Connie Willis - Il fattore invisibile

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Sandra è una scienziata molto particolare: si occupa di mode passeggere e il suo compito è prevedere quali saranno le manie del futuro prossimo. Insieme al collega Bennett O’Reilly, esperto di teoria del caos, è convinta di poter individuare la causa della diffusione di tali fenomeni, e aggiudiarsi così un congruo finanziamento per il progetto. Ma raramente la ricerca scientifica è semplice e lineare, e la strada del successosarà piena di imprevisti… Un libro scintillante e originalissimo da una delle migliori scrittrici di fantascienza contemporanee.
Nominato per il premio Nebula per il miglir romanzo in 1997.

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— In questo caso, la nostra vittoria è scontata — disse Bennett.

— Per quanto ne sappiamo, Niebnitz potrebbe dare la borsa di studio a gente il cui nome comincia per C, oppure estrarre i nomi da un cappello.

Flip si avvicinò con andatura dinoccolata e diede a Bennett un foglio. — È il memo che spiega il modulo semplificato per il finanziamento? — domandò lui.

— No-o-o-o — rispose Flip, roteando gli occhi. — È una petizione. Per rendere la sala mensa un ambiente al cento per cento senza fumo. — Si allontanò con la stessa andatura.

— So per cosa sta quella i — dissi. — Irritante.

Bennett scosse la testa. — Insopportabile.

BERRETTI DI PELLICCIA DI PROCIONE

(MAGGIO 1955-D1CEMBRE 1955)

Moda per bambini ispirata dalla serie televisiva di Walt Disney Davy Crockett, il kentuckiano eroe di frontiera che combatté ad Alamo e “uccise un orso” all’età di tre anni. Parte di una grande moda commerciale che comprendeva assortimenti arco-e-frecce, coltelli giocattolo, fucili giocattolo, giubbotti con la frangia, corni per la polvere da sparo, cestini per la colazione, puzzle, album da colorare, pigiami, calzoncini e diciassette versioni documentate della “Ballata di Davy Crockett”, di cui ogni ragazzino d’America sapeva i versi. La moda provocò scarsità di pelli di procione e la distruzione di una moda precedente: le giacche di procione degli anni Venti furono fatte a pezzi per ricavarne berretti. Alcuni bambini arrivarono a farsi tagliare i capelli a forma di berretto. La moda crollò proprio prima del Natale 1955, lasciando i commercianti con centinaia di berretti invenduti.

Il giorno dopo, mentre frugavo il laboratorio per trovare i ritagli che avevo dato a Flip da fotocopiare, mi venne in mente la frase di Bennett: se lui aveva già conosciuto la nuova assistente, significava di sicuro che quella era stata assegnata a Biologia. Ma nel pomeriggio Gina venne nel mio laboratorio. Aveva l’aria tormentata. — Non m’interessa cosa dicono — si sfogò. — Ho fatto la cosa giusta, assumendola. Shirl ha appena stampato e rilegato venti copie di un mio articolo. Senza errori. Me ne frego, se respiro fumo passivo-passivo.

— Fumo passivo-passivo?

— Flip chiama così l’aria normalmente espirata dai fumatori. Ma io me ne frego. Ne vale la pena.

— Shirl è stata assegnata a te?

Gina annuì. — Stamattina mi ha consegnato la posta. La mia posta. Dovresti fartela assegnare.

— Ci proverò — dissi. Ma era più facile a dirsi che a farsi. Ora che aveva un’assistente, Flip (con i miei ritagli) era scomparsa dalla faccia della terra. Cercai due volte in tutto l’edificio, compresa la sala mensa, dove su tutti i tavoli erano comparsi grandi cartelli VIETATO FUMARE, e l’Economato, dove Desiderata cercava di scoprire cosa fossero le cartucce per stampante; alla fine la trovai nel mio laboratorio, seduta al mio computer, impegnata a battere qualcosa sulla tastiera.

Flip cancellò ciò che c’era sullo schermo prima che potessi vederlo e si alzò di scatto. Se non fosse stata incapace di provare sensi di colpa, avrei detto che aveva un’aria colpevole.

— Lei non lo stava usando! — disse. — Non era neanche qui!

— Hai fatto la fotocopia dei ritagli che ti ho dato lunedì?

Rimase interdetta.

— Oltre ai ritagli c’erano copie degli annunci personali.

Agitò il ciuffo di capelli. — Userebbe la parola “elegante” per descrivermi?

Aveva aggiunto al ciuffo una lunga trecciolina avvolta in filo da ricamo blu bile e una fascia di nastro adesivo sulla fronte, tagliato in modo da incorniciare la i.

— No — dissi.

— Be’, nessuno si aspetta che tu sei tutte quelle cose — disse Flip, oscuramente. — Comunque, non so perché lei è tanto fanatica per gli annunci personali. Ha già quel cowboy.

— Come?

— Quel Billy Boy Vattelapesca. — Fece un gesto in direzione del telefono. — Ha chiamato e ha detto che sarà in città per un seminario e che lei deve incontrarlo a pranzo da qualche parte. Stasera, penso. Al Nebraska Daisy o qualcosa del genere. Alle sette.

Controllai il blocco dei messaggi telefonici. Intonso. — Non hai scritto il messaggio?

Flip sospirò. — Non posso fare tutto io! Proprio per questo mi hanno dato un’assistente, no? Così dovrei lavorare meno duramente, ma poiché quella è una fumatrice, metà delle persone a cui l’ho assegnata non la vogliono nel proprio laboratorio, così devo ancora copiare tutta quella roba e scendere a Biologia e tutto il resto. Bisognerebbe costringere i fumatori a smettere di fumare.

— Chi le hai assegnato?

— Biologia e Sviluppo Produzione e Chimica e Fisica e Personale e Paghe e tutti quelli che mi gridano e mi fanno fare un mucchio di lavoro. Oppure bisognerebbe metterli in un campo o in qualche posto dove non possono esporre il resto di noi a tutto quel fumo.

— Perché non l’assegni a me? Non m’importa se fuma.

Si mise le mani sui fianchi della gonna di pelle blu. — Provoca il cancro, sa? — disse con aria di disapprovazione. — Inoltre, a lei non la assegnerei mai. Lei è l’unica che mostra una certa gentilezza nei miei confronti, qui in giro.

PAN DEGLI ANGELI (1880 – 90)

Torta di gran moda, così chiamata per suggerirne la celestiale leggerezza e il candore. Ebbe origine o in un ristorante di St. Louis o lungo il fiume Hudson o in India. Il segreto della torta era una dozzina (o undici o quindici) di chiare d’uovo montate a neve. Difficile da cuocere, ispirò un intero folklore: la teglia non doveva essere unta e nessuno doveva camminare in cucina mentre la torta era in forno. Soppiantata ovviamente dal pan dei diavoli al cioccolato.

L’appuntamento era al Kansas Rose alle cinque e mezzo. — Ah, bene, hai ricevuto il mio messaggio — disse Billy Ray, venendomi incontro nel parcheggio. Portava jeans neri, camicia da cowboy bianca e nera, Stetson bianco. Aveva i capelli più lunghi dell’ultima volta. Di sicuro i capelli lunghi stavano tornando di moda.

— Più o meno — dissi. — Ma eccomi qui.

— Mi spiace d’avere dovuto combinare così presto, ma c’è un seminario serale su “Irrigazione su Internet” che non voglio perdermi. — Mi prese a braccetto. — Questo è in teoria il locale più alla moda della città.

Aveva ragione. Anche con la prenotazione bisognava aspettare una mezz’ora, e ogni donna in coda vestiva rosa postmoderno.

— Hai preso le Targhee? — gli domandai, appoggiandomi a un cartello ASSOLUTAMENTE VIETATO FUMARE.

— Sì, sono magnifiche. Basso mantenimento, alta tolleranza al freddo e quindici libbre di lana a stagione.

— Lana? Credevo che le Targhee fossero mucche.

— Ormai più nessuno alleva mucche — disse lui corrugando la fronte, come se avessi dovuto saperlo. — Per la storia del colesterolo. L’agnello ha una percentuale più bassa di colesterolo e il montone dovrebbe essere il capo più alla moda per l’inverno.

— Bobby Jay — chiamò la cameriera, che aveva un grembiule di percalle rosso e treccioline colorate.

— Siamo noi — dissi.

— Non vogliamo sederci nemmeno nelle vicinanze della vecchia sezione fumatori — disse Billy Ray, e seguimmo la cameriera al tavolino.

La moda del girasole, a quanto pareva, era venuta lì a morire. C’erano girasoli intrecciati nella palizzata bianca che circondava il nostro tavolino, incorniciati alle pareti, dipinti sulla porta del bagno, ricamati sui tovaglioli. C’era un grosso mazzo di quelli artificiali nel vaso Mason al centro della tovaglia a girasoli.

— Freddo, eh? — disse Billy Ray, aprendo il menu a forma di girasole. — Tutti dicono che la prateria sarà la prossima grande moda.

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