Sy si lasciò andare sullo schienale della sua poltrona. Sarebbe stata una bella ironia se la soddisfazione derivante da quell’incontro di cervelli fosse giunta allo stesso tempo d’un problema troppo grosso per tutti e due.
Un’ora più tardi Sy era ancora nell’identica posizione. Malgrado tutti gli sforzi fatti, la sua mente era tornata inesorabilmente a un solo punto focale: gli Oggetti Kermel. Cominciò a vedere l’universo come dovevano vederlo loro, da quel punto di vista unico offerto ad essi da una lunghissima prospettiva evolutiva nel tempo. Con la disponibilità del T-stato, gli esseri umani avevano ora la possibilità di sperimentare l’altra visione del mondo.
Qui c’era un cosmo che era esploso da un punto di singolarità iniziale di calore e luce incomprensibili, nel quale delle grandi galassie si erano formate, si erano avvolte a spirale, e avevano ruotato intorno al proprio asse centrale come immense girandole. Si erano ammassate insieme in approssimative famiglie galattiche, avevano emesso getti di gas e radiazioni superenergetiche, erano entrate in collisione ed erano passate le une attraverso le altre, e avevano generato al loro interno immense nebulose gassose. I soli si erano rapidamente formati da nubi oscure di polvere e di gas, sbocciando dal rosso più cupo al biancoazzurro più fiammeggiante.
Mentre Sy guardava con l’occhio della sua mente, le stelle s’illuminarono, si espansero, esplosero, divennero più fioche, scagliarono fuori sfilze di pianeti, oppure rotearono vertiginosamente le une intorno alle altre. Una miriade di frammenti planetari si raffreddarono, si creparono, e alitarono le loro guaine protettive di gas. Catturarono la scintilla della vita dentro i loro oceani d’acqua e d’aria, l’alimentarono, la nutrirono, e alla fine la scagliarono in alto spazio circostante. Poi vi fu un ribollente tremolio di vita intorno alle stelle, una danza browniana d’incessante attività umana contro il mutevole sfondo stellare. Lo spazio vicino alle stelle si riempì del battito d’ali del colibrì e del luccichio della vita organica intelligente. L’intero universo giaceva aperto davanti ad essa.
E adesso il T-stato era diventato essenziale. Pianeti usati come base dagli umani, meno di effimere, guizzarono attraverso la loro breve esistenza in una minuscola frazione del giorno cosmico. L’intera storia umana aveva fatto il suo corso in una singola T-settimana, mentre l’umanità usciva dal turbinare da dervisci dei pianeti nello spazio intorno a Sol. Poi l’S-Spazio aveva dato loro le stelle più vicine; ma l’intera Galassia e le immensità beanti dello spazio intergalattico li chiamavano ancora. E in quello spazio, nel T-stato, gli esseri umani sarebbero stati liberi di prosperare per sempre.
Sy si abbandonò sullo schienale, inebriato dalla sua nuova visione. Poteva vedere un sentiero luminoso che nasceva dai primordi dell’umanità, stendendosi ininterrotto fino al più lontano futuro. Era la strada per l’eternità. Ed era una strada che lui voleva intraprendere, qualsiasi fossero state le conseguenze.
Elissa fu l’ultima ad arrivare alla riunione. Mentre si affrettava a entrare nella sala conferenze per prendere posto, lanciò uno sguardo intorno al tavolo, e rimase subito colpita dalla strana disposizione delle sedie. Judith Niles sedeva sola a capotavola, la testa china in avanti, gli occhi fissi sulla consolle di controllo incorporata nel tavolo davanti a lei. Sy sedeva subito alla sua destra, e Peron accanto a lui, con una sedia vuota fra loro. Peron pareva un po’ a disagio, mentre era ovvio che Sy si trovava ad un milione di miglia di distanza, immerso in qualche sua preoccupazione privata. Wolfgang Gibbs e Charlene Bloom occupavano sedie ai lati opposti del tavolo. Sedevano molto vicini l’uno all’altra, ma alquanto discosti dagli altri. Wolfgang aggrottava la fronte, chiaramente di cattivo umore, e si masticava un’unghia, mentre Charlene Bloom lanciava occhiate all’uno e all’altro dei presenti, con le palpebre che le sbattevano rapide. Elissa la fissò con molta attenzione. Un nervosismo al livello estremo? Certo, sembrava di sì, ma senza nessun motivo ovvio. E su tutta la stanza gravava una tranquillità innaturale, senza il normale, casuale chiacchierio che precedeva anche le riunioni più serie. Nel suo insieme, l’atmosfera era tesa, glaciale.
Elissa ristette, rimanendo in piedi. Aveva una scelta: sedersi davanti a Sy, nel posto libero tra Wolfgang e il Direttore… oppure accanto a Sy e a Peron; o addirittura all’altra estremità del tavolo, proprio davanti al Direttore. Judith Niles sollevò la testa. Elissa subì una breve occhiata scrutatrice da parte di quegli occhi intensi, poi il Direttore accennò brevemente col capo in segno di saluto. Pareva remota e preoccupata almeno quanto Sy.
— Al lavoro — disse finalmente Judith Niles. — A quanto so, Sy vi ha informato tutti e due del nostro incontro e della conversazione che abbiamo avuto… non è così?
Peron ed Elissa si guardarono. — Nei dettagli — disse Elissa. Aspettò una reazione da Peron, ma lui non parlò. — Comunque, abbiamo ancora delle domande — aggiunse.
Judith Niles annuì. — Sono convinta che ne avete. Forse è meglio, però, che per prima cosa ascoltiate quello che ho da proporre. Questo potrebbe già rispondere a molte delle vostre domande. Se così non fosse, le prenderemo in considerazione più tardi.
Le sue parole erano state espresse come un suggerimento, ma il tono della sua voce mostrava che non si aspettava nessuna obiezione.
Nessuno replicò, infatti. Wolfgang chinò la testa e parve studiare la plastica granulosa della superficie del tavolo trasformata in una macchia vellutata dalle stranezze dell’ottica dell’S-Spazio. Charlene fissò con ansia gli altri, seduti intorno al tavolo, poi riportò lo sguardo sul Direttore.
— È interessante che l’arrivo, qui, di voi tre, debba coincidere con un punto culminante delle mie decisioni — proseguì Judith Niles. — Anche se potrei precisare che è stata proprio la vostra presenza qui a Gulf City ad affrettare il punto. Ormai conoscete qualcosa della nostra storia, qui. Per quindicimila anni terrestri il lavoro di ricerca, qui, ha continuato a controllare, senza interruzioni, i messaggi provenienti dagli Oggetti Kermel, a sviluppare nuove tecniche per il rallentamento della consapevolezza, concepite per consentirci di uguagliare con più efficacia la velocità di trasmissione dei Kermel; e a compiere molti tentativi di comunicare direttamente con loro. Adesso siamo sicuri dell’estrema antichità dei Kermel, e abbiamo imparato come presentare in maniera affidabile i segnali ricevuti da essi, come schemi ad una, due o tre dimensioni. Abbiamo avuto conferma attraverso procedure indipendenti che i mutamenti dei tipi stellari in questo braccio a spirale della nostra galassia sono reali. E finalmente cominciamo a cogliere degli spiragli sul modo di rallentare ancora di più le velocità dell’esperienza soggettiva, al di là anche del T-stato.
«Questi sono programmi importanti. Però non c’è. bisogno che vi faccia notare che saranno tutti privi di valore a meno che non riusciamo a imparare il modo d’inibire la stellaformazione delle stelle di tipo G. Ci troviamo davanti alla possibilità di archi di vita enormemente estesi, senza nessun luogo in cui vivere se non lontano dalle nostre stelle native. Se ciò dovesse accadere, ci troveremmo anche ad affrontare l’estinzione di tutte le nostre colonie planetarie. E questo è un pensiero intollerabile, anche dimenticando la necessità di reclutare gente dallo spazio normale per l’S-Spazio.
«Prima che voi arrivaste, il personale anziano di Gulf City, e in particolare Wolfgang, Charlene ed io, ci eravamo preoccupati a lungo e seriamente della lentezza dei nostri progressi. Ho deciso, qualche tempo fa, che la velocità dei nostri sforzi andava accelerata, in qualunque modo. Questa è un’assoluta necessità. E per farlo, ho deciso di compiere un passo senza precedenti. Voi… voi tre siete, in modo unico, il fulcro di questo passo.
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