Charles Sheffield - Le guide dell'infinito

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Solo una minima parte dell’umanità riuscì a sfuggire alla catastrofe nucleare che nel 21° secolo devastò la Terra, rifugiandosi in primitive colonie orbitali attorno al pianeta. Ma una volta vinta la battaglia per la sopravvivenza, cominciò il grande esodo verso nuovi mondi nelle zone più remote dello spazio.
Dopo vari millenni ecco incombere su questi mondi la presenza degli Immortali, esseri che possiedono strani legami con la vecchia Terra, apparentemente in grado di estendere la propria vita all’infinito e di superare distanze di anni luce in pochi giorni. Sul pianeta Pentecoste, alcuni lontanissimi discendenti dell’umanità cercano di scoprire la vera natura degli Immortali, intuendo appena che il contatto con tali creature li porterà ad acquisire conoscenze inimmaginabili, tra cui il segreto dell’S-spazio normale. Ma si tratta solo del principio, perché seguono altre rivelazioni sull’intera storia dell’umanità, dall’origine alla distruzione della Terra e alla secolare diaspora nello spazio, che scatenano nuove inquietudini e rilanciano appassionanti interrogativi. Qual è infatti il segreto dell’enigmatico Punto di Convergenza, una zona lontanissima da ogni stella conosciuta? E fino a dove si estendono i poteri degli Immortali e la loro conoscenza del passato e del futuro dell’umanità? E quali sono, infine, le loro reali intenzioni?
Un epico e illuminante viaggio che interroga il destino dell’uomo nella vastità del cosmo, tra grandiose intuizioni ed ipotesi inedite che esaltano le virtù della miglior fantascienza.
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— … il che è un’altra ragione per cui gli Immortali non scendono sulla superficie dei pianeti — aggiunse Lum. — Vogliono passare il loro tempo nell’S-Spazio per aumentare il loro arco di vita soggettivo, ma di conseguenza questo li costringe a vivere in un’accelerazione molto debole. Non possono sopportare la gravità.

— Neppure un campo debole — aggiunse Elissa. — Cadrebbero ancora prima di sapere di aver perso l’equilibrio. Cos’hai detto che era, il fattore tempo? Duemila o uno? Allora perfino un milionesimo di gravità verrebbe percepito da loro come un campo di quattro G. Devono vivere in caduta libera, non hanno altra scelta. Ma percepiscono perfino un quattromilionesimo di G come gravità normale.

Peron si guardò intorno disgustato. — Va bene. Così tutti l’han capito con facilità, tranne il sottoscritto. Proviamone un’altra. Ditemi cosa succede fuori della nave. Un motivo per il quale all’inizio avevo pensato che l’S-Spazio fosse una specie d’iperspazio era la visuale dagli oblò. Quando si guarda fuori, non si vedono affatto le stelle. Tutto quello che si vede è una debole foschia luminosa. È giallo-bianca e si stende dappertutto fuori della nave.

Questa volta non ci fu neanche un minimo istante di pausa.

— Spostamento di frequenza — disse immediatamente Sy. — Vediamo. Duemila ad uno. Perciò le lunghezze d’onda che i tuoi occhi potevano vedere dovevano essere duemila volte più lunghe. Invece della luce gialla di λ mezzo micrometro, vedevi il giallo su una lunghezza d’onda di un millimetro. Questo, dove ci porta?

Vi fu silenzio.

— Il Big Bang — bisbigliò Kallen.

— La radiazione cosmica di fondo a tre gradi assoluti — disse Rosanne. — Dio mio, Peron, tu hai visto la radiazione rimasta dall’inizio dell’universo, sì, l’hai proprio vista direttamente con i tuoi occhi.

— Ed è uniforme e isotropica — aggiunse Lum. — È per questo che appariva come una foschia uniforme. A quella lunghezza d’onda non si ricevono segnali forti dalle stelle o dalle nebulose, soltanto un campo continuo.

Peron guardò Elissa. — Non dire niente. Mi diresti che anche questo è ovvio. Sì, immagino che lo sia. Ma era assai più disorientante, quando non avevo nessuna idea che avevo in realtà a che fare con una differenza nelle velocità del tempo. Non riuscivo a immaginare dove potessi trovarmi perché l’universo mi apparisse in quel modo. Ecco: cimentatevi con qualcos’altro. Questa volta credo di sapere quello che succede, ma mi serve aiuto, in special modo da parte di Sy e di Kallen. Siete voi i nostri specialisti di computer.

Li ricondusse lungo gli stretti corridoi fino alla camera dove i robot aspettavano pazienti in file silenziose. Gli altri osservarono guardinghi tre delle piccole macchine che si animavano e scivolavano davanti a loro imboccando il corridoio.

— Non preoccupatevi — li rassicurò Peron. — Non si muovono abbastanza veloci per essere pericolosi. Facciamo sempre in tempo a toglierci di mezzo, e possiamo perfino spostarli, quand’è necessario. Sono l’equipaggio addetto alla manutenzione della nave. Tutte le funzioni normali sono automatiche e sotto controllo computerizzato. Una sola persona può dirigere tutto, e perfino essa può rivelarsi inutile, salvo i casi di emergenza. Quando mi sono trovato per la prima volta nell’S-Spazio pensavo di stare impazzendo. E queste macchine ne costituivano per buona parte il motivo. Le persone a bordo della nave potevano far accadere le cose come per magia. Chiedevano che qualcosa venisse fatto, oppure chiedevano di venir portati da qualche parte, e questo veniva compiuto all’istante. — Peron fece schioccare le dita. — Così. Ho cercato di fare la stessa cosa, ma non funziona per me. Quando ho raggiunto questa camera e ho visto i robot, ho capito finalmente quello che succedeva. Le macchine reagivano ai comandi impartiti dagli esseri umani nell’S-Spazio. Il computer della nave dev’essere programmato per ricevere attraverso i terminali le voci codificate. Quando viene impartito un ordine da parte di qualcuno la cui voce viene riconosciuta e accettata dal sistema, il computer mette in moto i robot per eseguire le istruzioni. I robot non si muovono troppo velocemente, ma non devono farlo. Sono abbastanza veloci da essere invisibili nell’S-Spazio. Anche se i robot impiegano dieci minuti a portarti una bevanda, o per trasportarti da una parte all’altra della nave, non te ne accorgi. Per come la percepisci tu, è soltanto una frazione di secondo.

Gli altri si erano avvicinati un po’ di più alla fila dei robot e li stavano ispezionando con curiosità.

— Sembrano tutti fabbricati in serie — commentò Sy. — Non avevo mai visto questo modello prima d’oggi, ma sono controllati dal computer. Dovremmo essere in grado di capire la procedura delle loro istruzioni.

— Ma perché? — chiese Rosanne. — Una volta che l’avremo capita, ammesso che ci riusciamo, come dovremmo utilizzarla?

— Vogliamo penetrare il codice — disse Peron. — Cambiarlo. Trasformarlo, in modo che anche le nostre voci possano impartire comandi accettabili. E forse fare in modo che il sistema non risponda alla voce del capitano Rinker e degli altri nell’S-Spazio.

— Ma a cosa servirà tutto questo? — chiese Elissa. Pareva perplessa.

Lum la guardò sogghignando. — Non è ovvio? — Si rivolse a Peron. — Ho capito giusto, vero? Rinker ha ragione, Peron, sei un piantagrane. Hai intenzione d’impadronirti di questa nave. Poi potremo andare a far visita al Quartier Generale degli Immortali, dovunque si trovi, e imporre i nostri termini.

CAPITOLO VENTUNESIMO

Olivia Ferranti sbatté le palpebre. La trama dell’illuminazione le parve un po’ diversa, non proprio come la ricordava prima di accedere l’ultima volta nell’S-Spazio; e il suo corpo era leggero, tendeva a galleggiar via, come se avesse abbandonato parte di se stessa sul pavimento imbottito del contenitore.

Rabbrividì e lentamente si rizzò a sedere, sfregandosi gli avambracci intirizziti; poi, d’un tratto, con un sussulto si svegliò del tutto. La stavano osservando. Cinque facce la stavano scrutando guardinghe attraverso il coperchio trasparente del serbatoio dell’animazione sospesa. Si tirò in avanti fino al portello della bara e l’aprì. Peron era là in piedi e la stava osservando, nervoso.

— Avete letto il nostro messaggio? — chiese.

— Certo. Ci stavate osservando, non è vero?

Peron annuì. — Vi abbiamo detto di mandare qualcuno subito. Mi pare che abbiate impiegato un’infinità di tempo.

Olivia Ferranti respirava a fondo, adattandosi al sapore familiare ma sorprendente dell’aria nei suoi polmoni. Scrollò le spalle, più per saggiare i muscoli che per trasmettere un messaggio corporeo.

— Quattro giorni, quattro giorni qui. Ma abbiamo parlato soltanto per pochi minuti nell’S-Spazio. Io la chiamo una reazione veloce. — Guardò Peron e gli altri intorno a sé. — Rilassatevi. Sono stata mandata qua soltanto per parlare. Cosa pensate che abbia intenzione di fare? Stendervi tutti e legarvi? Chiunque di voi potrebbe battermi in combattimento. Siete i vincitori del Planetfest, non lo ricordate?

— Sì, lo ricordiamo — rispose Peron. — Vogliamo esser sicuri che te ne ricordi anche tu. Tu e gli altri. Perché sei venuta tu, e non Rinker?

— Ha fatto la transizione molto di recente, soltanto un paio d’ore fa, quando i sistemi automatici funzionavano male. Le transizioni troppo ravvicinate fanno dei brutti effetti. In realtà, le transizioni frequenti accorciano la vita soggettiva presunta. E inoltre, Rinker non si fida di voi.

Si leccò le labbra, poi proseguì. — Immagino che Rinker pensi che io sia più sacrificabile. Ascoltate, so che avete fretta di parlare, ma vorrei bere un po’ d’acqua.

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