La pipa si era spenta. McDermott se la tolse di bocca, senza accorgersi nemmeno lontanamente delle spesse nubi di fumo blu-grigio che si stendevano a strati nell’ufficio, che permeavano i libri, le carte, le tende alla finestra.
Era buio. McDermott accese la lampada da tavolo, E vide, di nuovo, il rapporto giunto da Washington.
“Accidenti a lui!” Il vecchio batté la pipa sul grande posacenere della scrivania, stracolmo. Il cannello, antico e fragile, si spezzò.
“Due volte accidenti a lui!” sbottò fra sé McDermott, “E dove diavolo è la ragazza? Ormai dovrebbe essere qui.”
Come in risposta, bussarono alla porta. Senza attendere, Jo aprì il battente ed entrò nell’ufficio del professor McDermott.
«È in ritardo» grugnì lui.
«La lezione è appena terminata.»
«Oh, ultimamente frequenta anche le lezioni» commentò lui, sarcastico.
«Quando posso.»
La ragazza era perfettamente calma. Senza togliersi la giacca, mettendosi i libri in grembo, gli sedette di fronte. Con una smorfia di disgusto, agitò una mano per allontanare il fumo.
«Si diverte nel New Hampshire? So che tutti i week-end li passa lì con Stoner.»
«Sono affari miei» ribatté lei.
«E invece diventeranno miei» scattò McDermott. «Sono affari del PROGETTO JUPITER, se non lo sa.»
La ragazza s’irrigidì. «Lei mi ha detto di fare tutto il possibile perché lui accettasse di restare in quella casa senza creare altri guaì. Quindi, faccio quello che posso.»
McDermott tamburellò le dita sul rapporto che aveva sulla scrivania. «Il che significa anche imbucare lettere sue per l’estero?»
Jo esitò solo per una frazione di secondo, «Cosa vuole dire?»
«Chissà come, Stoner è riuscito a far partire una lettera. Per la Russia, niente di meno. Era indirizzata a un linguista sovietico, stando a Washington.»
«Non ne so niente» disse Jo.
«Lei è l’unica che possa far uscire una sua lettera.»
Lei scosse la testa, decisa. «Non ho imbucato nessuna lettera per la Russia né per lui né per chiunque altro. Non lo farei mai.»
«Ne è sicura?»
«E Washington come sa che ha spedito una lettera a quel russo?»
McDermott ridacchiò. «Non mi dicono quale sia la fonte delle loro informazioni. Immagino che avremo spie al Cremlino, come i russi hanno spie a Washington.»
«E cosa c’è scritto nella lettera?»
«Quanto basta per sbattere Stoner in una prigione federale per molto, molto tempo.» McDermott capì, nel momento in cui lo diceva, che era la verità. Il suo cuore si alleggerì d’un peso. Con Stoner uscito di scena…
«Non può farlo!» disse Jo.
Lui scrollò le spalle. «Non sta a me decidere. È un problema della marina.»
«Ma… Ha detto che per il progetto le serve Stoner.»
McDermott sorrise. «Presumo che ormai si possa procedere anche senza di lui. In effetti, ci ha dato più problemi che altro.»
«No. Non può.»
La voce di Jo era quasi implorante. McDermott avvertì la tensione improvvisa della ragazza, la vide protendersi in avanti, il volto contratto per la preoccupazione.
«Stoner si è impiccato con le sue mani» le disse, e il sangue dentro di lui si rimescolò, gli si formò dentro uno strano calore.
«Non farebbe mai niente di male» stava dicendo Jo. «Deve trattarsi di un errore…»
Ma McDermott non l’ascoltava più. Aveva sentito il tono della sua voce, visto l’ansietà nei suoi occhi; e aveva capito, con uno shock interiore, di volerla per sé. Disperatamente. Per sé, e per nessun altro.
«Ci dev’essere qualcosa che potete fare!» implorò Jo.
McDermott aveva ancora in mano il cannello della pipa spezzato. Lo gettò nel posacenere, prese un’altra pipa e cominciò a riempirla in silenzio, metodicamente, senza una parola, osservando la ragazza che osservava lui, aspettando che lei rompesse il silenzio.
«Non può… fare qualcosa? Aiutarlo?»
«Ha infranto i regolamenti di sicurezza» rispose lentamente McDermott. «Ha firmato l’impegno alla segretezza e poi ha spedito una lettera in Unione Sovietica.»
«Forse è una lettera vecchia. Forse l’ha scritta prima di firmare l’impegno alla segretezza.»
McDermott schiacciò il tabacco e s’infilò la pipa in bocca. «È sempre un crimine punibile dalle leggi federali.»
Jo si guardò attorno nella stanza, come in cerca d’aiuto. «Ma lei può fare qualcosa, senz’altro.»
Con un tremito interiore, McDermott si sentì dire: «Probabilmente potrei raccontare alla marina che è troppo importante per il progetto per mandarlo in galera.»
Jo annuì, felice.
«Ma perché dovrei? Perché dovrei mettere a rischio le possibilità di successo del progetto per lui? Cosa ci guadagno?»
Per diversi momenti, lei non parlò. McDermott sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie.
Alla fine, non resistette più. «Se io… gli salvassi il collo, lei cosa farebbe?»
Gli occhi di Jo s’illuminarono. La ragazza s’irrigidì sulla sedia. «Cosa farei io?»
«Per me.»
Jo quasi sorrise. «Cosa vuole che faccia?»
Togliendosi di bocca la pipa ancora spenta, McDermott disse, tremando: «Deve smettere di vederlo. E passare il suo tempo con me.»
Lei annuì lentamente. «E io cosa ci guadagno?»
Lui si sentì confuso. «Come sarebbe a dire?»
«Voglio una lettera di raccomandazione per la NASA. Una lettera che mi raccomandi per l’assunzione come astronauta.»
«Vuole…»
«Le darò quello che vuole, se lei darà a me quello che voglio.»
«E Stoner?»
«Resterà al progetto. Non lo vedrò più. Lei scriva la lettera.»
Deglutendo a fatica, McDermott ribatté: «Quando… Quando il progetto sarà terminato. Scriverò la lettera allora. C’è un sacco di lavoro che ci aspetta.»
«Comunque, può mandare lo stesso la lettera alla NASA. Subito. Resterò col progetto sino alla fine.»
A McDermott stava scoppiando la testa, «Non è così semplice, ragazza. Se si aspetta che io…»
«Farò quello che vuole» disse Jo. «Però, prima, scriva la lettera.»
«Io… Vedremo. Devo pensarci.»
Jo si alzò, s’infilò i libri sotto il braccio, all’altezza dei fianchi. «Okay, ci pensi. Quando mi darà la lettera e l’assicurazione che il dottor Stoner non sarà allontanato dal progetto, io terrò fede ai miei impegni.»
Arrivò alla porta, si girò a guardarlo. «Tanto per capirci… Non mi vanno le catene e i divertimenti sado-masochistici, ma per tutto il resto sono disponibile.»
Quando lei uscì, chiudendosi la porta alle spalle con un colpo secco, McDermott era in un bagno di sudore.
Markov sedeva in sala d’aspetto come uno scolaretto colto in fallo, e aspettava, aspettava. La segretaria dell’accademico Bulacheff, una donna corpulenta di cinquant’anni o più, di tanto in tanto gli scoccava un’occhiata. Uomini entravano e uscivano dall’ufficio dell’accademico. Ma nessuno rivolgeva la parola a Markov.
Fuori nevicava. Markov restò a guardare i fiocchi bianchi che si appiccicavano ai vetri della finestra. A poco a poco, Mosca scomparve sotto le raffiche di vento e neve. Persino le guglie e le mura del Cremlino divennero macchie confuse.
“Una vera tormenta” si disse Markov. “Chissà quanto ci metterò per tornare a casa.”
Alla fine, quando stava per cadere in un sopore ipnotico indotto dalla neve, la voce nasale della segretaria gracchiò: «Kirill Vasilovsk Markov?»
Lui si risvegliò di colpo. Non c’era nessun altro nella sala, ma la donna aveva lo stesso trasformato il suo nome in una domanda. «Sì, sono io» rispose Markov.
«L’accademico Bulacheff può riceverla.»
Markov si alzò, leggermente incerto sulle gambe, e raggiunse la porta in legno grezzo dell’ufficio dell’accademico.
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