«Sei minuti all’accensione» disse Hal. «Tutti i sistemi funzionano normalmente. Sono pronto a interrompere il conteggio alla rovescia, se lei è d’accordo. Mi consenta di rammentarle che l’ordine più importante impartitemi è quello di studiare, nello spazio di Giove, qualsiasi cosa tale da poter essere collegata con l’intelligenza.»
Floyd riconobbe anche troppo bene la frase: l’aveva scritta egli stesso. Si augurò di poterla cancellare dalla memoria di Hal.
Un momento dopo era giunto sul ponte, unendosi agli Orlov. Entrambi lo fissarono con allarmata preoccupazione.
«Che cosa propone?» gli domandò Tanya, immediatamente.
«Spetta a Chandra decidere, temo… Posso parlargli… sulla linea privata?»
Vasili gli porse il microfono.
«Chandra? Presumo che Hal non possa udire questa conversazione.»
«Esatto, dottor Floyd.»
«Deve parlargli subito. Per convincerlo che il conteggio alla rovescia deve continuare; gli dica che apprezziamo il suo… ehm, entusiasmo scientifico… sì, è questo il giusto approccio… gli dica che siamo certi della sua capacità di svolgere il compito senza il nostro intervento. E che, naturalmente, rimarremo in ogni momento in contatto con lui.
«Cinque minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente. Sto aspettando la risposta, dottor Chandra.»
La stiamo aspettando tutti, pensò Curnow, a un metro appena di distanza dallo scienziato. E se proprio, in ultimo, dovrò premere quel pulsante, sarà qualcosa di simile a un sollievo. In effetti ne gioirò alquanto.
«Benissimo, Hal; continua il conteggio. Ho la massima fiducia nella tua capacità di studiare tutti i fenomeni dello spazio di Giove senza la nostra supervisione. Naturalmente ci terremo continuamente in contatto con te.»
«Quattro minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente. Pressurizzazione del serbatoio di propellente completata. Voltaggio costante nell’innesco del plasma. È proprio sicuro di aver preso la decisione giusta, dottor Chandra? Mi piace collaborare con gli esseri umani e avere con essi rapporti stimolanti. Assetto dell’astronave corretto, con la tolleranza di un milliradiante.»
«Piace anche a noi lavorare con te, Hal. E continueremo a farlo anche se ci troveremo a milioni di chilometri di distanza.»
«Tre minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente. Scudo antiradiazioni controllato. Esiste il problema del ritardo di tempo, dottor Chandra. Potrebbe essere necessario consultarci senza indugi.»
Ma tutto questo è pazzesco, pensò Curnow, la cui mano non era mai rimasta lontana dal comando dell’interruttore di disinserimento. Credo davvero che Hal si senta… solo. Sta forse miniando un aspetto della personalità di Chandra che non abbiamo mai sospettato?
Le lampade baluginarono, in modo così impercettibile che soltanto chi aveva familiarità con ogni sfumatura del comportamento della Discovery avrebbe potuto accorgersene. Poteva essere un buon segno, oppure l’opposto…
Osò scoccare una rapida occhiata a Chandra; la faccia dello scienziato piccoletto era tesa e ansiosa e, quasi per la prima volta, Curnow provò una sincera comprensione per lui, come la provava per ogni altro essere umano. E ricordò il particolare stupefacente confidategli da Floyd… la proposta di Chandra di restare sull’astronave per tener compagnia ad Hal durante i tre anni del viaggio di ritorno. Non aveva più sentito parlare di quell’idea ed era presumibile che fosse stata tacitamente abbandonata dopo l’avvertimento. Ma forse Chandra era tentato di nuovo; in tal caso, non avrebbe più potuto far nulla al riguardo, ormai.
Non vi sarebbe stato il tempo per i preparativi necessari, nemmeno se si fossero trattenuti per un’altra orbita o avessero ritardato la partenza al di là del limite invalicabile. Cosa che Tanya non avrebbe consentito di certo, dopo gli ultimi avvenimenti.
«Hal» bisbigliò Chandra, così sommessamente che Curnow riuscì a malapena a udirlo. «Dobbiamo partire. Non ho il tempo di spiegarti tutti i motivi, ma posso assicurarti che è così.»
«Due minuti all’accensione. Tutti i sistemi funzionano normalmente. Sequenza finale iniziata. Mi spiace che lei non possa trattenersi. Può spiegarmi alcuni dei motivi, in ordine di importanza?»
«Non in due minuti, Hal. Continua il conteggio alla rovescia. Ti spiegherò dopo. Abbiamo ancora più di un’ora… per restare insieme.»
Hal non rispose. Il silenzio continuò a protrarsi e a protrarsi. Senza dubbio il momento dell’annuncio dell’ultimo minuto era già trascorso…
Curnow sbirciò l’orologio. Dio mio, pensò, Hal lo ha omesso! Ha forse interrotto il conteggio?
La mano di lui annaspò incerta verso il comando a distanza dell’interruttore. Come mi regolo, adesso? Vorrei che Floyd dicesse qualcosa, maledizione; ma probabilmente teme di peggiorare le cose…
Aspetterò fino al momento zero… no, la situazione non è così critica, diciamo un minuto in più… dopodiché lo disinserirò e passeremo ai comandi manuali…
Da lontano, da molto lontano, giunse un sommesso ululato sibilante, come il suono di un tornado che avanzasse subito al di là dell’orlo dell’orizzonte. La Discovery cominciò a vibrare; era il primo indizio del ritorno della gravità.
«Accensione» disse Hal. «Massima spinta a T più quindici secondi.»
«Grazie, Hal» rispose Chandra.
48. SOPRA IL LATO IMMERSO NELLA NOTTE
A Heywood Floyd, nell’ambiente a un tratto non più familiare — perché non più senza peso — del ponte di volo della Leonov, il susseguirsi degli avvenimenti era sembrato più un classico incubo al rallentatore che una realtà. Una sola volta in precedenza, nel corso della sua vita, egli aveva sperimentato una situazione analoga: quando era venuto a trovarsi sul sedile posteriore di un’automobile durante una sbandata incontrollabile. Aveva provato, allora, la stessa sensazione di assoluta impotenza… accompagnata dalla riflessione: in realtà tutto questo non ha alcuna importanza… non sta realmente accadendo a me.
Ora che la sequenza dell’accensione era cominciata, il suo stato d’animo mutò; tutto parve di nuovo reale. Ogni cosa stava procedendo esattamente come avevano previsto; Hal li guidava in modo sicuro verso la Terra. Ad ogni minuto che trascorreva il loro avvenire diventava meno incerto; Floyd cominciò a rilassarsi adagio, pur rimanendo all’erta nei confronti di tutto quel che accadeva intorno a lui.
Per l’ultimissima volta — e quando altri uomini sarebbero arrivati di nuovo sin lì? — stava sorvolando il lato immerso nella notte del più grande dei pianeti, il cui volume avrebbe dovuto includere mille volte la Terra. Le astronavi erano state fatte ruotare su se stesse, per cui la Leonov veniva ora a trovarsi tra la Discovery e Giove e la loro visuale del paesaggio di nubi, misteriosamente baluginante, non era ostacolata. Decine di strumenti continuavano indaffarati a sondare e a registrare; Hal avrebbe continuato il loro lavoro quando si fossero allontanati.
La crisi immediata essendo stata superata, Floyd «discese» con cautela dal ponte di volo — com’era strano sentire di nuovo il peso, anche se si trattava soltanto di dieci chilogrammi! — e raggiunse Zenia e Katerina nel locale delle osservazioni. A parte il tenuissimo bagliore rosso delle luci di emergenza, era stato completamente oscurato affinché potessero ammirare indisturbati la visione notturna. Egli compassionò Max Brailovsky e Sascia Kovalev, che rimanevano seduti nel locale a chiusura ermetica, indossando la tuta spaziale, e si perdevano lo spettacolo meraviglioso. Dovevano tenersi pronti a uscire nel vuoto da un momento all’altro per tagliare i nastri che tenevano insieme le astronavi qualora una delle cariche non fosse esplosa.
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