Drescher aveva già in mano la pistola quando il carrello planò sul pavimento a circa cinque metri di distanza da Rusch e Theo.
«Chi è lei?» chiese Jake a Rusch.
«Attento!» sbottò Theo. «Ha una pistola.»
Rusch sembrava in preda al panico. Sistemare una piccola bomba era una cosa, ma la cattura di un ostaggio e un potenziale omicidio erano ben altro. Ma premette di nuovo la Glock contro il fianco di Theo. «Proprio così» disse. «Perciò state indietro.»
Adesso Moot era in piedi a gambe larghe, per ottenere la massima stabilità, e stringeva la pistola fra le due mani, puntandola direttamente al cuore di Rusch. «Getti l’arma.»
«Nein.»
Il tono di Moot era assolutamente neutro. «Getti l’arma o sparo.»
Gli occhi di Rusch guizzarono a destra e a sinistra. «Se lei spara, il dottor Procopides morirà.»
La mente di Theo lavorava a velocità folle. Era andata proprio così, la prima volta? Rusch avrebbe dovuto sparargli non una, ma tre volte, perché la realtà combaciasse con la visione. In una situazione come quella poteva avere il tempo di piantare una pallottola nel petto di Theo — non che gliene sarebbero servite altre — ma certamente appena avesse premuto il grilletto la prima volta, Moot, lo avrebbe fatto secco.
«Indietro» disse Rusch. «Indietro!»
Jake sembrava terrorizzato almeno quanto Theo, ma Moot non si mosse. «Getti quella pistola. Lei è in arresto.»
Il panico di Rusch sembrò alleviarsi per un attimo, come se fosse semplicemente stordito dalla responsabilità. Se era davvero un docente universitario, con ogni probabilità non aveva mai avuto problemi con la legge nel corso della sua intera esistenza. Ma poi il suo volto si illuminò. «Lei non può arrestarmi.»
«Col cavolo che non posso» disse Moot.
«Di quale forza di polizia fa parte?»
«Di quella di Ginevra.»
Rusch si concesse addirittura una risatina nervosa. Tornò a spingere la pistola contro il fianco di Theo. «Gli dica dove siamo.»
Theo aveva lo stomaco in subbuglio. Non riuscì a capire la domanda. «Nel grande collisore…»
Rusch premette di nuovo. «La nazione.»
Theo ebbe una fitta al cuore. «Oh.» Maledizione. Stramaledizione. «Siamo in Francia» disse. «Il confine passa proprio attraverso il tunnel.»
«Perciò» disse Rusch, guardando Moot «qui lei non ha nessuna giurisdizione; la Svizzera non è un membro dell’Unione europea. Se lei mi spara al di fuori della sua giurisdizione, si tratterà di omicidio.»
Moot sembrò avere un attimo di esitazione; la pistola nella sua mano tremolò. Ma poi tornò a puntarla direttamente al cuore di Rusch. «Mi occuperò più tardi degli aspetti legali della questione» disse Moot. «Getti quell’arma adesso o sparo.»
Rusch era così vicino a Theo che lui poteva sentirne il respiro… rapido, ansimante. Il tizio poteva andare in iperventilazione.
«Va bene» disse Rusch. «Va bene.» Fece un passo avanti, allontanandosi da Theo, e…
Bang !
La detonazione riecheggiò nella galleria.
Il cuore di Theo si fermò…
… ma solo per un attimo.
La bocca di Rusch si era spalancata per l’orrore, il terrore, la paura…
… mentre si rendeva conto di ciò che aveva fatto…
… e mentre Moot Drescher barcollava all’indietro, lasciando cadere la pistola, con una chiazza di sangue che gli si allargava all’altezza della spalla.
«Oh, mio Dio!» esclamò Jake. «Oh, mio Dio!» Schizzò in avanti, cercando di impadronirsi della pistola di Drescher.
Rusch sembrava assolutamente impietrito. Theo lo attaccò da dietro, stringendogli il collo con una mano e puntando il ginocchio contro la base della schiena. Con l’altra mano cercò di strappare la pistola calda e ancora fumante dalla presa di Rusch.
Adesso Jake brandiva la pistola di Drescher. Cercò di puntarla sulla sagoma combinata di Theo e Rusch, ma le mani gli tremavano in modo incontrollato, Theo torse con violenza il braccio di Rusch, che lasciò cadere l’arma. Theo si scostò dalla traiettoria e Jake fece fuoco. Ma le sue mani inesperte e tremanti mancarono del tutto il bersaglio, colpendo una lampada fluorescente sul soffitto, che esplose in una pioggia di scintille e frammenti di vetro. Anche Rusch adesso annaspava per recuperare la sua pistola, ma né lui né Theo sembravano in grado di afferrarla; alla fine Theo la allontanò con un calcio dalla mano di Rusch. L’arma scivolò lungo la galleria per una dozzina di metri, in senso antiorario.
A questo punto né Theo né Rusch erano armati, mentre Drescher giaceva in una pozza di sangue, ma sembrava ancora vivo; il suo petto si alzava e si abbassava. Jake sparò un altro colpo, ma sbagliò mira anche questa volta.
Rusch non si era ancora rimesso in piedi del tutto e già scattava per andare a riprendere la sua pistola. Theo, rendendosi conto che non sarebbe mai riuscito ad arrivare prima di lui, decise di puntare nella direzione opposta. «Ha innescato una bomba» gridò mentre passava accanto a Jake. «Occupati di Moot!»
Jake annuì. Adesso Rusch aveva recuperato la sua pistola, si era girato e stava correndo, l’arma tesa davanti a lui, verso Jake, Moot e Theo, che a sua volta si stava allontanando.
Correva con tutta la forza che aveva in corpo, e il rumore dei suoi passi rimbombava forte nel tunnel. Poco più avanti c’era la valigetta di alluminio che conteneva la bomba. Theo diede un’occhiata veloce al di sopra della spalla. Jake, sempre stringendo in mano la pistola di Moot, si era inginocchiato accanto al poliziotto. Rusch li oltrepassò, voltandosi e puntando la pistola su Jake finché non fu fuori tiro. Poi si girò e continuò a inseguire Theo.
Theo raggiunse la bomba, afferrandola al volo con una mano, e poi…
Balzò sul carrello a cuscino d’aria di Rusch e schiacciò il piede sul pedale attivatore. Mentre il carrello guadagnava velocità e si allontanava in senso orario, Theo si voltò di nuovo a guardare.
Rusch invertì la sua corsa. Jake, apparentemente convinto che Rusch se ne fosse andato, aveva posato a terra la pistola di Moot e gli stava sfilando dalla testa la camicia, che aveva ancora alcuni bottoni allacciati… evidentemente aveva intenzione di usarla come benda per tamponare il flusso di sangue che usciva dalla ferita. Rusch non ebbe problemi a impadronirsi del carrello che aveva condotto sul luogo Jake e Moot, e si lanciò all’inseguimento di Theo.
Theo, forte di un buon vantaggio, guidava il veicolo come meglio poteva. Ma era difficile mantenere una traiettoria dritta: non solo doveva fare i conti con il tracciato leggermente ricurvo della galleria, ma anche con tutti i grossi congegni che inevitabilmente sporgevano dalle pareti per tutta la loro lunghezza.
Theo diede un’occhiata al display della bomba: 41 minuti, 18 secondi. Sperò che Rusch avesse detto la verità quando aveva affermato che l’esplosivo non era sensibile agli urti. Collegata al display c’era una serie di pulsanti senza etichetta: impossibile dire quali servissero ad aumentare i valori della temporizzazione, e quali potessero provocare l’esplosione immediata della bomba. Ma se riusciva a giungere alla stazione di accesso e a riemergere in superficie, ci sarebbe stato tutto il tempo per abbandonare la bomba in mezzo a uno dei campi coltivati.
Il carrello di Theo barcollava in modo accentuato: senza dubbio lo stava spingendo a una velocità superiore a quella che i suoi giroscopi potevano gestire. Si guardò ancora alle spalle. All’inizio cominciò a emettere un sospiro di sollievo, perché Rusch non si vedeva, ma dopo un secondo il carrello inseguitore comparve oltre la parete ricurva del tunnel.
In alto era tutto buio; Theo aveva attivato l’illuminazione del soffitto solo per una porzione minima della circonferenza. Sperò che Jake fosse riuscito a fermare l’emorragia di Moot. Dannazione… forse non avrebbe dovuto prendere il carrello a cuscino d’aria; di certo la necessità di portare Moot in superficie doveva prevalere sull’esigenza di proteggere la strumentazione del tunnel. Sperò che Jake si rendesse conto che la monorotaia era a poca distanza.
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