— Credevo che fosse il montone — borbottai, prendendo il menu. La cucina della prateria era non tanto alla moda quanto sostanziosa: bistecca di pollo fritto, intingolo alla panna, pannocchia abbrustolita, il tutto servito stile famiglia.
— Da bere? — disse un cameriere in calzoni di pelle scamosciata e bandana girasole.
Guardai il menu. Avevano espresso, cappuccino e caffellatte… Anche quelli andavano forte, ai tempi della prateria. Niente tè freddo.
— Il tè freddo è la bevanda del Kansas — dissi al cameriere. — Come mai non l’avete?
Evidentemente andava a scuola da Flip. Roteò gli occhi, sospirò con aria esperta e disse: — Il tè freddo è outré.
Parola mai pronunciata nella prateria, pensai; ma Billy Ray stava già ordinando polpettone, purea di patate e cappuccino per tutt’e due.
— Allora, parlami di questa ricerca che ti fa lavorare anche nei weekend.
Gliene parlai. — Il guaio è che ho tante di quelle possibili cause che ormai mi escono dalle orecchie — dissi, dopo avergli spiegato che cosa facevo. — Uguaglianza femminile, bicicletta, uno stilista francese di nome Poiret, la Prima guerra mondiale e Coco Chanel che si strinò i capelli per lo scoppio di una stufetta. Purtroppo nessuna di esse pare essere la causa principale.
Il pranzo arrivò, su piatti di terracotta marrone decorati a girasoli. La coleslaw , un’insalata di cavolo tritato, carote, cipolle e maionese, era guarnita con foglioline di basilico fresco (che, come la coleslaw , non mi pareva fosse in gran voga nella prateria), il polpettone con fettine di limone.
Mentre mangiavamo, Billy Ray mi parlò dei pregi dell’allevamento di ovini. Le pecore godevano di buona salute, procuravano guadagni, non erano difficili da imbrancare e potevano pascolare dappertutto, cose che sarei stata più incline a credere se sei mesi prima non mi avesse detto la stessa cosa sull’allevamento dei bovini Longhorn.
— Dessert? — chiese il cameriere, passandoci il menu dei dolci.
Immaginai che il dessert della prateria sarebbe stato crostata di uva spina o forse pesche sciroppate, invece si trattava dei soliti noti: crème brûlé , tiramisù e “il nostro nuovissimo dessert, budino di pane”.
Be’, pareva un dessert del Kansas, d’accordo, il genere di cosa che sei ridotta a mangiare dopo che ti è morta la vacca e le cavallette hanno divorato il raccolto.
— Prendo il tiramisù — dissi.
— Anch’io — disse Billy Ray. — Ho sempre odiato il budino di pan secco. Sembra di mangiare gli avanzi.
— Tutti impazziscono per il nostro budino di pane — disse il cameriere, in tono di rimprovero. — È il nostro dessert più popolare.
Il brutto di studiare le mode è che non puoi mai togliere la spina. Te ne stai lì seduta davanti al tuo cavaliere che mangia il tiramisù, e invece di pensare che è proprio un bravo ragazzo ti ritrovi a meditare sulle mode nei dessert e su come sembra sempre che abbiano un contenuto di zuccheri e di calorie direttamente proporzionale all’ossessione per la dieta.
Il tiramisù, per esempio, che contiene cioccolato e panna montata e due tipi di formaggio. E lo zucchero caramellato, che andava forte negli anni Quaranta malgrado i razionamenti del tempo di guerra.
Negli anni Venti era di moda la torta capovolta all’ananas, un dessert che mi auguro non faccia ritorno tanto presto; negli anni Cinquanta il pan di Spagna; nei Sessanta la fonduta di cioccolato.
Mi domandai se Bennett fosse immune anche alle mode alimentari e cosa ne pensasse del budino di pane e del cheesecake al cioccolato.
— Pensi di nuovo al taglio alla maschietta? — disse Billy Ray. — Forse guardi troppe cose. Nel seminario a cui sono iscritto dicono che devi RIPF.
— Rif?
— RIPF. Restringere il punto focale. Eliminare tutti gli aspetti secondari e focalizzarsi sulle variabili essenziali. Questa faccenda del taglio alla maschietta può avere una sola causa, giusto? Devi restringere il punto focale alle possibilità più probabili e concentrarti su quelle. Funziona, anche. L’ho provato in un caso di scabbia ovina. Sei sicura di non voler venire con me al seminario?
— Devo andare in biblioteca.
— C’è un libro che dovresti prendere: Cinque passi per focalizzarsi sul successo.
Terminato di pranzare, Billy Ray se ne andò a RIPF e io andai in biblioteca a cercare le opere complete di Browning. Lorraine non c’era. C’era invece una ragazza che aveva nastro adesivo, treccine avvolte in filo colorato e un’espressione arcigna. — Ha tre settimane di ritardo — disse.
— Impossibile. L’ho preso la scorsa settimana. E l’ho restituito lunedì. — Dopo avere provato Pippa su Flip e deciso che Browning non sapeva di che cosa parlava. Avevo restituito Browning e preso Otello , quell’altra storia sulle influenze indebite.
La ragazza sospirò. — Il computer dice che è ancora in prestito. Ha guardato a casa?
— Non c’è Lorraine?
Roteò gli occhi. — No-o-o-o.
Decisi che era meglio aspettare che ci fosse Lorraine e andai agli scaffali a cercare da me il Browning.
Le opere complete non c’erano, e non riuscivo a ricordare il titolo del libro suggeritomi da Billy Ray. Presi due libri di Willa Cather, che sapeva bene com’era la cucina della prateria, e Via dalla pazza folla , dove, a quanto ricordavo, comparivano delle pecore; poi gironzolai, cercando di farmi venire in mente il titolo e augurandomi che mi venisse un’ispirazione.
Le biblioteche sono state responsabili di un mucchio di importanti conquiste scientifiche. Darwin leggeva Malthus per svago (il che dovrebbe dirvi qualcosa su di lui) e Alfred Wegener ebbe l’idea della deriva continentale mentre, nella biblioteca dell’università di Marburg, faceva ruotare oziosamente il mappamondo e sfogliava pubblicazioni scientifiche. A me invece non venne niente, neppure il titolo del libro di Billy Ray. Andai alla sezione Economia per vedere se ricordavo il titolo del libro, quando mi folgorò un’intuizione.
Qualcosa sulla tecnica di restringere il punto focale, di eliminare tutti gli aspetti secondari. “Può avere solo una causa, giusto?” aveva detto Billy Ray.
Sbagliato. In un sistema lineare sarebbe stato possibile, ma il taglio alla maschietta non era come la scabbia ovina. Era come uno dei sistemi caotici di Bennett. C’erano decine di variabili e tutte erano importanti. Si alimentavano l’una dell’altra, iterando e reiterando, incrociandosi ed entrando in collisione, determinandosi a vicenda in modi che nessuno si sarebbe aspettato. Forse il problema non era che avevo troppe cause, ma che non ne avevo a sufficienza. Passai al Novecento, presi Quei ruggenti anni Venti ; Ragazze spregiudicate, macinini e flagpole-sitters ; Gli anni Venti: Uno studio sociologico e tutti i libri su quel periodo che potevo portare e andai al banco.
— Registro a suo nome un ritardo di restituzione — disse la ragazza. — Quattro settimane.
Tornai a casa, eccitata all’idea di trovarmi per la prima volta sulla pista giusta, e mi misi a lavorare sulle nuove variabili.
Gli anni Venti affogavano nelle mode: il jazz, le fiaschette da tasca, le calze arrotolate alle caviglie, i balli, le pellicce di procione, il Mah-jong , le maratone di corsa, le maratone di ballo, le maratone di bacio, le auto da corsa Stutz Bearcat, il flagpole-sitting : ossia la moda lanciata dal famoso stuntman Alvin Kelly di stare appollaiati in cima a un’asta di bandiera, la conseguente mania di stare seduti sugli alberi, i cruciverba. E da qualche parte, fra tutte quelle ginocchia dipinte di rosso e gli impermeabili di tela cerata e le gare di sedia a dondolo, c’era l’azione scatenante che aveva messo in moto la moda del taglio alla maschietta.
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