Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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“Bulacheff è l’uomo chiave” gli ripeté la voce ammonitrice di sua moglie. È lui che deve restare soddisfatto. Se riesci a convincerlo che quei segnali non sono un linguaggio, forse andrà tutto bene. Ma se resterà scontento del tuo lavoro… Maria non aveva terminato la frase: una spada sospesa sulla testa di Markov.

L’ufficio di Bulacheff non era né spazioso né lussuoso, però un samovar lucidissimo sbuffava in un angolo della piccola stanza. E l’accademico si alzò dalla scrivania per dare a Markov un caldo benvenuto.

«Kirill Vasilovsk! Come è stato gentile a venire di persona. Spero che la neve non le darà noie, tornando a casa.»

Markov sorrise e annuì e mormorò frasi di circostanza, e pensò: “Sono stato costretto a venire di persona, mi hai convocato. E come potrei sperare di non avere noie dalla neve, a meno che non restiamo qui fino a primavera?”.

«Ho letto il suo rapporto» disse l’accademico, riaccomodandosi alla scrivania. «Molto interessante. Molto interessante.»

Fece una strizzatina d’occhi a Markov, poi frugò nell’ultimo cassetto della scrivania, dove trovò una bottiglia di vodka e due bicchieri.

«Non è ghiacciata» si scusò.

Markov gli sorrise. «Non si preoccupi. Sono già congelato io.»

Bulacheff indicò all’ospite il logoro divano in pelle in un angolo dell’ufficio. Sopra il divano erano incorniciati ritratti di Mendeléev, Lobachevski, Oparin e Kapitza. L’inevitabile ritratto di Lenin era sopra la scrivania dell’accademico. Però non c’erano uomini politici contemporanei, notò Markov.

Accettò il minuscolo bicchiere di vodka. Bulacheff brindò: «Alla comprensione.»

Tutt’e due trangugiarono il liquore d’un fiato.

Mentre Bulacheff si spostava con la sedia girevole per riempire il bicchiere di Markov, il linguista disse: «Lei è stato gentile a trovare tempo per me. So che deve essere molto occupato.»

Il cranio calvo di Bulacheff luccicava alla luce dei pannelli sul soffitto. «A dire il vero, sono felicissimo di vederla. Voglio discutere questa faccenda di Giove con qualcuno che non appartenga all’Accademia, che non faccia parte dell’ufficialità.»

«Oh?»

Con un sorriso quasi timido, Bulacheff si riaccomodò in poltrona. «È persino troppo facile restare isolati, in una posizione come la mia. Vedo solo gente che fa parte dell’Accademia o del governo. A volte ci chiudiamo troppo su noi stessi; perdiamo di vista le cose importanti perché siamo troppo presi dai problemi immediati del momento.»

Stringendo il bicchiere di nuovo pieno, Markov annuì. «Capisco.»

«È un piacere discutere questa questione di…» Bulacheff lanciò un’occhiata distratta al soffitto. «…Di intelligenza extraterrestre con un uomo di scienza, anziché con un politico.»

“O alza lo sguardo al cielo, o cerca microfoni sul soffitto” pensò Markov. Poi disse: «E una questione di importanza estrema, vero.»

«Sì» convenne Bulacheff. «E gli americani sono parecchio più avanti di noi… Come al solito.»

«Cioè?»

«Questo Stoner… L’idealista che le ha scritto quella lettera… Sa chi è?»

Markov scosse la testa.

«La nostra ambasciata a Washington ci comunica che è uno degli astronomi che hanno collaborato alla progettazione e alla costruzione del telescopio orbitale lanciato da poco dagli americani. Lo chiamano Big Eye.»

«Un telescopio in orbita? Come uno Sputnik?»

«Esattamente. È chiaro che gli americani lo usano per studiare Giove da vicino… Molto più da vicino di quanto possiamo fare noi, visto che non abbiamo in orbita strumenti del genere.»

Markov si lisciò la barba con la mano. «Quindi, hanno scoperto cose che noi non possiamo vedere.»

«Esatto! Loro posseggono occhi, e noi siamo ciechi.»

«È un… vero peccato.»

Bulacheff bevve la vodka, appoggiò il bicchiere sulla scrivania. «La scienza dipende dalla politica. È sempre stato così. Capitalismo o socialismo, non fa differenza. Noi vogliamo studiare l’universo, però dobbiamo mendicare i soldi dei politici.»

Markov era d’accordo. «Anche agli inizi della scienza, grandi uomini come Galileo e Keplero dovevano preparare l’oroscopo dei loro mecenati, se volevano portare avanti il loro vero lavoro.»

«Sì. E oggi noi dobbiamo inventare armi per loro.»

Scrutando a sua volta il soffitto, Markov disse: «Ma è necessario per la difesa della Madrepatria.»

«Certo» disse seccamente Bulacheff. Poi aggiunse: «E per il trionfo del socialismo.»

«È un vero peccato che noi non abbiamo un telescopio orbitale» disse Markov.

«Occorrerebbero dieci anni per portarlo nello spazio… Nove dei quali spesi per manovre di corridoio e richieste umilianti.»

«Mi chiedo… Esiste la possibilità che possiamo usare il telescopio americano? O vedere le fotografie che ha scattato?»

Bulacheff lo fissò con sguardo truce. «Quando non vogliono nemmeno ammettere di avere scoperta qualcosa? Quando tengono segreta l’intera faccenda?»

«Hmmm. Sì. Sarebbe difficile.» Markov bevve metà della vodka, si sentì bruciare lo stomaco.

«Non fosse perché scoppierebbe la guerra, sarei tentato di chiedere ai nostri cosmonauti di impadronirsi di Big Eve» borbottò Bulacheff.

Markov scoppiò quasi a ridere, ma riuscì a controllarsi.

«No» disse cupamente Bulacheff «la nostra unica speranza è collaborare con gli americani. Però, vista la situazione internazionale, i nostri capi politici non accetteranno mai di essere costretti a chiedere favori a Washington.»

«Sarebbe umiliante» convenne Markov.

«Ma dev’esserci un modo per riuscirci!»

Markov scrutò con attenzione il piccolo uomo calvo. Per quanto avesse un aspetto fragile, Bulacheff possedeva una voce dura come l’acciaio. I suoi occhi scintillavano, e non semplicemente per effetto della vodka.

«Per il mio rapporto…» cominciò lentamente Markov, aspettando un’interruzione.

«Sì?»

«Immagino che l’abbia letto.»

«Con estrema attenzione.»

Markov annuì. «Se i segnali radio provenienti da Giove non sono un linguaggio, questo non significa che le probabilità dell’esistenza di vita intelligente sono… insomma, nulle?»

«Sarei portato a convenirne, certo» disse Bulacheff, scrollando leggermente le spalle «solo che gli americani stanno lavorando come indemoniati al problema.»

«Davvero?»

Bulacheff si mise a enumerare i punti sulle dita. Markov notò che aveva mani lunghe, magre, delicate: mani da pianista.

«Uno, il suo amico Stoner sta lavorando al problema. Ha lasciato l’ente spaziale americano per andare in un radio osservatorio piccolo e vecchio.»

Markov cominciò a dire: «Non è mio amico o…»

Ma Bulacheff continuò «Due, Stoner è in ottimi rapporti con i tecnici della NASA che si occupano di Big Eye. A quanto ci risulta, le fotografie che arrivano dal telescopio orbitale vengono inviate a Stoner attraverso canali sicurissimi.»

Markov annuì.

«Tre, tutto il personale dell’osservatorio, compreso il suo amico Stoner, è stato costretto a firmare nuovi impegni alla segretezza dalla marina degli Stati Uniti…»

«La “marina”?»

Bulacheff fece una smorfia. «Gli americani sono pessimi amministratori. In un modo o nell’altro, del progetto è incaricata la marina.»

«Non capisco.»

«Non fa differenza. La conclusione è che stanno lavorando al problema di Giove in segreto. Sappiamo anche che hanno già trovato un nome in codice: PROGETTO JUPITER. A quanto sembra, hanno informato del problema la NATO.»

«Forse annunceranno la notizia ufficialmente, appena avranno le prove…»

Bulacheff scosse la testa. «No. Vogliono entrare in contatto con gli alieni. E tenerci nascosta l’informazione.»

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