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Isaac Asimov: Il sole nudo

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Isaac Asimov Il sole nudo

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Il Sole Nudo Ancora una volta un caso da risolvere. Ancora una volta Uomo e Robot assieme. Naturalmente, ancora una volta Baley e Olivaw. E ricomincia il sottile duello tra uomo e robot, tra istinto e ragione. Un argomento che molti tratterebbero con superficiale banalità , ma che nella penna di Asimov raggiunge livelli di incredibile meraviglia. Sarà  l’uomo a piegarsi alla razionalità  del robot, oppure R. Daneel Olivaw comprenderà  i meccanismi illogici del cervello umano? Ancora una meravigliosa avventura che lascerà  il lettore estasiato. La coppia più riuscita di tutta la letteratura di fantascienza. Ancora una perla del geniale Isaac Asimov. Un romanzo degno del precedente ( ) e un preludio eccellente al meraviglioso seguito: .

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Non ci fu risposta. Nessuna risposta poteva essere data. Si era spezzato qualcosa e ora gli altri gridavano come pazzi. Klorissa aveva il volto di una Furia, e anche Gladia era in piedi, agitando minacciosamente nell'aria il piccolo pugno.

E tutti erano rivolti a Leebig.

Baley si rilassò e chiuse gli occhi. Cercò per qualche istante di sciogliere i muscoli, di scongelare i tendini.

Aveva funzionato. Finalmente aveva premuto il pulsante giusto. Quemot aveva fatto un'analogia tra i robot solariani e gli iloti spartani. Aveva detto che i robot non si sarebbero mai ribellati per cui i solariani potevano rilassarsi.

Ma che cosa sarebbe successo se degli uomini minacciavano d'insegnare ai robot come far del male agli esseri umani, di renderli, in altre parole, capaci di ribellarsi?

Non sarebbe stato l'estremo delitto? A quest'idea ogni solariano non si sarebbe rivoltato ferocemente contro chiunque fosse anche solo sospettato di rendere un robot capace di far del male a un essere umano? Su Solaria, dove i robot sopravanzavano in numero gli esseri umani nella proporzione di ventimila a uno?

Attlebish gridò: «Lei è in arresto. Le è assolutamente proibito toccare i suoi libri e le sue registrazioni finché il governo non abbia modo di ispezionarli…». Continuava a parlare quasi incoerentemente, appena udibile nel pandemonio.

Un robot si avvicinò a Baley. «Un messaggio, padrone, da padron Olivaw.»

Baley prese con gravità il messaggio, lo srotolò per poi gridare: «Un momento!».

La sua voce ebbe quasi un effetto magico. Tutti si voltarono a guardarlo solennemente e in nessun volto (a parte lo sguardo fisso di Leebig) c'era segno di nulla che non fosse una spasmodica attenzione per il terrestre.

Baley disse: «È stupido aspettarsi che il dottor Leebig non tocchi le sue registrazioni in attesa che giunga ad esaminarle un funzionario governativo. Così, prima che incominciasse questa riunione, il mio collega, Daneel Olivaw, è partito per la tenuta del dottor Leebig. È appena atterrato e tra un momento sarà con il dottor Leebig per poterlo mettere in detenzione».

« Detenzione! » ululò Leebig, quasi con terrore animalesco. Gli occhi gli si spalancarono fino all'inverosimile. «Viene qui qualcuno? Presenza personale? No! No!» Il secondo “No” fu un grido acuto.

«Non le verrà fatto del male» disse freddo Baley «se coopererà.»

«Ma io non voglio vederlo. Non posso vederlo.» Il robotista cadde sulle ginocchia senza neanche sembrare conscio del movimento. Unì le mani in un disperato gesto di appello. «Che cosa vuole? Vuole una confessione? Il robot di Delmarre aveva le braccia distaccabili. Sì. Sì. Sì. Ho organizzato io l'avvelenamento di Gruer. Ho organizzato anche la faccenda della freccia. Ho anche progettato le astronavi che ha detto. Non ho avuto successo ma, sì, le ho progettate. Solo, tenga lontano quell'uomo. Non lo faccia venire. Lo tenga lontano!»

Stava farfugliando.

Baley annuì. Un altro pulsante giusto. La minaccia di una presenza personale avrebbe funzionato meglio di una tortura fisica per indurlo a confessare.

Ma poi, a qualche rumore o movimento fuori campo, Leebig torse il capo e spalancò la bocca. Alzò le mani, come per tenere a distanza qualcosa.

«Via» implorava. «Va' via. Non ti avvicinare. Ti prego, non ti avvicinare. Ti prego…»

Arrancava sulle mani e sulle ginocchia, poi la mano gli corse improvvisamente alla tasca della giacca. Ne tirò fuori qualcosa che portò rapidamente alla bocca. Inghiottì due volte, poi cadde prono.

Baley avrebbe voluto gridare: idiota, non è un essere umano quello che sta arrivando; è soltanto uno dei robot che ami tanto.

Daneel Olivaw entrò in campo e per un istante fissò la figura accartocciata a terra.

Baley trattenne il fiato. Se Daneel si fosse reso conto che era stata la sua pseudoumanità a uccidere Leebig, l'effetto sul suo cervello, schiavo della Prima Legge, avrebbe potuto essere drastico.

Ma Daneel si limitò a inginocchiarsi, con le dita delicate che toccavano qua e là. Poi sollevò il capo di Leebig come se fosse infinitamente prezioso per lui, cullandolo, accarezzandolo.

Il suo bel volto scolpito fissava gli altri. Sussurrò: «È morto un essere umano!».

Lei aveva chiesto un ultimo colloquio e Baley la stava aspettando. Ma quando lei apparve gli si spalancarono gli occhi.

«Ti vedo» disse.

«Sì» disse lei. «Come hai fatto a capirlo?»

«Hai i guanti.»

«Oh.» Si guardò confusa le mani. Poi, a voce bassa: «Ti dispiace?».

«No, naturalmente no. Ma perché hai deciso di vedermi, invece di visionarmi?»

«Be'» lei sorrise debolmente. «Dovrò abituarmici, no, Elijah? Voglio dire, se vado su Aurora.»

«Allora è tutto sistemato?»

«Sembra che mister Olivaw abbia dell'influenza. È tutto sistemato. Non tornerò mai più indietro.»

«Bene. Sarai più felice, Gladia. So che lo sarai.»

«Ho un po' di paura.»

«Lo so. Vuol dire che dovrai vedere in continuazione, e poi non avrai tutte le comodità che avevi su Solaria. Ma ci farai l'abitudine e, quel che più conta, dimenticherai tutto il terrore attraverso cui sei passata.»

«Non voglio dimenticare nulla» disse Gladia a bassa voce.

«Lo farai.» Baley guardò la sottile ragazza che gli stava davanti e disse, non senza una punta di sofferenza: «E un giorno ti sposerai, anche. Ti sposerai davvero, voglio dire».

«In un certo senso,» disse lei con tono addolorato «non mi sembra tanto attraente… in questo momento.»

«Cambierai idea.»

E rimasero in piedi a guardarsi per un lungo momento senza parole.

«Non ti ho mai ringraziato» disse Gladia.

«Era solo il mio lavoro.»

«Ora tornerai sulla Terra, vero?»

«Sì.»

«Non ti vedrò mai più.»

«Probabilmente no. Ma non sentirti triste per questo. Tra quarant'anni al massimo sarò morto e tu non sarai cambiata neanche un po' da come sei ora.»

Il volto di lei si contrasse. «Non parlare così.»

«È vero.»

Gladia parlò velocemente, come se si sentisse forzata a cambiare argomento: «Era tutto vero su Jothan Leebig, sai?».

«Lo so. Altri robotisti hanno scorso le sue registrazioni e hanno scoperto esperimenti su astronavi intelligenti senza equipaggio umano. Hanno trovato anche altri robot con le braccia smontabili.»

Gladia rabbrividì. «Ma perché pensi che abbia fatto una cosa tanto tremenda?»

«Aveva paura della gente. Si è ucciso per evitare una presenza personale ed era pronto a distruggere altri mondi per assicurarsi che Solaria e il suo tabù per la presenza personale non sarebbero mai stati toccati.»

«Come poteva essere così,» mormorò lei «quando la presenza personale può essere tanto…»

Ancora un momento di silenzio, mentre si fronteggiavano a dieci passi di distanza.

Poi Gladia gridò all'improvviso: «Oh, Elijah, penserai che sono una dissoluta!».

«Come sarebbe?»

«Posso toccarti? Non ti vedrò mai più, Elijah.»

«Se vuoi.»

Passo dopo passo venne più vicina, con gli occhi che le brillavano, pur sempre apprensiva. Venne avanti fino a un metro di distanza e si fermò. Poi lentamente, come in trance, cominciò a sfilarsi il guanto dalla mano destra.

Baley accennò a un gesto di moderazione. «Non fare stupidaggini, Gladia.»

«Non ho paura» disse lei.

La mano adesso era nuda. Tremava, mentre lei la tendeva.

E così faceva Baley, mentre la prendeva nella sua. Rimasero così per un momento, la mano di lei una piccola timida cosa spaventata che sembrava cercasse rifugio in quella di lui. Lui aprì la sua mano e quella di lei fuggì, saettò improvvisamente verso il volto del terrestre e i polpastrelli riposarono leggeri come piume sulle sue guance in un momento rivelatore.

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