Hal Clement - Pianeta di ghiaccio

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Pianeta di ghiaccio: краткое содержание, описание и аннотация

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Per la famiglia Wind, i monti dell'Ovest americano sono un ambiente di vita ideale e una fonte di benessere, dopo che babbo Wind ha scoperto la sua miniera d'oro segreta. Per i Sarriani, abituati a respirare zolfo volatile, il Pianeta di Ghiaccio è uno dei tanti mondi inabitabili dell'universo. Perfino le loro navette automatiche inviate verso le pianure azzurre che formano gran parte del pianeta cessano subito le comunicazioni. Di parere diverso sono invece alcuni contrabbandieri che, dalla loro base su Mercurio, da quasi trent'anni ottengono dal Pianeta di Ghiaccio preziose quantità di una potentissima droga allucinogena in cambio di modeste quantità di metalli preziosi. Tutto potrebbe ancora filare per il meglio (secondo il metro di questa Cosa Nostra dello spazio) se un giorno le autorità di Sarr non infiltrassero un loro scienziato nella banda di spacciatori, e se finalmente le barriere di gelo che isolano due culture aliene non crollassero in qualche modo. Per la prima volta in Italia uno storico romanzo classico firmato dal maestro dell'esobiologia.

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«Nessun segreto commerciale da trafugare, finora» pensò.

Si accingeva a ritornare indietro per la strada da cui era venuto, quando gli venne in mente che forse avrebbe fatto meglio ad accertarsi che non ce ne fossero veramente. Con una rapida occhiata, scorse alcuni posti dove si potevano nascondere dei documenti; e quei pochi li esaminò in pochi istanti. Erano soprattutto armadietti collocati sotto pannelli di strumenti, e parevano contenere soltanto tabelle dei movimenti dei pianeti di quel sistema. Le giudicò inutili; il loro principale impiego doveva essere per la navigazione, ma Ken non riusciva a immaginare che navigazioni si potessero fare in quel sistema, a parte quelle dirette verso il Pianeta dei Ghiacci. Potevano essere utilizzate per inviare una sonda a esplorare i pianeti, ma la cosa sembrava altrettanto inutile.

Sotto i comandi per la regolazione del raggio c’era un piccolo cassetto che conteneva due elenchi di numeri: anche ora si trattava di coordinate spaziali; ma questa volta Ken le osservò con maggiore attenzione, perché notò che almeno una di quelle serie di numeri non si riferiva a un pianeta: per prima cosa, non conteneva termini ciclici. La serie era breve: sei numeri, costituiti ciascuno da sei a dieci cifre; ma Ken li riconobbe. Il primo corrispondeva allo spettro di una stella faro; i tre successivi erano coseni direttori che davano le tre direzioni del vettore che portava a un’altra stella; il quinto era una distanza. In genere, Ken non sarebbe stato in grado di ricordare e riconoscere le lunghe serie di numeri delle coordinate stellari; ma quelle erano le coordinate del luminoso sole di classe A che riscaldava Sarr, il suo pianeta natale. L’ultimo numero era un’altra distanza, e senza dubbio rappresentava quella tra l’attuale punto d’osservazione e la stella a cui si riferivano le coordinate. Ken conosceva a sufficienza le convenzioni astronomiche standard per esserne certo.

L’altra serie di numeri, dunque, doveva dare la direzione dello stesso sole rispetto a qualche insieme locale di coordinate; ma lui ignorava le coordinate, e i numeri erano troppo lunghi da ricordare. Copiarli era un rischio eccessivo, se dietro quel gruppo di persone c’era qualcosa di più di un semplice segreto commerciale. Per lunghi istanti Sallman Ken rimase immobile a riflettere; poi, all’improvviso, infilò di nuovo il foglio nel cassetto, lo richiuse e lasciò l’osservatorio con tutta la rapidità compatibile con la cautela. Dato che in quella stanza c’erano delle informazioni pericolose, nessuno doveva sospettare che lui era rimasto laggiù più del minimo necessario. Sarebbe stato preferibile non essere visto, ma i due meccanici lo avevano scorto mentre saliva sulla rampa. Si diresse verso la propria stanza con l’intenzione di fingere di riposarsi, ma il suo cervello lavorava furiosamente.

Era riuscito a conoscere la distanza della sua stella d’origine. Evidentemente, il viaggio verso quel sistema, che era durato ventidue giorni, non era stato effettuato seguendo la rotta più breve; la distanza vera ammontava a soli duecentododici parsec. Un punto a favore di Rade: per un semplice viaggio commerciale sarebbe stata una precauzione inutile e costosa, ma per un’attività illegale sarebbe stata la norma.

Non conosceva la direzione che andava da quel sistema alla sua stella d’origine. Ma questo aveva poca importanza; quel che gli era stato chiesto dall’Ufficio Narcotici era la direzione opposta, in coordinate galattiche, ma tra le due serie di numeri c’era solo un collegamento arbitrario, che era più complesso da ricordare della direzione stessa.

Naturalmente, il faro elencato nelle coordinate stellari doveva essere visibile da laggiù; ma lui non si sentiva in grado di individuarlo, senza strumenti. Gli strumenti erano disponibili, certo, ma non era consigliabile farsi sorprendere a usarli. No, la ricerca di quelle direzioni doveva essere l’ultimo lavoro da compiere nella stazione.

A ogni modo, un dato lo aveva trovato, e la teoria di Rade diventava sempre più probabile. Sallman Ken si disse che per quel giorno si era guadagnata la giornata, e in base a tale conclusione si concesse il giusto riposo.

6

Passarono quasi tre giorni di Sarr, lunghi tredici ore ciascuno, senza che ci fossero novità; infine la stazione relè in orbita attorno alla Terra segnalò l’arrivo delle due sonde. Come previsto da Feth Allmer e successivamente confermato da Laj Drai, che aveva controllato il dato sulle sue tabelle, i segnali del radiofaro collocato sulla superficie del pianeta provenivano dalla parte in ombra. Dall’osservatorio, Drai telefonò al laboratorio, dove Ken e Allmer erano occupati a controllare la loro navicella, che in quel momento stava decelerando.

«Potete scendere subito, non appena raggiunta la parte in ombra» disse. «Se scenderete descrivendo un ampio cerchio, aggancerete facilmente il segnale del radiofaro. Tenetevi a un’altezza tra i quaranta e i quarantacinque gradi al di sopra del piano dell’orbita planetaria, misurati dal centro del pianeta. Il raggio potrà essere captato dalla vostra sonda quando giungerete a quaranta diametri planetari di distanza. È impossibile non trovarlo. Vi consiglio di agganciare il raggio e di lasciare che sia il pilota automatico a effettuare la manovra di discesa, finché non sarete entrati nell’atmosfera. A questo punto vi conviene passare ai comandi manuali e spostarvi di tre o quattro chilometri, se intendete scendere a terra. Nel caso che gli indigeni si siano accampati accanto al trasmettitore, è meglio non mettersi a pasticciare con le sostanze chimiche in mezzo a loro.»

«Giusto» convenne Ken."Feth ha adesso portato la sonda nella zona in ombra e sta per cominciare la discesa; dista ancora cinque diametri dalla superficie. Mi spiace che nella sonda non ci sia una telecamera. Un giorno o l’altro voglio avvicinarmi al pianeta quanto basta per potere usare un telescopio, a meno che, prima, qualcuno non costruisca una TV capace di resistere ai rigori dell’inverno.»

«C’è da prendersi più che un congelamento» rispose Drai, con convinzione. «Eppure, poco tempo fa, quando osservavate di persona quel mondo, non mi sembravate così desideroso di avvicinarvi.»

«Allora non m’era ancora venuta la curiosità» rispose Ken.

La conversazione s’interruppe per qualche tempo, e Feth Allmer continuò a spostare impercettibilmente le levette che regolavano la spinta dei motori della sonda. La navicella, come aveva riferito Ken quando aveva parlato con Drai, era già entrata nell’orbita del pianeta, ma doveva ancora ridurre la sua velocità relativa, che ammontava a molti chilometri al secondo. Allmer navigava con l’aiuto di alcuni strumenti collocati sulla stazione relè: un calcolatore dello sfasamento dell’eco e un gradiente direzionale, che ritrasmettevano fino al suo quadro di comandi le loro misurazioni; la sonda era ancora troppo lontana dalla Terra perché si potesse utilizzare l’altimetro a riflessione. Per alcuni minuti, Ken osservò in silenzio i quadranti, interpretando come meglio sapeva i movimenti delle lancette e i gesti di Allmer. Alla fine, un brontolio di soddisfazione del meccanico lo informò, più chiaramente di qualsiasi strumento, che il raggio era stato agganciato. Con un tentacolo, il meccanico spinse a fondo scala una delle levette.

«Non capisco perché non installano su queste sonde le attrezzature necessarie per dare loro una buona accelerazione» brontolava Allmer a bassa voce. «Cosa scommettete che usciremo dalla portata del raggio, prima che si riesca a uguagliare la velocità di rotazione del pianeta? Con nove decimi del loro volume dedicati ai motori e agli accumulatori, le nostre sonde potrebbero raggiungere elevate velocità anche senza ricorrere ai motori iperspaziali. Ma questi modelli da pochi soldi…» S’interruppe. Ken non rispose, poiché non capiva se l’altro voleva davvero avere una risposta. Del resto, Allmer era troppo intelligente perché quel tipo di banalità fosse spontaneo, e occorreva riflettere su ogni risposta, anche per semplici motivi di cautela.

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