Isaac Asimov - Il sole nudo

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Il sole nudo: краткое содержание, описание и аннотация

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Il Sole Nudo Ancora una volta un caso da risolvere.
Ancora una volta Uomo e Robot assieme.
Naturalmente, ancora una volta Baley e Olivaw.
E ricomincia il sottile duello tra uomo e robot, tra istinto e ragione. Un argomento che molti tratterebbero con superficiale banalità , ma che nella penna di Asimov raggiunge livelli di incredibile meraviglia.
Sarà  l’uomo a piegarsi alla razionalità  del robot, oppure R. Daneel Olivaw comprenderà  i meccanismi illogici del cervello umano?
Ancora una meravigliosa avventura che lascerà  il lettore estasiato.
La coppia più riuscita di tutta la letteratura di fantascienza.
Ancora una perla del geniale
Isaac Asimov.
Un romanzo degno del precedente (
) e un preludio eccellente al meraviglioso seguito:
.

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«Non sono abituato all'esterno.»

«È vero! Terrestre! Dovete stare dentro i pollai, o qualcosa del genere. Cieli azzurri!» Passò la lingua sulle labbra, come se assaggiasse qualcosa di poco appetitoso. «Be', allora entriamo, allora, ma prima aspetti che mi tolga di mezzo. Va bene. Entri.»

Aveva i capelli composti in due trecce che le giravano intorno al capo con uno schema complicato. Baley si chiese quanto tempo ci voleva per sistemare una simile acconciatura, per poi ricordarsi che con ogni probabilità il lavoro l'avevano fatto le dita instancabili di un robot.

I capelli mettevano in risalto il suo volto ovale e gli davano una specie di simmetria che lo rendeva piacevole, se non carino. Sul volto non portava trucco né, in quanto a questo, i suoi abiti servivano ad altro che a coprirla funzionalmente. Erano di uno spento blu scuro, tranne i guanti, lunghi fino al gomito, di un clamoroso lilla. Si sarebbe detto che questi ultimi non facessero parte del suo modo ordinario di vestire. Baley notò il rigonfiamento di un dito, che denunciava la presenza dell'anello sotto il guanto.

Si fermarono ai lati opposti di una sala, uno di fronte all'altro.

«Non le piace questo,» disse Baley «non è vero, signora?»

Klorissa scrollò le spalle. «E perché dovrebbe piacermi? Non sono un animale. Però posso sopportarlo. Si diventa duri, quando, si ha a che fare con… con…» fece una pausa, poi alzò il mento come se si fosse decisa a dire quello che doveva dire senza eufemismi, «con bambini.» Pronunciò la parola con attenta precisione.

«Si direbbe che non le piaccia il suo lavoro.»

«È un lavoro importante. Dev'essere fatto. Comunque non mi piace.»

«E a Rikaine Delmarre piaceva?»

«Immagino di no, ma non lo faceva mai intendere. Era un buon solariano.»

«Ed era pedante.»

Klorissa sembrò sorpresa.

«L'ha detto lei» disse Baley. «Quando prima ci visionavamo e io ho detto che avrebbe potuto rivestirsi in privato, lei ha detto che ero pedante come il capo.»

«Ah. Be', certo che era pedante. Anche visionando non si prendeva mai libertà. Sempre educato.»

«E questo era insolito?»

«Non dovrebbe esserlo. In teoria chiunque dovrebbe essere corretto, ma nessuno lo è mai. Non quando si visiona. Non è implicata nessuna presenza personale, così perché prendersi tanta pena? Sa una cosa? Io non mi prendevo mai pena quando visionavo, tranne che con il capo. Con lui bisognava essere formali.»

«Ammirava il dottor Delmarre?»

«Era un buon solariano.»

«Ha chiamato fattoria questo posto e ha menzionato bambini. Allevate i bambini, qui?»

«Da quando hanno un mese. Tutti i feti di Solaria vengono qui.»

«Feti?»

«Sì.» Rabbrividì. «Li prendiamo un mese dopo il concepimento. La imbarazza questo?»

«No» si limitò a dire Baley. «Mi fa vedere in giro?»

«Certo, però mantenga la distanza.»

Il lungo volto di Baley sembrava di pietra, tanto era arcigno, mentre guardava dall'alto per tutta la lunghezza della sala. Tra il locale e loro c'era una vetrata. Dall'altra parte, ne era sicuro, c'era una temperatura perfettamente controllata, un'umidità perfettamente controllata, un'asepsi perfettamente controllata. Quei serbatoi in fila gli uni dietro gli altri contenevano ciascuno una piccola creatura che fluttuava in un liquido acquoso di precisa composizione, infuso di una miscela nutriente di proporzioni ideali. Ne conseguivano vita e crescita.

Piccole cose, alcune più piccole del suo pugno, si arrotolavano su se stesse, con crani sporgenti e microscopiche labbra che germogliavano e code in via di sparizione.

Dalla sua posizione a molti metri di distanza, Klorissa disse: «Le piace, agente?».

«Quanti ne avete?»

«Fino a questa mattina, centocinquantadue. Ne riceviamo da quindici a venti al mese e ne dichiariamo indipendenti altrettanti.»

«Questa è l'unica istituzione del genere sul pianeta?»

«Esatto. È sufficiente a mantenere la popolazione stabile, considerando una spettanza di vita di trecento anni e una popolazione di ventimila. Questo edificio è completamente nuovo. Il dottor Delmarre ne aveva supervisionato la costruzione e aveva apportato molti cambiamenti nelle nostre procedure. Il nostro tasso di mortalità perinatale è ora praticamente zero.»

Dei robot camminavano intorno ai serbatoi. Ad ognuno si fermavano a controllare instancabilmente e meticolosamente, guardando il piccolo embrione all'interno.

«Chi opera la madre?» chiese Baley. «Voglio dire, per prelevare le piccole cose.»

«Dottori» rispose Klorissa.

«Il dottor Delmarre?»

«Naturalmente no. Dottori in medicina. Non avrà mica pensato che il dottor Delmarre si abbassasse a… Be', non importa.»

«Perché non si possono usare i robot?»

«Robot in chirurgia? La Prima Legge lo rende molto difficile, agente. Un robot potrebbe operare un'appendicectomia e salvare una vita umana, se sapesse come, ma dubito che poi potrebbe essere più usato senza riparazioni sostanziali. Per un cervello positronico tagliare della carne umana sarebbe un'esperienza traumatica. I dottori umani possono allenarsi a indurirsi. Anche alla richiesta di presenza personale.»

«Noto che però i robot badano ai feti» osservò Baley. «Lei e il dottor Delmarre non interferivate mai?»

«Qualche volta dovevamo, quando le cose non andavano per il loro verso. Per esempio quando un feto aveva difficoltà di sviluppo. Non si può chiedere ai robot di giudicare con accuratezza una situazione in cui è implicata una vita umana.»

Baley annuì. «Troppo rischio di un giudizio sbagliato e di una vita persa, suppongo.»

«Niente affatto. Troppo rischio di sopravvalutare una vita e di salvarla, sbagliando.» Sembrava che la donna si fosse irrigidita. «Come ingegneri fetali, Baley, badiamo che nascano bambini in piena salute: solo quelli in piena salute. Anche la migliore analisi genetica dei genitori non può garantire che tutte le permutazioni e le combinazioni dei geni saranno favorevoli, per non parlare della possibilità di mutazioni. È quella la nostra preoccupazione principale, la mutazione inattesa. Di queste abbiamo una proporzione di meno di una per mille, ma ciò significa che in media abbiamo il guaio ogni decade.»

Si mosse lungo la veranda e Baley la seguì.

«Le mostrerò i nidi dei bambini» annunciò «e i dormitori dei giovani. Sono un problema molto maggiore dei feti. Con loro possiamo fare solo un limitato affidamento sul lavoro dei robot.»

«E questo perché?»

«Lo saprebbe se solo avesse mai cercato di insegnare a un robot l'importanza della disciplina. A questo la Prima Legge li rende quasi refrattari. E non pensi che i bambini non lo imparino non appena cominciano a parlare. Ne ho visto uno di tre anni che teneva immobilizzati una decina di robot continuando a gridare: “Mi farai male, sto male, sto male”. Ci vuole un robot estremamente sofisticato per essere in grado di capire quando un bambino mente deliberatamente.»

«Il dottor Delmarre sapeva controllare i bambini?»

«Di solito.»

«E come faceva? Andava tra loro e cercava di fargli entrare un po' di sale in zucca?»

«Il dottor Delmarre? Toccarli? Cieli azzurri! Certo che no! Ma sapeva parlare loro. E sapeva dare particolari ordini a un robot. L'ho visto visionare un bambino per quindici minuti, mantenendo un robot in posizione di sculacciamento per tutto questo tempo, facendolo sculacciare… sculacciare… sculacciare. Un po' di questa cura e il bambino non avrebbe più corso il rischio di cercare d'imbrogliare il capo. E il capo era abbastanza abile, tanto che dopo al robot non necessitava che una riparazione di routine.»

«E lei? Lei va mai in mezzo ai bambini?»

«Temo di doverlo fare ogni tanto. Io non sono come il capo. Forse un giorno riuscirò a padroneggiare bene la faccenda a distanza, ma ora come ora, se provassi, rovinerei i robot. C'è un'arte nel controllare veramente bene i robot, lo sa. Però, quando ci penso… Andare in mezzo ai bambini. Piccole bestie!»

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