«Lui ti vedeva , no?»
«Non è cosa di cui si parli, ma effettivamente mi vedeva.»
«Avete bambini?»
Gladia balzò in piedi agitatissima. «Questo è troppo! Di tutte le indecenti…»
«Aspetta, ora. Aspetta! » Baley picchiò il pugno sul bracciolo della sedia. «Non fare difficoltà. Questa è un'investigazione per omicidio. Capisci? Omicidio. Ed era tuo marito, quello che è stato assassinato. Vuoi che l'assassino sia trovato e punito o no?»
«Allora chiedimi dell'omicidio, non di… di…»
«Devo chiedere di tutto. Intanto voglio sapere se ti dispiace che tuo marito sia morto.» Aggiunse, con calcolata brutalità: «Si direbbe di no».
Lei lo fissava altera. «Quando qualcuno muore mi dispiace, specie se era giovane e utile.»
«Il fatto che si trattasse di tuo marito non è un po' più di questo?»
«Mi era stato assegnato e, be', ci vedevamo l'un l'altro secondo il programma e… e…» cominciò a parlare fitto «e, se proprio vuoi saperlo, non abbiamo bambini perché non ce n'era ancora stato assegnato nessuno. Non vedo che cosa c'entri tutto questo con l'essere spiacente per la morte di qualcuno.»
Forse non c'entrava nulla, pensò Baley. Dipendeva dagli eventi sociali di questa vita a cui non aveva ancora fatto l'abitudine.
Cambiò argomento. «Mi hanno detto che hai conoscenze dirette delle circostanze del delitto.»
Sembrò per un momento che diventasse tesa. «Ho… scoperto il corpo. È così che dovrei dirlo?»
«Allora non hai personalmente assistito all'omicidio.»
«Oh, no» disse lei debolmente.
«Be', supponiamo che tu mi dica che cosa è successo. Mettici tutto il tempo che vuoi e racconta con parole tue.» Si rimise a sedere, accingendosi ad ascoltare.
«Erano le tre-due del quinto…» cominciò lei.
«Che ore erano in tempo standard?» si affrettò a chiedere Baley.
«Non ne sono sicura. Davvero, non lo so. Puoi controllare, immagino.»
Sembrava che la voce le tremasse e teneva gli occhi spalancati. C'era dentro troppo grigio perché li si potesse definire azzurri, notò lui.
«Lui era venuto nelle mie stanze» continuò Gladia. «Era il giorno che ci avevano assegnato per vederci e io sapevo che sarebbe venuto.»
«È sempre venuto nel giorno assegnato?»
«Oh, sì. Era un uomo molto coscienzioso, un buon solariano. Non ha mai saltato un giorno assegnato, e veniva sempre alla stessa ora. Naturalmente non restava a lungo. Ancora non ci hanno assegnato b…»
Non riusciva a finire la parola, ma Balev annuì.
«Comunque,» continuò lei «veniva sempre alla stessa ora, sai, in modo che sarebbe stato tutto più comodo. Parlavamo qualche minuto; vedersi è una bella prova, ma lui mi parlava del tutto normalmente. Era fatto così. Poi mi lasciava per lavorare a qualche progetto che aveva in cantiere, non sono sicura quale. Nelle mie stanze aveva uno speciale laboratorio in cui poteva ritirarsi nei giorni di visita. Nelle sue, ne aveva uno molto più grande, naturalmente.»
Baley si chiese che cosa facesse in quei laboratori. Fetologia, forse, qualunque cosa fosse.
Chiese: «Sembrava poco naturale in qualcosa? Preoccupato?».
«No. No. Non era mai preoccupato.» Fu sul punto di sorridere, ma si trattenne. «Ha sempre avuto un perfetto controllo, come quel tuo amico lì.» Per un breve istante la sua piccola mano si stese a indicare Daneel, che non mosse ciglio.
«Vedo. Be', continua.»
Gladia non lo fece. Invece sussurrò: «Non ti dispiace se mi prendo un drink?».
«Te ne prego.»
La mano di lei scivolò per un istante sul bracciolo. In meno di un minuto la raggiunse un robot con una bevanda calda (Baley poteva vedere il vapore). Lei bevette a piccoli sorsi per poi appoggiare il calice.
«Così va meglio» disse. «Posso farti una domanda personale?»
«Chiedi tutto quello che vuoi.»
«Be', ho letto un sacco di cose sulla Terra. Mi ha sempre interessato, sai? È un mondo così stravagante… » annaspò e aggiunse immediatamente: «Non volevo dir questo».
Baley fremeva un poco. «Qualunque mondo è stravagante per la gente che non ci vive.»
«Intendo dire che è diverso. Lo sai. Comunque voglio farti una domanda molto maleducata. Almeno spero che non sembri troppo maleducata a un terrestre. Non la farei a un solariano, naturalmente. Per nessuna cosa al mondo.»
«Che cosa vuoi chiedermi, Gladia?»
«Su te e sul tuo amico… Mister Olivaw, vero?»
«Sì.»
«Voi due non vi state visionando, vero?»
«Che cosa vuoi dire?»
«Voglio dire l'un l'altro. Vi state vedendo. Siete lì, tutti e due.»
«Siamo fisicamente insieme. Sì.»
«Tu potresti toccarlo, se lo volessi.»
«Esatto.»
Lei continuava a guardare l'uno e l'altro, poi disse: «Ah».
Poteva significare qualunque cosa. Disgusto? Repulsione?
Baley si bloccò con l'idea di alzarsi, andare da Daneel e piazzargli una mano in mezzo alla faccia. Avrebbe potuto essere interessante osservare la reazione di lei.
«Eri sul punto» disse invece «di proseguire con gli eventi della giornata, quando è venuto a visitarti tuo marito.» Era del tutto certo che quella digressione, per quanto per lei intrinsecamente interessante, era motivata soprattutto dalla voglia di evitare proprio questo.
Per un istante lei tornò al suo drink. Poi: «Non c'è molto da dire. Ho visto che era occupato, e sapevo che lo sarebbe stato, comunque, perché era sempre occupato con qualche lavoro costruttivo, così sono tornata alle mie occupazioni. Poi, forse quindici minuti dopo, ho udito un grido».
Ci fu una pausa. Baley la incitò: «Che tipo di grido?».
«Rikaine» rispose lei. «Di mio marito. Solo un grido. Niente parole. Un grido di paura. No! Di sorpresa, per lo shock. Qualcosa del genere. Non l'avevo mai sentito gridare prima.»
Portò le mani alle orecchie come per chiudere anche alla memoria il ricordo di quel suono, e l'accappatoio le scivolò lentamente fino alla vita. Lei non ci fece caso e Baley cominciò a fissare fermamente il taccuino.
«E allora che cos'hai fatto?» chiese.
«Ho corso. Ho corso. Non sapevo dov'era…»
«Credevo avessi detto che era andato al laboratorio che possedeva nelle tue stanze.»
«Infatti, E… Elijah, ma io non sapevo dov'era. Non con sicurezza, per lo meno. Non c'ero mai entrata. Era il suo. Avevo una vaga idea della direzione. Sapevo che si trovava in qualche parte della zona ovest, ma ero tanto agitata che non ho neanche pensato a chiamare un robot. Uno di loro mi avrebbe guidato con facilità, ma naturalmente senza essere stato chiamato non ce n'è uno che venga. Quando finalmente sono giunta là — in un modo o nell'altro l'avevo trovato — lui era morto.»
Smise di parlare e, con acuto disagio di Baley, chinò il capo e si mise a piangere. Non fece nessun tentativo di coprirsi la faccia. Chiuse semplicemente gli occhi e le lacrime cominciarono a rotolarle lentamente sulle guance. Tutto accadeva in silenzio. Le spalle nude le tremavano.
Poi aprì gli occhi per guardarlo attraverso le lacrime. «Non avevo mai visto un morto, prima. Era tutto sanguinante e aveva la testa… proprio… tutta… In qualche modo ho chiamato un robot e lui ha chiamato gli altri e immagino che si siano presi cura di me e di Rikaine. Non ricordo. Non…»
«Che cosa vuoi dire» chiese Baley «con “si sono presi cura di Rikaine”?»
«L'hanno portato via e hanno pulito.» Nella sua voce c'era una piccola incrinatura d'indignazione: la signora della casa sensibile alle sue condizioni. «Era tutto sporco.»
«E che cosa è successo al corpo?»
Lei scosse la testa. «Non lo so. Cremato, immagino. Come si fa per i morti.»
«Non hai chiamato la polizia?»
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