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Greg Bear: L'ultima fase

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Greg Bear L'ultima fase

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”? Nominato per il premio Nebula in 1985. Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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— Vergil…

— Grazie — si volse a dirle lui, ma i suoi occhi corsero sull’uomo distinto e dai capelli grigi che sedeva sul divano di fronte all’ufficio. Non c’erano dubbi sulla sua identità: Michael Bernard. Vergil aveva già visto alcune sue foto, e la copertina che il Time Magazine gli aveva dedicato tre mesi prima. S’avviò verso di lui e gli tese la mano con il suo più luminoso sorriso.

— È un vero piacere conoscerla, Mr. Bernard!

L’uomo gli restituì la stretta di mano, ma sembrò perplesso.

Oltre la spaziosa doppia porta dell’elegante ufficio in cui accoglieva i visitatori di riguardo era visibile Gerald T. Harrison, col ricevitore del telefono incastrato fra un orecchio e la spalla. Fu a lui che Bernard rivolse uno sguardo interrogativo.

— Sono felice che abbia ricevuto il mio messaggio… — riprese a dire Vergil, mentre Harrison non aveva ancora notato la sua presenza.

In quel momento il dirigente lo vide, salutò la persona con cui stava parlando e depose in fretta il telefono. — Spiacente, Vergil, ma il rango ha i suoi privilegi — esclamò, esibendo un sorriso artificioso, portandosi subito al fianco di Bernard.

— Mi spiace di non… quale messaggio? — stava chiedendo l’uomo.

— Questo è Vergil Ulam, uno dei nostri più attivi ricercatori — lo presentò Harrison con ossequiosa formalità. — La sua visita è un vero onore per noi, Mr. Bernard. Vergil, circa la cosa di cui è venuto a parlarmi ci vedremo più tardi.

Vergil non aveva chiesto di parlare con lui riguardo a niente. — Certo — annuì, rigido. Di nuovo fu urtato da quella vecchia familiare sensazione: venire snobbato, spinto da parte.

Era chiaro che Bernard non aveva mai sentito parlare di lui.

— Più tardi, Vergil — lo congedò Harrison con un sorrisetto fermo.

— Sicuro, naturalmente. — Indietreggiò, gettò a Bernard un’occhiata speranzosa, poi si girò e uscì dalla porta secondaria.

— Chi ha detto che è? — domandò Bernard.

— Un individuo un po’ troppo ambizioso — spiegò Harrison con una smorfia. — Ma lo teniamo sotto controllo.

L’ufficio di lavoro di Harrison era al pianterreno nell’ala ovest, sotto i laboratori. Tre delle pareti erano coperte da scaffali di legno fitti di ordinatissimi volumi. Il ripiano a livello degli occhi contenenva file di quaderni di appunti in plastica, che s’era portato dietro da Cold Spring Harbor. Sullo scaffale più sotto erano in mostra numerosi telefoni d’epoca — Harrison collezionava anche vecchi elenchi telefonici — e parecchi ripiani ospitavano testi di elettronica e sui computer. Sul liscio piano nero della sua scrivania campeggiava lo schermo di un terminale VDT.

Fra i soci fondatori della Genetron, soltanto Harrison e William Yng erano rimasti abbastanza a lungo da vedere i laboratori entrare pienamente in funzione. Entrambi erano più portati all’attività manageriale che alle ricerche, benché i loro diplomi facessero bella mostra di sé appesi nell’anticamera.

Harrison si appoggiò allo schienale della poltrona e sollevò le braccia, intrecciando le mani dietro la testa. Vergil notò un lievissimo alone di umidità sotto ciascuna della sue ascelle.

— Vergil, questo è stato molto imbarazzante per me — disse, evitando di scarruffarsi i capelli d’un biondo chiarissimo, pettinati ad arte per celare un prematuro accenno di calvizie.

— Mi spiace — disse Vergil.

— Non quanto a me. E così ha chiesto a Mr. Bernard se voleva visitare i nostri laboratori?

— Sì.

— Perché?

— Pensavo che si sarebbe interessato alle nostre realizzazioni.

— È quel che pensavamo anche noi. Ed è per questo che noi lo abbiamo invitato. Credo proprio che non abbia saputo nulla del suo invito, Vergil.

— Sembra di no.

— Lei ha agito alle nostre spalle.

Vergil restò in piedi davanti alla scrivania, fissando uno sguardo cupo sul retro del terminale VDT.

— Ha svolto una grossa quantità di lavoro utile, per noi. Rothwild mi dice che è brillante, forse perfino geniale (Rothwild era il supervisore dei progetti per i biochip). Ma altri dicono che non si può fare assegnamento su di lei. E adesso… questo.

— Bernard…

— Non Mr. Bernard, Vergil. Questo. — Fece ruotare lo schermo del VDT e premette un pulsante sulla tastiera. Le annotazioni segrete che Virgil aveva affidato al computer apparvero sul terminale. A quella vista sbarrò gli occhi un istante e sentì un nodo in gola, ma con uno sforzo d’autocontrollo riuscì a non mostrare altra emozione.

— Non ho letto tutto, però sembra chiaro che lei si sta occupando di cose decisamente sospette. Addirittura contrarie all’etica professionale. A noi piace tener d’occhio i programmi dei singoli, qui alla Genetron, specialmente in vista della posizione di preminenza che stiamo assumendo sul mercato. Ma non solo per questa ragione. Io mi compiaccio di credere che la nostra compagnia segua un’etica lodevole.

— Non ho fatto niente che non sia etico, Gerald.

— Oh? — Harrison riabbassò le braccia. — Lei sta progettando nuovi componenti della DNA per numerosi microrganismi NIH artificiali. E sta lavorando su cellule di mammiferi. Noi qui non abbiamo progetti in cui entrino cellule di mammiferi. Non siamo equipaggiati per i rischi biologici… non nei laboratori principali. Ma voglio supporre che possa dimostrarmi sia la sicurezza sia la natura innocua delle sue ricerche. Non è che stia per caso creando qualche arma batteriologica da rivendere ai rivoluzionari del Terzo Mondo, eh?

— No — disse Vergil con voce piatta.

— Bene. Parte di questo materiale va oltre la mia comprensione. Sembra come se volesse tentare nuovi sbocchi per il nostro progetto MAB. Qui potrebbe anche esserci qualcosa di utile. — Lo fissò un poco. — Cosa diavolo sta cercando di fare, Vergil?

Lui si tolse gli occhiali e li pulì con l’orlo della sua giacca da laboratorio. D’improvviso starnutì, con energia e copiosamente.

Harrison esibì un’espressione un po’ schifata. — Ieri abbiamo trovato il suo codice d’accesso. Quasi per caso. Perché ha nascosto questa roba? È qualcosa che secondo lei non dovremmo sapere?

Senza gli occhiali Vergil aveva uno sguardo vacuo e triste. Cominciò a balbettare qualcosa, poi tacque e strinse i denti. Le sue spesse sopracciglia nere si sollevarono con doloroso stupore.

— A mio avviso si direbbe che lei abbia fatto qualche lavoro col nostro manipolatore genetico. Senza autorizzazione, naturalmente. Non che abbia mai avuto molto rispetto per l’autorità.

Il volto di Vergil stava ora arrossendo sempre più.

— Che c’è, non si sente bene? — chiese Harrison, scoprendo che provava un perverso compiacimento nel vederlo torcersi per l’imbarazzo. La sua espressione inquisitoria minacciava di deformarsi in un sogghigno.

— Sto benissimo — disse Vergil. — Io volevo… sto… lavorando sulle biomolecole.

— Biomolecole? Questo termine non mi è familiare.

— Una branca laterale dei biochip. Computer organici autonomi. — Il sospetto d’aver detto anche troppo gli procurò una smorfia. Aveva scritto a Bernard — apparentemente senza il minimo effetto — con lo scopo di mostrargli il suo lavoro. Non era sua intenzione farne godere i risultati alla Genetron, neppure per il compenso previsto dal contratto per i lavori di carattere privato che si potevano svolgere nei laboratori. La cosa era ancora allo stadio di semplice idea, anche se gli era costata due anni di lavoro… due anni di sotterfugi e di notti insonni.

— Sono più che perplesso. — Harrison girò lo schermo verso di sé e lesse l’elenco di voci. — Non si parla affatto di proteine e aminoacidi. Qui vedo che lei ha almanaccato coi cromosomi. Alterato geni di mammiferi. Perfino, se leggo bene, combinandoli con geni batterici, o virali. — I suoi occhi si strinsero, facendosi grigi come pezzi di ghiaccio. — Potrebbe mandare all’aria la Genetron proprio adesso, Vergil, in questo stesso istante. Noi non abbiamo le misure protettive per roba di questo genere. E lei non ha neppure mai lavorato in condizioni di sicurezza P-3.

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