«Hai una soluzione alternativa al crimine, collega Elijah?»
Nel corso del suo discorso Baley aveva dovuto sedersi, e ora cercò di rialzarsi, ma un misto di debolezza e di profondità della sedia lo sconfissero. Si limitò a ondeggiare petulantemente la mano. «Dammi una mano, vuoi, Daneel?»
Daneel si guardò la mano. «Prego, collega Elijah?»
Baley imprecò silenziosamente contro la mente letterale dell'altro e disse: «Aiutami a uscire dalla sedia».
Il forte braccio del robot lo sollevò dalla sedia senza sforzo.
«Grazie» disse Baley. «No, non ho una soluzione alternativa. Veramente ce l'avrei, ma tutto s'impernia su dove si trova l'arma.»
Andò con impazienza verso le pesanti tende che coprivano la maggior parte di un muro e ne sollevò un angolo, senza ben realizzare cosa stesse facendo. Rimase a fissare il riquadro nero di vetro, finché non si rese conto che stava guardando nella notte e allora lasciò cadere la tenda proprio mentre Daneel, che si era quietamente avvicinato, gliela toglieva dalle mani.
L'agguantò ancora, strappandola alla presa del robot. Gettandoci dentro tutto il suo peso, la strappò dalla finestra, lasciandoci solo dei brandelli penzoloni.
«Collega Elijah!» esclamò Daneel, sempre con gentilezza. «Certo ora sai che cosa ti può fare lo spazio aperto.»
«So» rispose Baley «che cosa farà per me.»
Guardava fisso fuori dalla finestra. Non c'era nulla da vedere, solo oscurità, ma quell'oscurità era aria aperta. Era spazio ininterrotto senza limiti, anche se senza luce, e lui vi stava di fronte.
E per la prima volta gli stava di fronte liberamente. Non era più per bravata, o per curiosità perversa, o come via obbligatoria per la soluzione di un omicidio. Gli stava di fronte perché sapeva di volerlo e perché ne aveva bisogno. La differenza era tutta lì.
Le mura erano stampelle! L'oscurità e la folla erano stampelle! Nel suo inconscio doveva averle sempre considerate così e averle odiate perfino quando credeva di amarle e di averne bisogno. Perché altrimenti si era risentito tanto della prigione grigia che Gladia aveva posto sul suo ritratto?
Si sentì pervaso da un senso di vittoria e, come se la vittoria fosse contagiosa, sorse un nuovo pensiero, bruciante come un grido interno.
Con il capo che gli girava Baley si rivolse a Daneel. «Lo so» sussurrò. «Giosafatte! Lo so!»
«Sai cosa, collega Elijah?»
«So che cosa è successo all'arma: so chi è il responsabile. All'improvviso ogni cosa è andata al suo posto.»
17. Si tiene una riunione
Daneel non aveva permesso nessuna azione immediata.
«Domani!» aveva detto con fermezza rispettosa. «È questo il mio suggerimento, collega Elijah. È tardi, e tu hai bisogno di riposo.»
Baley aveva dovuto ammetterne la verità e poi c'era bisogno di preparazione: una considerevole dose di preparazione. Aveva la soluzione dell'omicidio, di questo ne era sicuro, ma si basava sulla deduzione, come la teoria di Daneel, e quanto a prova era altrettanto debole. Avrebbero dovuto aiutarlo i solariani.
E se avesse dovuto affrontarli, un terrestre contro cinque o sei spaziali, avrebbe dovuto essere pienamente controllato. Il che voleva dire riposo e preparazione.
Eppure non sarebbe riuscito a dormire. Era certo che non avrebbe dormito. Non sarebbero servite affatto la morbidezza del letto speciale approntato per lui da robot che funzionavano quietamente, né il dolce profumo né la più dolce musica della camera speciale nella casa di Gladia. Ne era sicuro.
Daneel sedeva discreto in un angolo scuro.
Baley disse: «Hai ancora paura di Gladia?».
«Non credo che sia saggio» rispose il robot «lasciarti dormire solo e senza protezione.»
«Be', fa' come vuoi. Ti è chiaro quello che voglio che tu faccia, Daneel?»
«Sì, collega Elijah.»
«Non hai delle riserve a causa delle Prima Legge, spero.»
«Ne ho alcune sulla riunione che hai preparato. Sarai armato e attento alla tua sicurezza?»
«Ti assicuro di sì.»
Daneel si concesse un sospiro che in un certo senso era tanto umano che per un momento Baley si sorprese a cercare di penetrare l'oscurità in modo da poter studiare la perfezione meccanica del volto dell'altro.
«Non ho trovato sempre logico» disse Daneel «il comportamento umano.»
«Servono anche a noi Tre Leggi,» rispose Baley «ma sono contento che non le abbiamo.»
Fissava il soffitto. Moltissimo dipendeva da Daneel, eppure poteva dirgli molto poco di tutta la verità. C'entravano troppo i robot. Aurora aveva le sue ragioni per mandare un robot come rappresentante dei suoi interessi, ma era un errore. I robot hanno le loro limitazioni.
Eppure, se tutto andava bene, tutto avrebbe potuto aver termine entro dodici ore. Avrebbe potuto ripartire per la Terra entro ventiquattro, portando speranza. Uno strano tipo di speranza. Un tipo a cui poteva credere a malapena lui stesso, eppure era la via d'uscita della Terra. Doveva essere la via d'uscita della Terra.
La Terra! New York! Jessie e Ben! Il conforto, la familiarità e l'affetto di casa!
Si cullò con questo pensiero, mezzo addormentato, e pensare alla Terra non gli portò poi tanto quel conforto che si era aspettato. Tra lui e le Città c'era uno straniamento.
E, in qualche punto sconosciuto del tempo, tutto svanì nel sonno.
Dopo un buon sonno, Baley si svegliò, fece una doccia e si vestì. Fisicamente era del tutto preparato. Eppure era ancora insicuro. Non era tanto perché al pallore del mattino il suo ragionamento gli sembrasse meno persuasivo. Era piuttosto per la necessità di affrontare i solariani.
Poteva dopo tutto essere sicuro delle loro reazioni? O avrebbe ancora una volta dovuto lavorare alla cieca?
Gladia fu la prima a farsi viva. Era semplice per lei, naturalmente. Era su un circuito intramurale, visto che anche lei era nella casa. Era pallida e senza espressione, con una tunica bianca drappeggiata che la trasformava in una fredda statua.
Fissava inerme Baley. Baley le sorrise con gentilezza e lei sembrò trarre conforto da questo.
Uno per volta, apparvero. Attlebish, il Facente Funzioni del capo della Sicurezza, apparve subito dopo Gladia, magro e arrogante, con il largo mento disposto per un'aria di disapprovazione. Poi Leebig, il robotista, impaziente e rancoroso, con la palpebra cadente che batteva a intervalli regolari. Quemot, il sociologo, un po' stanco, che sorrise a Baley dal profondo degli occhi infossati, come a dire: noi due ci siamo visti, siamo stati intimi.
Quando apparve, Klorissa Cantoro sembrò a disagio per la presenza degli altri. Diede per un istante un'occhiata a Gladia, con un percettibile sbuffo, poi si mise a fissare il pavimento. Apparve per ultimo il dottor Thool. Sembrava smunto, quasi malato.
C'erano tutti tranne Gruer, che si stava riprendendo lentamente e la cui partecipazione era fisicamente impossibile. (Oh be', pensò Baley, ne faremo a meno.) Erano tutti vestiti con formalità e tutti sedevano in camere con le tende tirate.
Daneel aveva organizzato tutto piuttosto bene. Baley sperava fervidamente che andasse altrettanto bene quello che a Daneel restava da fare.
Baley guardò gli spaziali uno dopo l'altro. Il cuore gli batteva forte. Ogni immagine visionava da una stanza diversa e l'accostamento casuale tra luci, mobili e decorazioni murali faceva venire le vertigini.
«Voglio discutere» cominciò Baley «l'argomento dell'uccisione del dottor Delmarre sotto il profilo del movente, dell'opportunità e dei mezzi, in quest'ordine…»
«Sarà una cosa lunga?» lo interruppe Attlebish.
«Può darsi» fu la risposta tagliente. «Sono stato convocato qui a investigare su un omicidio, e questo lavoro è la mia specialità e la mia professione. So ben io come bisogna procedere.» (Non accettare nulla da loro, pensò, o tutta la cosa non funzionerà. Dominali! Dominali!)
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