«Mentre ancora eravamo indaffarati ad elaborare un sistema sociale stabile lontano dalla Terra, e alcuni di noi stavano anche imparando a vivere nell’S-Spazio, non avemmo il tempo di preoccuparci di ciò che stava accadendo all’ Eleonora e alle altre arcologie. E a dire il vero, non ce ne importava un accidente. Ma nostra logica diceva che ci avevano disertato egoisticamente e che perciò potevano andare al diavolo. Per quello che ci riguardava, potevano volar via e marcire.
«Ma dopo un po’, quelli di noi che vivevano nell’S-Spazio (io fui una delle prime persone ad accettare l’ibernazione in Modo Due) divennero molto curiosi. Vedete, sapevamo di avere le stelle a portata di mano. Avevamo la propulsione che ci serviva, e il tempo necessario per farlo. E Helena , Melissa ed Eleonora si erano tutte dirette all’esterno del Sistema Solare in direzioni diverse. Non sapevamo quanto i motivi della loro partenza fossero dettati da un vero interesse per l’esplorazione, e quanto invece dal timore di una rappresaglia da parte nostra. Noi non avevamo progettato vendette di nessun tipo, ma loro , come avrebbero potuto saperlo? Tutte e tre avevano mostrato segni di paranoia, quand’erano state colonizzate la prima volta. Diventammo sempre più curiosi di sapere cos’era successo a quelle tre arcologie.
«Alla fine equipaggiammo quattro navi con robot di servizio, simili a quelli che si trovano a bordo di questa nave, e con sistemi di sopravvivenza limitati. Non ci serviva un riciclaggio perfetto, soltanto quello sufficiente a pochi mesi di viaggio nell’S-Spazio. Il progetto definitivo dette a queste navi una portata esplorativa utile di cinquanta anni-luce. Sapevamo che, a causa della loro bassa velocità, le arcologie non potevano essere più lontane di così. E i profili stellari nelle vicinanze di Sol ci davano un’idea abbastanza chiara di dove era più probabile che fossero dirette le navi-colonia. I sistemi politici possono anche cambiare, ma le limitazioni fisiche esistono sempre. Pensavamo di trovarli a una ventina di anni-luce di distanza.
«Quando ogni cosa fu pronta, le nostre navi salparono con i loro equipaggi di volontari. Non eravamo a corto di gente disposta a fare il viaggio: aggiunsi alla lista anche il mio nome, ma non ce la feci. Erano in troppi ad avere qualifiche molto migliori della mia per i viaggi interstellari.
«Risultò che avevamo valutato per eccesso la distanza percorsa dalle arcologie. Non avevamo preso in sufficiente considerazione le difficoltà che Melissa e le altre potevano avere a bordo. Non era stato affatto un viaggio tranquillo. Era scoppiata una guerra civile su Melissa , Eleonora aveva conosciuto un collasso economico, e c’era stato un guasto alla centrale dell’energia di Helena. Queste variabili avevano influenzato sia la loro velocità che la loro direzione. Helena , addirittura, per un po’ aveva invertito la rotta, tornando verso Sol, fino a quando il guasto non era stato riparato e aveva potuto puntare di nuovo verso l’esterno.
«Le nostre navi non ebbero nessun problema a seguire le rotte e a ritrovare le arcologie. Dopotutto, non avevano nessun motivo di aspettarsi un inseguimento, e niente da guadagnare a nascondere la loro presenza. Ma quando le raggiungemmo scoprimmo che nessuna arcologia aveva trovato un pianeta abitabile, e tutte e tre si trovavano ancora nelle profondità dello spazio interstellare. Dopo aver fatto rapporto a noi (i segnali radio nell’S-Spazio impiegavano soltanto un paio di giorni per arrivare) concordammo che non avremmo stabilito contatto con esse. Decidemmo di non far nulla, e di non interferire in nessuna maniera, a meno che una arcologia si trovasse in reale pericolo di estinzione. Non avevano chiesto aiuto e noi non volevamo darlo. Ai vostri antenati sarebbe stato permesso di vagare nello spazio fino a quando non avessero trovato un pianeta abitabile, oppure non avessero deciso che una vita permanente nello spazio era la più adatta a loro. A questo punto avremmo ripreso in considerazione un possibile contatto.
«Le nostre navi lasciarono delle sonde automatiche da rilevamento per seguire le arcologie e riferire i loro movimenti, e tornarono verso casa.
«Potrebbe sembrarvi strano che le arcologie c’interessassero così poco. Ma noi non avevamo nessuna fretta. Potevamo aspettare nell’S-Spazio e vedere quello che sarebbe successo. E certamente avevamo un mucchio di altre cose che c’interessavano, poiché a quell’epoca la Terra veniva di nuovo visitata in maniera regolare.
«Comunque, avevamo dei dubbi che là gli esseri umani potessero prosperare. Il lungo inverno di polvere aveva sterminato il novanta per cento delle specie viventi del pianeta, e ogni forma di animali terrestri più grande d’un ratto, e intendo un ratto della Terra , non quei mostri da trenta chilogrammi che chiamate ratti su Pentecoste. Scoprimmo inoltre che le piante e gli animali sopravvissuti avevano mutato rispetto alle loro antiche forme. Le erbe erano irriconoscibili. Molte delle vecchie piante commestibili avevano adesso un sapore sbagliato in maniera assai sottile, e molte avevano perso ogni loro valore nutritivo. Ci rendemmo conto che ci sarebbero voluti millenni per ripristinare la Terra e renderla di nuovo un luogo degno di essere abitato. Ma, cosa strana, tutti noi pensavamo che valesse la pena di compiere lo sforzo, anche quelli che avevano trovato la vita sulla Terra del tutto intollerabile prima dell’olocausto.
«Quando cominciarono le visite sulla Terra, noi ci sentivamo già molto più a nostro agio nell’S-Spazio. Alcuni di noi vi erano già vissuti per molte generazioni terrestri, e ci sentivamo tutti bene, meglio che bene, poiché sembrava che non invecchiassimo affatto. La nostra valutazione migliore, basata su dati limitati, indicava che la velocità dell’invecchiamento era venti volte più lenta, soggettivamente , di quanto lo fosse nella vita normale. Questo ci portava ad una estrapolazione di millesettecento anni di vita soggettiva, e anche se ci fossimo sbagliati d’un fattore di due, era pur sempre un pensiero parecchio attraente.
«Una volta che il nostro risultato divenne conosciuto, fu naturale che moltissime altre persone volessero trasferirsi nell’S-Spazio. Non succedesse in una notte, naturalmente, ma a mano a mano che il tempo passava imparammo come attuare la transizione nei due sensi, con pericoli minimi. A quel punto conoscevamo il grosso problema rappresentato dall’esistenza stessa dell’S-Spazio.
— Continui a riferirti a dei problemi, ma non ce ne parli mai — obbiettò Elissa. — Quali problemi?
— Non ne ho parlato perché si presuppone che io non ne parli — replicò Olivia Ferranti. — Nessuno di Pentecoste dovrebbe venire a sapere quello che vi sto dicendo, fino a quando non sia stato indottrinato, e nessuno di voi lo è stato; ma vi renderete conto del problema voi stessi in meno di un minuto non appena saremo arrivati al locale Quartier Generale, perciò non sto rivelando nessun grande segreto.
Olivia Ferranti sollevò le mani sottili appoggiandole sulle guance e incorniciando così gli occhi. — Non troverete bambini al Quartier Generale — aggiunse d’un tratto. — Una donna non può concepire nell’S-Spazio, né un uomo può produrre sperma attivo. L’S-Spazio è un luogo meraviglioso per un singolo individuo. Ma dal punto di vista dell’evoluzione è un vicolo cieco. Cosa ancora peggiore, chiunque attui transizioni frequenti fra l’S-Spazio e lo spazio normale soffre d’una fecondità ridotta.
«Questo ci ha posto davanti a una scelta terribile. Volevamo optare per un arco personale di vita prolungata nell’S-Spazio, oppure avremmo garantito la sopravvivenza della specie umana rimanendo nello spazio normale?
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