY ROONEY: [Vergognoso] Adesso lo so, papà. E ho imparato anche qualcosa d’altro. Ho imparato che devo farmi gli aflari miei e non impicciarmi di quelli degli altri.

LEWIS STONE: [Dubbioso] Lo spero, Andrew. Lo spero proprio.

In Scandalo a Filadelfia , la sbronza di Katharine Hepburn risolveva tutto: quel damerino del suo fidanzato rompeva il fidanzamento, Jimmy Stewart lasciava il giornalismo scandalistico e iniziava a scrivere il romanzo serio che la sua fedele ragazza si era sempre aspettata da lui, mamma e papà si riconciliavano, e Katharine Hepburn ammetteva finalmente di essere stata sempre innamorata di Cary Grant. Lieto fine per tutti.

Ma i film, come avevo cercato di spiegare ad Alis in uno stato tanto alterato, non sono la vita reale. E ubriacandomi avevo concluso una sola cosa: mi ero risvegliato nella stanza di Hedda nella sua casa dello studente, con postumi da sbornia per due giorni e una sospensione di sei settimane dallo scivolo.

Non che volessi andare da nessuna parte. Andy Hardy impara la lezione, lascia perdere le ragazze, e si dedica alla seria impresa di Farsi Gli Affari Suoi, compito facilitato dal fatto che Hedda si rifiutava di dirmi dove fosse Alis perché non parlava più con me.

E dal fatto che Hedda (o Alis) aveva versato tutto il mio liquore nel lavandino, come Katharine Hepburn in La regina d’Africa , e Mayer mi aveva bloccato il conto corrente finché non gli avessi consegnato la dozzina di film della settimana precedente. La dozzina di film della settimana precedente consisteva in Scandalo a Filadelfia , col quale ero appena a metà. Quindi, andiam, andiam, andiamo a lavorar, e qual era il posto migliore per trovare dodici film analcolici che potevo sostenere di avere ripulito? Ma Disney, naturalmente.

Solo che Biancaneve aveva un cottage pieno di boccali da birra e una segreta colma di coppe da vino e pozioni mortali. La bella addormentata non andava meglio (c’era un idiota di valletto reale che si sbronzava sino a finire letteralmente sotto il tavolo), e Pinocchio non solo beveva birra ma fumava sigari che chissà perché erano sfuggiti alla Lega Antifumo. Persino Dumbo si sbronzava.

Ma la cancellazione dei cartoni animati è relativamente più facile, e in Alice nel paese delle meraviglie c’era solo qualche anello di fumo, per cui riuscii a completare la sporca dozzina e a rimettere in sesto la “mia” scorta di pozioni mortali. Per lo meno non avrei dovuto guardare Fantasia in stato di sobrietà. E fu un vero bene. La parte della Pastorale di Fantasia era talmente piena di vino che mi occorsero cinque giorni per ripulirla, dopo di che tornai a Scandalo a Filadelfia e restai lì a fissare Jimmy Stewart cercando di escogitare un modo per salvare capra e cavoli. Poi mi arresi e aspettai che finisse la mia sospensione dallo scivolo.

Non appena terminò, andai a Burbank per scusarmi con Alis, ma doveva essere passato più tempo di quanto pensassi perché sedie e banchi, non più accatastati, erano occupati dagli studenti di un corso di CG, e quando chiesi a uno dei techno che fine avessero fatto Michael Caine e il corso di storia del cinema, quello mi disse: — C’erano l’altro semestre.

Feci scorta di chocha e andai al party successivo e chiesi a Hedda quali corsi seguisse Alis.

— Io non uso più la chocha — disse Hedda. Portava maglione aderente e gonna e occhiali con la montatura nera. Come sposare un milionario. — Perché non vuoi lasciarla in pace? Non fa del male a nessuno.

— Voglio… — cominciai, ma non sapevo cosa volessi. No, falso. Volevo trovare un film che non contenesse una sola sostanza capace di dare assuefazione. Solo che non ce n’erano.

I dieci comandamenti — dissi, risalito nella mia stanza.

C’erano bevute nella scena del vitello d’oro e varie allusioni al “vino della violenza”, ma era sempre meglio di Scandalo a Filadelfia. Tirai fuori le mie riserve di grappa e chiesi una lista di kolossal biblici, e poi mi misi a giocare a Charlton Heston: distruggere vigne e porre fine alle orge romane. La vendetta è mia, dice il Signore.

SCENA: Esterno di casa Hardy in estate. Staccionata, aceri, fiori davanti alla porta d’ingresso. Dissolvenza lenta sull’autunno. Foglie che cadono. Primo piano su una foglia, seguita finché tocca terra.

Certe terre di nessuno somigliano molto allo scivolo. Te ne stai immobile a guardare uno schermo o, peggio, la tua immagine riflessa, e dopo un po’ finisci da qualche altra parte.

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