Inserì un’altra sequenza. Lo schermo s’illuminò del chiarore bianco, morbido e uniforme, dell’S-Spazio. Qualche istante dopo comparve su di esso un tracciato scuro di reticoli poliedrici, pannelli congiunti di filamenti d’argento. — Uno di questi l’hai visto anche tu, mi è stato detto. Garzaioli e pipistrelli, probabilmente la prima intelligenza aliena scoperta dall’uomo. Ci siamo imbattuti in loro ventimila anni terrestri or sono, non appena le sonde dello spazio profondo cominciarono a viaggiare con gli equipaggi nell’S-Spazio. Ma in verità non siamo ancora sicuri se abbiamo incontrato o no un’intelligenza… È interessante?
Sy scrollò le spalle senza impegnarsi.
— Ma non talmente interessante? — Judith Niles toccò di nuovo la consolle di controllo. — Sono d’accordo. È interessante in maniera astratta, ma niente di più, a meno che gli esseri umani non imparino a instaurare un vero dialogo con loro. Bene, noi ci abbiamo provato. Abbiamo localizzato le loro frequenze preferite di emissione, e abbiamo scoperto che un semplice segnale in sequenza li fa allontanare, dissuadendoli dal drenare le nostre riserve d’energia. Ma non si tratta di un grande messaggio, e non si è mai andati oltre. I garzaioli e i pipistrelli si sono dimostrati una sorta di vicolo cieco. Ma hanno svolto una funzione d’enorme importanza. Ci hanno messo sull’avviso, permettendoci d’individuare una particolare banda di frequenze. Abbiamo cominciato ad ascoltare su quelle frequenze tutte le volte che eravamo nello spazio profondo e pensavamo che potesse esserci un garzaiolo lì intorno. Ed è stato allora che abbiamo cominciato a intercettare altri segnali sulla stessa banda di frequenza: regolari pulsazioni codificate a bassa frequenza, con uno schema come questo.
Sullo schermo comparve una serie di curve altalenanti, la ripetizione costante d’un complicato tracciato sinusoidale, inframmezzato a intervalli regolari da sprazzi più intensi d’energia pulsante.
— Ci convincemmo che si trattava di segnali, non di semplici emissioni naturali. Ma erano deboli e intermittenti, e non riuscivamo a localizzare le loro fonti. Talvolta una nave interstellare in transito captava un segnale sul ricevitore, abbastanza a lungo perché l’equipaggio riuscisse a puntare un’antenna nella direzione della sorgente del segnale, nel tentativo di captare un’immagine. Ed effettivamente un’immagine compariva, ma debole e incerta, che veniva persa quando la nave passava oltre. Era un tormento, ma nel corso degli anni riuscimmo a mettere insieme un’intera biblioteca di queste immagini parziali e sfocate. Alla fine ne raccogliemmo abbastanza da immettere il tutto in un computer, cercando uno schema. Ne trovammo uno: gli «avvistamenti» avevano luogo soltanto vicino ai punti medii dei viaggi, e soltanto quando le navi erano maggiormente lontane da qualunque corpo materiale e da altre fonti di segnali. I segnali, in altre parole, venivano ricevuti soltanto quand’eravamo nello spazio profondo, e quanto più profondo era, tanto meglio.
«A questo punto sapevamo di vedere qualcosa di diverso dai garzaioli e dai pipistrelli. Le nuove fonti erano molto deboli e distanti, e il profilo ricostruito dell’immagine mostrava l’accento di una struttura a spirale, niente di simile a quei pannelli poliedrici. Ma avevamo ancora troppo poche informazioni. Sembrava un affascinante mistero scientifico, ma non molto di più. Fu allora che Otto Kermel propose una serie di missioni per una ricerca a lungo termine e uno studio di quegli oggetti.
«Io non merito proprio nessun credito per ciò che accadde dopo. Pensavo che la sua idea non ci avrebbe condotto da nessuna parte e gli concessi il minimo delle risorse e del sostegno indispensabili. Lui fece tutto il lavoro pionieristico da solo. Gli demmo l’uso di una nave monoposto, e lui se ne andò, raggiungendo un luogo tranquillo a circa sette anni-luce da Sol. Aveva dedotto che l’assenza di campi elettromagnetici e gravitazionali era essenziale per studiare quegli oggetti. Malgrado il suo primo obbiettivo fosse quello di comunicare, scoprì che un messaggio di andata e ritorno spedito anche al più vicino di loro impiegava due S-anni. Ciò gli impose dei limiti, ma durante i suoi studi scoprì un mucchio di altre cose.
«Primo: scoprì molti Oggetti Kermel in giro per la Galassia. I segnali che intercettiamo non sono diretti a noi. Noi stavamo origliando alle trasmissioni fra i Kermel, e quei segnali che si scambiano tra loro sono numerosi. Basandosi sulla lunghezza di quelle trasmissioni, Otto concluse che gli Oggetti Kermel sono immensamente vecchi, con un ritmo biologico naturale così lento che l’S-Spazio è del tutto inadeguato per studiarli: durante migliaia di anni terrestri ricevette soltanto segnali parziali. Otto sostenne di essere in grado di decodificare in parte i loro messaggi, e si convinse che esistevano sin dalla formazione dell’universo, da prima del Big Bang, stando a uno dei suoi rapporti più inverosimili. Ha suggerito che si riproducano non scambiandosi materiale genetico, ma scambiandosi via radio informazioni genetiche. Non siamo stati in grado di verificare nessuna di queste ipotesi, e Otto non è stato in grado di fornire abbastanza dati come prova convincente. Quello che gli serviva era il T-stato, e una possibilità per dei periodi di studio più estesi, in una scala temporale più adeguata agli Oggetti Kermel. Ma il caso ha voluto che partisse per una seconda spedizione appena prima che venisse scoperto il T-stato. E non è mai più tornato.
«Però, all’epoca in cui partì, avevamo cambiato le nostre idee sull’utilità pratica di studiare gli Oggetti Kermel. Decidemmo che si trattava di qualcosa d’importanza cruciale per il futuro della razza umana. Abbiamo continuato il suo lavoro, ma senza buona parte del suo data-base. Guarda questo.
Judith Niles proiettò un’altra scena. — Ti sembra familiare?
Sy la studiò per un secondo o due, poi scrollò le spalle. — È l’immagine d’una galassia a spirale, vista dall’alto, guardando giù verso il disco. Non so proprio quale sia.
— Giusto. Non c’è nessun modo per riconoscerla, ma è questa Galassia, vista dall’esterno. Questo segnale è stato registrato da Otto Kermel, proveniente da uno degli Oggetti situato in alto, sopra il piano galattico. Questa immagine è arrivata come parte del segnale, insieme ad esso. — A un ordine battuto sulla tastiera, un’altra immagine comparve accanto alla precedente sullo schermo diviso in due, fianco a fianco con la prima. Era la stessa galassia, ma adesso l’intrinseca struttura stellare veniva mostrata in colori diversi. — Continua a guardare con attenzione. Sto per zoomare.
I campi stellari presero ad allargarsi in maniera costante a mano a mano che il campo visivo si avvicinava per mettere a fuoco uno dei bracci a spirale. Ben presto fu possibile distinguere sullo schermo le singole stelle.
Judith Niles fermò la zoomata. — Una volta che sei in grado di vedere le singole stelle, puoi apprezzarne l’evoluzione nel tempo. Le stelle nell’immagine di destra sono state codificate con i colori a seconda del tipo spettrale. E guardando le stelle nel nostro circondario è stato facile per noi leggere i codici di colore. Per esempio, Sol è una stella G-2V, e i tipi G compaiono qui in verde pallido. Le giganti rosse appaiono col magenta, quelle di tipo O, supergiganti, sono violacee, le nane rosse, giallo-arancio. C’era un altro importante frammento d’informazione nell’immagine. Osservando la distribuzione delle stelle in qualcuno dei principali ammassi stellari, siamo stati in grado di determinare la data. Tutte le prove coincidevano fra loro, e ci hanno detto che l’immagine rappresentava la situazione di settemila anni terrestri or sono. Quando Otto Kermel ricevette un altro segnale dello stesso tipo, pensò che fosse soltanto una copia, ma non lo era. Eccolo qua.
Читать дальше