«E le domeniche?»
«Oh, il francese o il tedesco, a settimane alterne.»
«Ora so esattamente che cosa intendete con nekulturny; mi sta come un guanto. Sascia si sente forse in colpa a causa della sua… defezione? E, con un simile ambiente familiare, come mai è diventato ingegnere?»
«A Novosibirsk si impara presto chi sono i servi e chi sono gli aristocratici. Sascia era un giovanotto ambizioso, oltre ad essere intelligentissimo.»
«Proprio come lei, Vasili.»
«Et tu Brute! Vede, posso citare anche Shakespeare… Bozhe moi!… cos’era mai quello?»
Floyd era stato sfortunato. Stava galleggiando voltato di spalle alla finestra di osservazione «non aveva veduto un bel nulla. Quando si girò, pochi secondi dopo, rimaneva soltanto la scena familiare del Grande Fratello che bisecava il gigantesco disco di Giove, così come aveva fatto sin dal momento del loro arrivo.
Ma a Vasili, per un attimo destinato a rimanere impresso in eterno nella sua memoria, quel netto profilo aveva presentato una scena completamente diversa e del tutto impossibile. Era stato come se una finestra si fosse spalancata su un altro universo.
La visione si era protratta per meno di un secondo, prima che un riflesso involontario, il battito delle palpebre, la escludesse. Egli aveva contemplato un raggruppamento e non già di stelle, ma di soli, quasi avesse veduto il gremito cuore di una galassia, o il centro di un ammasso globulare. E, in quel momento, Vasili Parlov si era dimenticato per sempre dei cicli della Terra. Da allora in avanti gli sarebbero sembrati intollerabilmente vuoti; persino la formidabile Orione e lo sfarzoso Scorpione sarebbero stati raggruppamenti appena percettibili di fioche stelle che non meritavano una seconda occhiata.
Quando osò riaprire gli occhi, tutto era scomparso. Ma no, non completamente. Nel centro stesso del ristabilito rettangolo nero come ebano, stava ancora splendendo una fioca stella.
Ma una stella non si sposta mentre la si contempla. Orlov batté di nuovo le palpebre, per schiarire la vista degli occhi pieni di lacrime. Sì, il movimento era reale; non lo stava immaginando.
Una meteora? Fu un indizio dello stato di choc del primo scienziato Vasili Orlov il fatto che già svariati secondi erano trascorsi quando egli rammentò come le meteore siano impossibili nello spazio vuoto.
Poi la stella si offuscò all’improvviso, divenendo una striatura di luce e, dopo pochi battiti cardiaci, la striatura scomparve oltre l’orlo di Giove. Nel frattempo Vasili, riavutosi dallo stupore, era diventato una volta di più l’osservatore freddo e spassionato.
Già aveva valutato con buona approssimazione la traiettoria dell’oggetto. Non potevano esservi dubbi: puntava direttamente verso la Terra.
PARTE V
IL BAMBINO DELLE STELLE
Fu come se si fosse destato da un sogno… o da un sogno entro un sogno. La porta tra le stelle lo aveva riportato nel mondo degli uomini, ma non più come un uomo.
Per quanto tempo era rimasto lontano? Per un’intera esistenza… anzi no, per due: l’una in avanti, l’altra a ritroso.
Come David Bowman, comandante e ultimo superstite dell’equipaggio dell’astronave americana Discovery, era stato catturato da una trappola gigantesca, predisposta tre milioni di anni prima e regolata in modo da reagire soltanto al momento giusto e al giusto stimolo. Era precipitato attraverso ad essa da un universo all’altro, imbattendosi in meraviglie alcune delle quali adesso capiva, mentre altre sarebbero rimaste per sempre incomprensibili. Aveva percorso, ad una velocità continuamente accelerata, infiniti corridoi di luce, fino a diventare più veloce della luce stessa. Sapeva che questo era impossibile; ma sapeva altresì, ormai, come vi si poteva riuscire. Il buon Dio era sottile, aveva detto Einstein, mai però malevolo.
Era passato attraverso un sistema di smistamento cosmico — una stazione Gran Central delle galassie — per emergere, protetto grazie a forze ignote dalla sua furia, in prossimità della superficie di una stella gigante rossa.
Là aveva assistito al paradosso di un’aurora su un sole, quando la brillante Nana Bianca, compagna dell’astro morente, era salita nel cielo di quest’ultimo — un’ardente apparizione — trascinando sotto di sé un’ondata di marea fatta di fuoco. Egli non aveva provato alcun timore, ma soltanto meraviglia, anche quando la capsula spaziale lo aveva portato in basso, nell’inferno sottostante…
… per condurlo, al di là di ogni logica, in un appartamento d’albergo mirabilmente arredato, nel quale non si trovava nulla che non gli fosse del tutto familiare. Tuttavia quegli oggetti, per la maggior parte erano finti; finti i libri sugli scaffali, finte le scatole di cereali e finti i barattoli di birra nel frigorifero; e molte delle scatole, sebbene avessero etichette famose, contenevano tutte lo stesso blando alimento, che aveva la stessa consistenza del pane, ma un sapore quasi uguale a quello di qualsiasi altro cibo da lui immaginabile.
Si era reso conto ben presto di essere un esemplare in qualche giardino zoologico cosmico, entro una gabbia accuratamente ricreata ispirandosi alle immagini di vecchi programmi televisivi. E si domandava quando sarebbero apparsi i suoi guardiani, e con quale aspetto fisico.
Com’era stata pazzesca questa prospettiva! Sapeva adesso che tanto sarebbe valso sperare di vedere il vento, o speculare sulla vera forma del fuoco.
Poi la spossatezza della mente e del corpo lo aveva sopraffatto. Per l’ultima volta David Bowman si era addormentato.
Un sonno strano, in quanto sentiva di non essere del tutto inconscio. Come una nebbia strisciante attraverso la foresta, qualcosa gli invadeva la mente. Se ne rendeva conto soltanto vagamente, poiché il pieno impatto della cosa lo avrebbe distrutto con la stessa rapidità e la stessa certezza degli incendi infurianti intorno a lui. Sotto lo spassionato scrutinio del fenomeno, egli non provava né speranza né paura.
A volte, durante il lungo sonno, sognava di essere desto. Anni erano trascorsi; a un certo momento si guardava in uno specchio e vedeva una faccia rugosa che a malapena riconosceva come la propria. Il suo corpo stava correndo verso la dissoluzione, le lancette dell’orologio biologico giravano pazzamente verso una mezzanotte che non avrebbero mai raggiunto. Infatti, all’ultimo momento il tempo si fermò… e si invertì.
Le sorgenti della memoria venivano sfruttate; mediante controllate reminiscenze egli riviveva il passato e man mano veniva svuotato di conoscenza ed esperienza mentre tornava indietro verso la fanciullezza. Ma nulla andava perduto; tutto ciò che era stato, in ogni momento della sua vita, veniva trasferito altrove per essere più sicuramente custodito. Nel momento stesso in cui un certo David Bowman cessava di esistere, un altro David Bowman diveniva immortale, andando al di là delle necessità della materia.
Era un dio embrionale, non ancora pronto alla nascita. Per ere aveva galleggiato in un limbo, consapevole di quello che era stato, ma non di quello che era divenuto. Si trovava ancora in una condizione fluida… in un punto intermedio tra la crisalide e la farfalla. O forse soltanto tra il bruco e la crisalide…
E poi la stasi venne interrotta: il Tempo rientrò nel suo piccolo mondo. Il lastrone nero, rettangolare, che all’improvviso gli apparve dinanzi, era come un vecchio amico.
Lo aveva già veduto sulla Luna; lo aveva incontrato in orbita intorno a Giove; e sapeva, in qualche modo, che i suoi antenati si erano imbattuti in esso molto tempo prima. Sebbene il lastrone contenesse segreti non ancora sondati, non rappresentava più un mistero totale; egli capiva adesso alcuni dei suoi misteri.
Si rendeva conto che non si trattava di un unico oggetto, ma di una moltitudine di oggetti; e che, qualsiasi cosa potessero stabilire gli strumenti di misura, aveva sempre le stesse dimensioni — era tanto grande quanto si rendeva necessario.
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