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Brian Stableford: Il giogo del tempo

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Brian Stableford Il giogo del tempo

Il giogo del tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Specialista di mondi esotici e contaminati, Brian M. Stableford ci porta in un tempo in cui l’umanità sarà tornata alla superstizione e alla barbarie. Ma in quel mondo d’ombre circolano strane voci sulla prodigiosa scienza degli antichi. Bisogna ritrovare il Viaggiatore del tempo! Una pericolosa avventura aspetta Matthew e John, due pellegrini disposti a tutto pur di trovare quel mitico superstite… Il salvatore.

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Subito pensai che stesse cercando di uccidere un serpente che aveva tentato di morderlo, poi considerai la possibilità che fosse in preda a qualche convulsione. Mi voltai verso Alvaro e John che come me osservavano i movimenti scomposti del ragazzo.

— Cosa pensate che stia facendo? — chiesi.

— Non saprei proprio — rispose il piccolo prete. — Perché non glielo chiediamo?

— Non vogliamo perdere tempo — disse John all’improvviso con quel suo modo di fare unico e irritante. — Non mi pare una buona idea farsi coinvolgere nelle vicende di un pazzo.

Il giovane continuò a saltellare, a contorcersi e a pestare i piedi come se non si fosse accorto della nostra presenza.

Nella discesa che portava all’affioramento roccioso la strada diventava più dissestata e Darling dovette scegliere il percorso con grande cura, evitando fessure e buche. John sedeva a cassetta ma lasciò a me il compito di guidare per la briglia la giumenta. Con apprensione osservammo il giovane saltare giù dalla roccia, correre verso di me per dieci passi, inciampare e cadere in avanti.

Gli andai incontro per aiutarlo, ma prima che lo raggiungessi lui si era già rialzato. Si era procurato un taglio che andava dal centro della fronte all’orecchio destro. Asciugò il sangue con una manica sudicia e ci guardò in silenzio. Mi feci nuovamente avanti ma lui si ritrasse come se improvvisamente si vergognasse della propria goffaggine. Quel movimento sembrò ricordargli l’esistenza di un’altra ferita, perché si fermò, restò su una gamba sola e si massaggiò il ginocchio sinistro. Aveva un’aria sofferente e un po’ imbarazzata.

— Be’ — disse — che c’è?

Scossi la testa e allargai le braccia per indicare che non volevo offenderlo né fargli del male e dissi: — Volevo solo aiutarti.

Lui posò con circospezione la gamba sinistra e si pizzicò il labbro. Aveva le unghie lunghe. — Chi siete? — domandò sgarbatamente.

— Stiamo andando verso ovest — dissi. — Il mio nome è Matthew. Ci chiedevamo… — Mi fermai non sapendo come scegliere le parole.

Il ragazzo, comunque, non ascoltava la domanda che lentamente cercavo di formulare. — Fai ombra dietro di te! — disse in tono accusatorio.

— Anche tu — gli feci notare alquanto sorpreso. — Qual è il problema?

— Ti piace? — mi chiese. Indugiai un attimo prima di rispondere per studiarlo più attentamente. Aveva più o meno l’età di John e la sua stessa corporatura esile, ma a differenza di John, che era un ragazzo di bell’aspetto, questo era decisamente brutto. Aveva una bocca larga e sporgente, la pelle butterata, la forma degli occhi pronunciata, simile a quella di una lucertola.

— Non ci bado — risposi alla fine. — Non posso farci molto — dissi sorridendo. — Si potrebbe quasi dire che le sono molto attaccato.

— Amo la mia ombra — disse il giovane.

Stavolta ero completamente sbigottito. Intimamente ero divertito per la mia sciocca battuta, ma la solennità del ragazzo mi tolse ogni voglia di ridere. — Davvero? — dissi con serietà.

— Ho sentito di gente che aveva paura della propria ombra — continuò il giovane. — Ce n’è un sacco. Gente assassinata in circostanze misteriose. Nessuna evidente causa di morte. Un mio amico dice che sono morti di malocchio. Chi pensate che potrebbe fare una cosa del genere? Attento!

Con la mano indicò il terreno ai miei piedi. Feci un balzo, come un coniglio impaurito. Quando ritornai con i piedi a terra ero furioso con me stesso per essermi fatto cogliere di sorpresa.

— Cercava di afferrarti — disse il giovane. — Devi stare attento. Non darle nemmeno mezza possibilità.

— La mia ombra… — cominciai a dire stizzito, ma non potei continuare.

— A me non succederà — disse il ragazzo, a voce molto alta, interrompendomi. — Io e la mia ombra andiamo proprio d’accordo. Amo la mia ombra, davvero. Dovresti fare pace con la tua, ti ha quasi preso, poco fa. Sei fortunato che ti abbia avvertito. Chissà che sarebbe successo se non fossi stato qui, eh?

Dietro di me sentivo le risate di Alvaro e John, divertiti dalla mia perplessità e dalla mia irritazione. Persino Darling nitrì con un tono chiaramente sarcastico.

— Devi fare attenzione — continuò l’irrefrenabile giovane. — È con te ovunque vai, ti osserva sempre con i suoi occhi invisibili. Di notte ti tormenterà e non puoi vederla. Puoi solo startene seduto, tremando di paura, e di giorno chiamerà in aiuto i suoi amici per prendersi gioco di te. Forse in questo stesso momento, in questo esatto istante, studia come ucciderti. Lei riesce a sentirmi, e adesso teme che tu possa stare in guardia. La cosa non le piace. Aspetterà che ti rilassi e al momento buono verrà di soppiatto a strangolarti. Non andare a dormire stanotte, non senza aver fatto la pace con la tua ombra.

— Sei pazzo — dissi senza speranza. — Sei completamente pazzo.

Mi ignorò. — Amo la mia ombra — ripeté orgoglioso. — Non devo averne paura. Noi ci aiutiamo a vicenda, ci parliamo, balliamo insieme.

— Era questo che stavi facendo allora… — ricominciai a dire.

— Andiamo insieme ovunque — continuò lui, senza degnarsi di riconoscere che avevo cercato di interromperlo. — Staremo sempre insieme, per sempre.

Lasciai perdere, gli girai le spalle e tornai da Darling, convinto che non vi fosse più motivo di stare lì. Ripartimmo in cerca dell’ombra.

— Quello era un uomo del tutto a suo agio in questo mondo — disse Alvaro a John. — Un uomo veramente felice.

— Sì — ammise John, e aggiunse: — Finché splende il sole.

4. Conquiste

— L’uomo ha conquistato le stelle — affermò John.

— Davvero? — disse Alvaro. — Non credo.

Ormai era un argomento abusato, ma Alvaro sembrava felice di parlare, parlare e parlare. E John era tanto sciocco da continuare i tentativi di convincerlo, o forse convincere se stesso. Io non mi univo alle discussioni, non più, mi limitavo a guidare il carro.

Fortunatamente la calura ormai era finita, e noi salivamo lentamente, ma inequivocabilmente, verso le colline. Eravamo passati dai campi coltivati del fondovalle alla zona boschiva, dove gli insediamenti umani erano molto meno frequenti. Le strade si presentavano lunghe e tortuose, e spesso terribilmente ripide. Sovente avevo l’impressione di percorrere miglia e miglia e non arrivare da nessuna parte: per ogni salita c’era una discesa, per ogni svolta a sinistra una svolta a destra.

— È vero — insistette John, tracciando col braccio un ampio arco sopra la testa, una linea nel cielo della sera. — Un tempo ogni stella, ogni singola stella ci apparteneva, apparteneva alla nostra razza… a questo pianeta, finché non vi rinunciammo e ritornammo a casa a marcire.

Alvaro rise sommessamente e John rivolse a quell’ometto, che continuava a non farsi impressionare, uno sguardo torvo.

— Ne abbiamo raggiunte così poche — disse pacatamente. — Davvero poche. Siamo andati, abbiamo piantato le nostre bandiere e pronunciato delle belle parole. Ci siamo guardati intorno e tutto quello che vedevamo ci sembrava a portata di mano. Dopotutto le stelle sono così minuscole lassù nel cielo. E nessuno potrà mai “vedere” i loro minuscoli mondi satelliti. Ma non siamo mai riusciti ad afferrarle perché esse non sono solo delle minuscole luci nel nostro cielo. Esse esistono. Hanno una loro identità e non possiamo obbligarle ad assumere l’identità che noi vorremmo solo per i nostri scopi.

“Non ci sono mai appartenute né mai potrebbero appartenerci. Era tutto un sogno, amico mio, proprio come i tuoi sogni scaturiti dall’orgoglio e da una visione ingannevole della realtà. Ti sarai reso conto che l’uomo non è il principio e la fine dell’esistenza. È solo parte di un continuum , l’anello di una catena, non sappiamo quanto lunga, che porta all’ultimo stadio dell’evoluzione. Forse non ci sarà un ultimo stadio dell’evoluzione e la catena andrà avanti per sempre, ma in entrambi i casi l’uomo rappresenta solo una fase transitoria. La Confraternita dell’Uomo Futuro si è prefissa anche di educare gli uomini ad apprezzare il loro ruolo nello schema delle cose. La Confraternita non insegna la gloria ma l’umiltà e la comprensione. Non abbiamo dei, siano essi idoli o sogni di vanità, abbiamo solo il nostro piccolo ruolo, la nostra esistenza. Non insegnamo il futile trionfo dell’Uomo, ma l’avvento finale dell’Uomo Futuro. La nostra razza deve morire, ma ci sarà vita dopo la morte. Non sarà la nostra vita, anche se sarà quella dei nostri discendenti. Sarà un nuovo modo di vivere… quello dell’Uomo Futuro.

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