Philip Farmer - Il fabbricante di universi

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Il romanzo racconta la storia di Robert Wolff, insegnante universitario in pensione, che seguendo il rumore di uno squillo di tromba apre la porta del ripostiglio e si ritrova in un mondo fantastico, chiamato Mondo dei Livelli.
Il Mondo dei Livelli è una specie di gigantesca torre, i cui piani sono abitati da diverse civiltà. Nei piani inferiori vivono le più primitive mentre salendo diventano via via più progredite. In cima alla torre vive una specie di semidei, esseri umani in grado di fabbricare interi universi.
Wolff, con l’aiuto di un indigeno di nome Kickaha scopre di essere il creatore di quel mondo, e si trova a dover intraprendere una lotta per scacciare gli usurpatori e riprendere il proprio rango.

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«Devi farlo» disse Kickaha. «Ma, in sostanza, cosa impedirà ad Arwoor di fuggire con le mezzelune?»

Wolff sorrise, e indicò il tavolo.

«Arwoor avrebbe dovuto distruggerlo, invece che indulgere alla sua immaginazione sadica. Come tutte le armi, è a doppio taglio.»

Attivò i comandi, e, di nuovo, la visione della mezzaluna apparve sullo schermo. Linee di luce ondulate correvano su di essa. Wolff si diresse verso un altro tavolo, e aprì uno sportello che rivelò un quadro di comando senza alcuna scrittura. Manovrò due leve, poi schiacciò un bottone. Lo schermo divenne vuoto.

«La risonanza della sua mezzaluna è stata cambiata» disse Wolff. «Quando cercherà di usare quella, con una delle altre in suo possesso, avrà una bella sorpresa. Non del genere di quella ricevuta da Vannax. Solo che non avrà nessun passaggio.»

«Voi Signori siete una razza di abili truffatori» disse Kickaha. «Però devo ammettere che mi piace il vostro stile.»

Lasciò la stanza. Dopo un istante, le sue grida giunsero dal corridoio. Podarge fece per lasciare la sala, poi si fermò a guardare sospettosamente Wolff. Lui cominciò a correre. Podarge, sicura della sua venuta, corse davanti a lui. Wolff si fermò e tolse il corno dalla sacca. Infilò un dito nella sua parte terminale, lo infilò nella sola apertura della rete fittissima abbastanza grande da contenere il dito. Uno strattone fece cadere la rete. Lui girò il corno e infilò di nuovo la rete, a rovescio. Allora rimise il corno nella sacca, e corse dietro l’arpia.

Lei era con Kickaha, il quale spiegava di avere creduto di avere visto un gworl, che si era poi rivelato semplicemente un’aquila in caccia. Wolff disse che dovevano ritornare dagli altri. Non spiegò che era necessario che il corno si trovasse a una certa distanza dalle pareti della sala di comando. Quando furono ritornati nel corridoio esterno della sala di comando, Wolff aprì la sacca. Kickaha si mise dietro Podarge, pronto a mandarla nel regno dei sogni, se avesse creato qualche difficoltà. Cosa poi avessero potuto fare alle aquile, oltre a scatenar loro addosso le scimmie, era un’altra faccenda.

Podarge esclamò alla vista del corno, ma non fece gesti ostili. Wolff sollevò il corno alle labbra e sperò di ricordare l’esatta sequenza di note. Da quando aveva parlato con Vannax, molto era ritornato, ma molto era ancora perduto.

Aveva appena portalo il corno alle labbra, quando si udì ruggire una voce. Sembrava venire dal soffitto, dalle pareti e dal pavimento, da ogni punto. Parlava nella lingua dei Signori, e Wolff ne fu lieto. Podarge non conosceva quella lingua.

«Jadawin! Non ti ho riconosciuto, finché non ti ho visto col corno! Mi sembrava che avessi un aspetto familiare… avrei dovuto immaginarlo. Ma è passato tanto tempo! Quanto?»

«Molti secoli, o millenni, dipende dalla misura del tempo. Così, i due vecchi nemici si incontrano di nuovo. Ma questa volta non hai via di scampo. Morirai come è morto Vannax.»

«E come?» ruggì la voce di Arwoor.

«Farò fondere le pareti della tua fortezza, apparentemente inespugnabile. O resti dentro ad arrostire, o esci a morire in un altro modo. Non credo che tu rimarrai.»

Bruscamente, fu preso da un senso di ingiustizia. Se Podarge uccideva Arwoor, non avrebbe ucciso l’uomo che era responsabile della sua condizione attuale. Non importava il fatto che Arwoor si sarebbe comportato allo stesso modo, se fosse stato allora il Signore di quel mondo.

D’altra parte lui, Wolff, non era il vero colpevole. Non era il Signore Jadawin che aveva fabbricato questo universo e poi lo aveva manipolato così crudelmente per molte delle sue creature e dei terrestri condotti là con la forza. L’attacco di amnesia era stato completo; aveva tolto da lui tutto di Jadawin, l’aveva trasformato in una pagina bianca. Da quel nulla era emerso un uomo nuovo, Wolff, incapace di agire come Jadawin o qualsiasi altro Signore.

Ed era sempre Wolff, tranne che ora ricordava ciò che era stato. Il pensiero lo rendeva disperato e pentito e ansioso di riparare nel modo migliore. Era questo il modo più degno per iniziare, far morire Arwoor così orribilmente per un delitto che non aveva commesso?

«Jadawin!» gridò Arwoor. «Puoi credere di avere vinto con questa mossa! Ma ti ho dato di nuovo scacco! Ho un’altra pedina da muovere, e vale molto di più di quanto possa valere il tuo corno!»

«E di che si tratta?» domandò Wolff. Aveva la tremenda sensazione che Arwoor non stesse bluffando.

«Ho innescato una delle bombe che ho portato con me quando mi è stato tolto Chiffaenir. È sotto il palazzo, e quando lo vorrò, esploderà e farà saltare la cima del monolito, completamente. È vero che morirò anch’io, ma coinvolgerò nella mia morte il mio vecchio nemico! E moriranno pure la tua donna e i tuoi amici! Pensa a loro!»

Wolff stava pensando a loro. E soffriva.

«Quali sono le tue condizioni?» domandò. «So che non vuoi morire. Sei così infame che dovresti desiderare la morte, ma ti sei avvinghiato alla tua indegna vita per diecimila anni.»

«Basta con gli insulti! Vuoi o non vuoi? Il mio dito è a un centimetro dal bottone.» Arwoor ridacchiò e proseguì: «Anche se stessi bluffando, la qual cosa non è, tu non potresti correre il rischio di venire a controllare.»

Wolff parlò agli altri, che erano rimasti ad ascoltare senza capire, ma sapevano che stava accadendo qualcosa di essenziale. Spiegò tutto quello che osava spiegare, omettendo ogni collegamento tra se stesso e i Signori.

Podarge, col volto trasformato in una maschera di delusione e di follia, disse:

«Chiedigli quali sono le sue condizioni.»

E aggiunse:

«Dopo che tutto questo sarà finito, avrai molte cose da spiegarmi, Wolff.»

Arwoor rispose:

«Devi darmi il corno d’argento, il lavoro unico e preziosissimo del maestro Ilmarwolkin. Lo userò per aprire il passaggio nella piscina e per raggiungere il piano di Atlantide. È tutto quello che voglio, oltre alla tua promessa che nessuno mi inseguirà finché il passaggio non sarà richiuso.»

Wolff rifletté per qualche secondo. Poi disse:

«Molto bene. Puoi uscire adesso. Ti giuro sul mio onore, come Wolff, e sulla Mano di Detiuw, che ti consegnerò il corno e non manderò nessuno al tuo inseguimento, finché il passaggio non sarà richiuso.»

Arwoor rise e disse:

«Sto uscendo.»

Wolff attese che la porta in fondo al corridoio cominciasse ad aprirsi. Sapendo che allora Arwoor non avrebbe potuto sentirlo, disse a Podarge:

«Arwoor pensa di averci battuti, e può essere tranquillo. Emergerà dal passaggio in un punto a sessanta chilometri da qui, vicino a Ikwekwa, un sobborgo della città di Atlantide. Sarebbe alla mercè tua e delle tue aquile, se non esistesse un secondo punto di risonanza a quindici chilometri da Ikwekwa. Questo passaggio si aprirà al suono del corno, e trasporterà Arwoor in un altro universo. Ti mostrerò dov’è quando Arwoor avrà attraversato il passaggio nella piscina.»

Arwoor avanzò sicuro. Era un uomo alto, dalle spalle larghe e dall’aria simpatica, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi e ricci. Prese il corno da Wolff, si inchinò ironicamente, e discese il corridoio. Podarge lo guardò con tanta furia che Wolff temette che saltasse su di lui subito. Ma le aveva detto che doveva mantenere le sue promesse, lui, Wolff: quella fatta a lei e quella fatta ad Arwoor.

Arwoor passò tra due file di attaccanti, immobili e con lo sguardo fiammeggiante, simili a un’interminabile teoria di statue di marmo. Wolff non aspettò che Arwoor avesse raggiunto la piscina, ma entrò nella sala di comando. Un rapido esame gli mostrò che Arwoor aveva innescato un dispositivo che avrebbe fatto esplodere la bomba. Senza dubbio, si era concesso tempo sufficiente per fuggire. Malgrado ciò, Wolff sudò freddo finché non fu riuscito a disinnescare il terribile ordigno. Kickaha era già ritornato, dopo avere seguito Arwoor.

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