— Credo che tu mi abbia ancora sottovalutato — disse Walton, in tono quieto. — E per l’ultima volta.
Si alzò e aprì la porta della stanza. C’era un agente grigiovestito, là fuori.
— Vuol dire al signor Martinez che sono pronto ad andarmene? — fece Walton.
Il pilota del jetcottero stava sonnecchiando quando Walton raggiunse il piano di atterraggio. Walton lo svegliò e disse, con voce ferma: — Ritorniamo al Cullen Building, presto.
Il viaggio occupò circa dieci minuti. Walton entrò nel suo ufficio, segnalando il suo ritorno ma indicando che non voleva essere disturbato da nessuna chiamata, per il momento. Attentamente, con somma cura, dispose i vari elementi della situazione nella sua mente, costruendo con essi una struttura simmetrica e ordinatissima.
Di Cassio e gli altri cospiratori sarebbero stati arrestati prima di sera, certamente. Ma in quella situazione il fattore tempo non contava; Walton sapeva di poter ottenere l’autorizzazione a procedere con la lobotomia nel giro di un giorno, e passarli al setaccio, uno per uno, finché non avesse scoperto l’ubicazione della formula di Lamarre. Era brutale, ma necessario.
Fred costituiva un problema diverso. Se Walton non riusciva a impedirlo, suo fratello sarebbe stato liberato entro poche ore… e se avesse rivelato l’incidente del piccolo Prior, la fragile costruzione di Walton sarebbe andata in mille pezzi.
Non poteva combattere l’“habeas corpus”. Ma il direttore di Poppy possedeva un’arma che legalmente era superiore a tutte le altre. Fred aveva giocato d’azzardo sul carattere morbido del fratello, e aveva perduto.
Walton schiacciò il pulsante del dittafono, e con voce calma e controllata cominciò a dettare un ordine. L’ordine riguardava l’immediato prelevamento di Frederic Walton dalla Prigione della Sicurezza, e il suo pronto trasferimento nella Clinica dell’Eutanasia, sulla base di un’accusa di pazzia criminale.
Anche dopo questo provvedimento… per il quale non si sentiva colpevole, ma provava solo un grande sollievo… Walton si sentì pervaso da una serie di cupi presentimenti. Martinez visifonò, più tardi, per informarlo che i cento proprietari terrieri erano stati debitamente arrestati e venivano sorvegliati nelle più profonde segrete della Prigione.
— Gridano e si lamentano — disse Martinez. — E ci invaderanno con battaglioni di avvocati, se non facciamo presto. Sarà meglio che le sue accuse si rivelino fondate, signor Walton. Altrimenti avremo dei guai.
— Sto ottenendo l’autorizzazione a sottoporre a lobotomia totale quello che si chiama Di Cassio. È il capo della cospirazione, secondo me. — Walton fece una breve pausa, poi domandò: — È arrivato un jetcottero di Poppy a prelevare Frederic Walton?
— Sì — disse Martinez. — Alle quattordici e sei minuti. Qualche tempo dopo si è presentato un avvocato, sventolando un ordine di scarcerazione, ma naturalmente il prigioniero non era più sotto la nostra giurisdizione.
Gli occhi dell’uomo della Sicurezza erano freddi e accusatori, ma Walton non esitò, sotto quello sguardo.
— Alle quattordici e sei minuti? — ripeté. — Molto bene, Martinez. Grazie per la collaborazione.
Tolse il contatto. Ora si muoveva freddamente e con efficienza. Per ottenere l’autorizzazione a procedere con la lobotomia totale, doveva vedere personalmente il presidente Lanson. Benissimo: avrebbe visto il presidente Lanson.
Il vecchio incartapecorito della Casa Bianca aveva un atteggiamento apertamente ossequioso e deferente, nei confronti del capo di Poppy. Walton spiegò la situazione rapidamente, e usando termini chiari e precisi. Gli occhi blandi e acquosi di Lanson ammiccarono più volte, per i molti lati complessi presentati dalla situazione. Si dondolò più volte sulla poltrona a dondolo, avanti e indietro.
Alla fine disse: — Questa lobotomia… è assolutamente necessaria?
— Assolutamente. Dobbiamo sapere dov’è nascosto questo siero.
Lanson sospirò pesantemente.
— Le darò l’autorizzazione — disse. Aveva l’aria di uno sconfitto.
Il viaggio da Washington a New York fu una questione di pochi minuti. Stringendo in mano la preziosa autorizzazione Walton parlò a Di Cassio attraverso il circuito chiuso televisivo della Prigione, e lo informò di quanto gli stava per essere fatto. Poi, malgrado le isteriche proteste del grassone, consegnò l’autorizzazione a Martinez, con l’ordine di procedere senza indugio all’operazione.
Ci vollero cinquantotto minuti. Walton aspettò in un ufficio spoglio e austero, in qualche punto imprecisato della Prigione, mentre i tecnici della lobotomia stavano aprendo la corteccia del cervello di Di Cassio. Ormai Walton non aveva più dubbi, non aveva più esitazioni. Era finalmente arrivato a considerarsi semplicemente quello che era: un uomo che eseguiva un compito sgradevole ma necessario, e nell’esecuzione di quel compito doveva comportarsi come un semplice robot. Niente più.
Alle diciannove e cinquanta Martinez si presentò davanti a Walton. Il viso del capo della Sicurezza era privo di espressione.
— È fatta. Di Cassio è stato ridotto a un mucchietto di ossa e di gelatina pigolante. Non gradirei assistere a un’altra operazione del genere troppo presto.
— Può darsi che sia necessario — disse Walton. — Se Di Cassio non fosse quello giusto, intendo procedere in fila, uno dopo l’altro, fino al centesimo, se è necessario. Uno di loro ha trattato con Fred. Uno di loro deve sapere dove si trovano i documenti di Lamarre.
Martinez scosse stancamente il capo. Fissava Walton con una specie di ammirazione contenuta.
— No. Non ci sarà bisogno di altre lobotomie. Abbiamo tirato fuori tutto da Di Cassio. La trascrizione dovrebbe arrivare entro pochi minuti.
Mentre l’ufficiale stava parlando, una lampada si accese sul condotto di arrivo, e dal tubo pneumatico uscì un pacco. Walton si alzò, impaziente, ma Martinez gli fece segno di stare al suo posto.
— Questo è il mio territorio, signor Walton. La prego di avere pazienza.
Con lentezza esasperante, Martinez aprì il pacco, ne estrasse alcuni fogli scritti in caratteri minutissimi, e annuì. Li porse a Walton.
— Ecco. Legga lei stesso. È la registrazione della conversazione tra suo fratello e Di Cassio. Credo che sia quello che lei cercava.
Walton accettò i fogli, nervosamente, e cominciò a leggere:
Di Cassio: “Che cos’ha lei?”
Fred Walton: “Un siero dell’immortalità. La vita eterna. Mi capisce bene, immagino. Uno scienziato di Poppy ha inventato il siero, e io ho rubato i suoi appunti dall’ufficio di mio fratello. La formula è completa”.
Di Cassio: “Buono! Eccellente lavoro. Buono, buono! Eccellente. Immortalità, ha detto?”
Fred Walton: “Proprio così. Ed è l’arma che possiamo usare per scalzare Roy dal suo posto. Dovrò semplicemente dirgli che farà meglio a togliersi di mezzo, altrimenti noi distribuiremo liberamente il siero all’umanità, e lui si toglierà di mezzo. È un’idealista… gli occhi pieni di stelle, e idiozie del genere. Non avrà mai il coraggio di resistere”.
Di Cassio: “Ma questo è meraviglioso. Lei, naturalmente, ci manderà la formula del siero, perché noi possiamo custodirla”.
Fred Walton: “Che io sia dannato se farò una cosa simile. Terrò quegli appunti esattamente dove devono stare… dentro la mia testa! Ho distrutto tutti i libri e gli appunti e ho ucciso lo scienziato. L’unico che conosce il segreto è il suo affezionatissimo Fred. Questo serve soltanto a impedire un doppio gioco da parte sua, Di Cassio. Non che io non mi fidi di lei, mi capisce, vero?
Di Cassio: “Fred, ragazzo mio…
Fred Walton: “Niente, niente, lasciamo stare questa roba. Lei mi ha dato mano libera. Non tenti di interferire, adesso”.
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