«Anch’io» aggiunse Antonia.
«Affascinante» disse Lloyd. Si rivolse al giovane neolaureato, Jacob Horowitz. «Jake, tu che cosa hai visto?»
La voce di Jake era esile, stridula. Si passò nervosamente le mani lentigginose in mezzo ai capelli rossi. «La stanza era abbastanza indefinibile. Un laboratorio da qualche parte. Pareti gialle. Su una di esse c’era una tavola periodica, però, ed era scritta in inglese. E c’era anche Carly Tompkins.»
«Chi?» chiese Lloyd.
«Carly Tompkins. Almeno, mi è parso che fosse lei. Sembrava un po’ più vecchia rispetto all’ultima volta che l’ho vista.»
«Chi è Carly Tompkins?»
La risposta venne non da Jake, ma da Theo Procopides, che era seduto nel punto più lontano del cerchio. «Dovresti conoscerla, Lloyd… è canadese come te. Carly fa ricerca nel campo dei mesoni; l’ultima volta che ho sentito parlare di lei lavorava al TRIUMF.»
Jake confermò con un cenno della testa. «Proprio così. L’ho vista solo un paio di volte, ma sono piuttosto sicuro che fosse lei.»
Antonia, cui sarebbe toccato il turno successivo, alzò le sopracciglia. «Se Jake ha avuto una visione di Carly, chissà che Carly non abbia avuto una visione di Jake.»
Tutti guardarono l’italiana, colpiti dall’osservazione. Lloyd alzò appena le spalle. «C’è un modo per scoprirlo. Potremmo telefonarle.» Guardò Jake. «Hai il suo numero?»
Jake scosse la testa. «Come ho già detto, la conosco appena. Abbiamo partecipato insieme a qualche seminario, durante l’ultimo convegno della Società americana di fisica, e ho collaborato a una sua relazione sulla cromodinamica.»
«Se è iscritta alla SAF,» osservò Antonia «sarà nell’albo.» Trotterellò attraverso la sala e frugò su uno scaffale finché non trovò un volumetto con la copertina di semplice cartone. Scorse le pagine. «Eccola» disse. «Numero di casa e dell’ufficio.»
«Io… ecco, io non voglio chiamarla» disse Jake.
Lloyd rimase sorpreso dalla sua riluttanza, ma non indagò oltre. «Va bene. Tanto non saresti comunque tu a dover parlare con lei. Voglio vedere se sarà lei a fare il tuo nome spontaneamente.»
«Potrebbe essere difficile collegarsi» disse Sven. «I telefoni sono intasati da gente che vuole avere notizie di parenti e amici… per non parlare di tutte le linee abbattute dagli automobilisti.»
«Vale la pena di tentare» disse Theo. Si alzò, attraversò la sala e prese l’albo da Antonia. Poi fissò il telefono e guardò di nuovo i numeri sul volumetto. «Come si fa a chiamare il Canada da qui?»
«È come chiamare gli Stati Uniti» disse Lloyd. «Il prefisso è lo stesso: zero-uno.»
Le dita di Theo danzarono sulla tastiera, formando una lunga fila di numeri. Poi, a beneficio dei presenti, alzò le dita per indicare il numero di squilli. Uno. Due. Tre. Quattro…
«Oh, pronto. Carly Tompkins, prego. Salve, dottoressa Tompkins. La chiamo da Ginevra, dal CERN. Mi ascolti, un gruppo di noi si è riunito qui. Per lei è lo stesso se inserisco il viva voce?»
Una voce assonnata. «…se preferisce. Ma che succede?»
«Vogliamo sapere qual è stata la sua allucinazione quando c’è stato il blackout.»
«Che cosa? Mi sta prendendo in giro?»
Theo fissò Lloyd. «Non sa niente.»
Lloyd si schiarì la voce, poi prese la parola. «Dottoressa Tompkins, sono Lloyd Simcoe. Sono canadese anch’io, anche se ho lavorato fino al 2007 con il gruppo D-Zero al Fermilab, e da due anni mi trovo al CERN.» Fece una pausa, incerto su come proseguire. «Che ora è lì?»
«Quasi mezzogiorno.» Il rumore di uno sbadiglio soffocato. «Oggi è il mio giorno libero, e stavo dormendo. Che è tutta questa storia?»
«Perciò lei oggi non si è ancora alzata?»
«Già.»
«Ha un televisore nella stanza in cui si trova?» le domandò Lloyd.
«Sì.»
«Lo accenda e guardi il notiziario.»
La donna sembrò irritata. «E un po’ difficile che qui nella Colombia britannica riesca a prendere la TV svizzera.»
«Non è necessario che sia un’emittente svizzera. Si sintonizzi su un qualsiasi notiziario.»
L’intera sala sentì la Tompkins che sospirava nella cornetta. «Va bene, Solo un attimo.»
Riuscirono a sentire in sottofondo il suono ovattato di quello che probabilmente era Newsworld della CBC. Dopo un tempo che a tutti sembrò un’eternità, la Tompkins tornò al telefono.
«Oh. Mio Dio» esclamò. «Oh. Mio Dio.»
«Ma lei ha dormito senza interruzioni?»
«Sì, temo di sì» rispose la voce dall’altra parte del mondo. Fece una breve pausa. «Perché mi ha chiamato?»
«Nel notiziario che ha visto hanno già parlato delle visioni?»
«Joel Gotlib sta andando in onda adesso» disse lei, riferendosi presumibilmente a un giornalista canadese. «Sembra assurdo. Comunque a me non è successo niente del genere.»
«Va bene» disse Lloyd. «Ci scusi se l’abbiamo disturbata mentre dormiva, dottoressa Tompkins. Saremo…»
«Aspetta» disse Theo.
Lloyd guardò il suo giovane collega.
«Dottoressa Tompkins, mi chiamo Theo Procopides. Mi sembra che ci siamo incontrati un paio di volte a una conferenza.»
«Se lo dice lei» replicò la donna.
«Dottoressa Tompkins» proseguì Theo. «A me è successa la stessa cosa… neanch’io ho visto niente. Nessuna visione, nessun sogno, niente di niente.»
«Sogno?» disse la voce della donna. «Be’, adesso che me lo dice, credo di avere fatto un sogno. La cosa strana è che era a colori… io non sogno mai a colori. Ma mi ricordo che il tizio che era lì aveva i capelli rossi.»
Theo sembrò contrariato… era stato palesemente contento di scoprire che non era solo. Ma tutti gli altri alzarono gli occhi, e fissarono Jake.
«Non solo i capelli» aggiunse la Tompkins. «Aveva anche le mutande rosse.»
Il giovane Jake divenne adesso del colore dei suoi capelli. «Mutande rosse?» ripeté Lloyd.
«Proprio così.»
«Lei conosceva quest’uomo?»
«No, credo di no.»
«Non aveva l’aspetto di uno che aveva già incontrato?»
«Non mi pare.»
Lloyd si avvicinò al microfono. «E se fosse stato il padre di qualcuno che aveva già conosciuto? Assomigliava al padre di qualcuno?»
«Dove vuole arrivare?» domandò la Tompkins.
Lloyd sospirò, poi si guardò in giro, cercando di capire se qualcuno avesse da obiettare a che lui proseguisse. Nessuno lo fece. «Il nome Jacob Horowitz le dice niente?»
«Io non… oh, aspetti. Ma certo. Certo, certo. Ecco chi mi ricordava. Già, era Jacob Horowitz, ma, accidenti, avrei dovuto prendermi un po’ più cura di lui. Sembrava invecchiato di qualche decennio da quando l’ho visto l’ultima volta.»
Antonia emise un rantolo soffocato. Lloyd sentì che il cuore gli batteva più forte.
«Senta» disse la Tompkins. «Voglio accertarmi che tutti i miei familiari stiano bene. I miei genitori sono a Winnipeg… devo muovermi.»
«Possiamo richiamarla fra un po’?» chiese Lloyd. «Vede, qui con noi c’è Jacob Horowitz, e la sua visione sembra molto simile… in un certo senso. Ha detto che si trovava in un laboratorio…»
«Sì, esatto. Era un laboratorio.»
L’incredulità si fece strada nella voce di Lloyd. «Ed era in mutande?»
«Be’, non più, alla fine della visione… Senta, io devo andare.»
«Grazie» disse Lloyd. «Arrivederci.»
«Arrivederci.»
Il segnale tipico delle linee telefoniche svizzere risuonò dall’altoparlante. Theo allungò la mano e lo mise a tacere.
Jacob Horowitz appariva ancora decisamente imbarazzato. Lloyd fu lì lì per dirgli che probabilmente la metà dei fisici che conosceva lo avevano fatto in un laboratorio, prima o poi, ma il ragazzo rischiava di avere un crollo nervoso se qualcuno avesse appena provato a dire qualcosa. Lloyd tornò a far scorrere lo sguardo sul cerchio dei presenti. «Va bene» disse. «Va bene. Lo dirò io, perché so che lo pensate tutti. Qualunque cosa sia successa, ha provocato una sorta di effetto temporale. Le visioni non erano allucinazioni, erano vere e proprie immagini del futuro. Il fatto che Jacob Horowitz e Carly Tompkins abbiano entrambi visto la stessa cosa è un forte sostegno a questa ipotesi.»
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