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Brian Stableford: Il giogo del tempo

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Brian Stableford Il giogo del tempo

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Specialista di mondi esotici e contaminati, Brian M. Stableford ci porta in un tempo in cui l’umanità sarà tornata alla superstizione e alla barbarie. Ma in quel mondo d’ombre circolano strane voci sulla prodigiosa scienza degli antichi. Bisogna ritrovare il Viaggiatore del tempo! Una pericolosa avventura aspetta Matthew e John, due pellegrini disposti a tutto pur di trovare quel mitico superstite… Il salvatore.

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Nonostante i nostri ritardi, l’uomo non guadagnò terreno su di noi. Avevamo una missione, sapevamo dove andare mentre lui, apparentemente, non lo sapeva, e se lo sapeva non traspariva dai racconti che lasciava dietro di sé. Si fermava quando ne aveva voglia e ripartiva senza una chiara meta. Ero convinto che l’avremmo raggiunto prima della fine dell’estate, e i giorni “persi” a lavorare per guadagnare denaro non avrebbero influito, sempre che ci fosse data la possibilità di raggiungerlo. Tutto quello che doveva fare per sfuggirci era chiudere la bocca, ma perché avrebbe dovuto farlo?

Quando cominciammo a scalare le colline pedemontane, ancora molto distanti dalle austere vette di montagna, i giorni assunsero la tipica scansione di mezza estate: notti brevi si alternavano a lunghe ore di afa e di luce intensa. All’inizio salutammo il sole con entusiasmo, ma la sua incessante presenza cominciò a venirci a noia con sorprendente rapidità. Il sole prosciugava il nostro sudore e con esso anche la nostra energia. Darling procedeva più lenta che mai, perennemente stanca e svogliata, ma non avevo il coraggio di spronarla dal momento che sapevo esattamente come doveva sentirsi. John, naturalmente, era più impaziente e irritabile che mai, ma faceva troppo caldo per litigare.

Avanzavamo faticosamente lungo un ripido sentiero pietroso quando in lontananza vedemmo una sagoma minuscola. All’inizio non riuscii a distinguerla chiaramente e, sebbene fossimo ben visibili, forse l’unico oggetto in movimento nel raggio di chilometri, l’uomo pareva non averci ancora notato. Ci avvicinammo lentamente e, alla fine, lui udì il cigolio delle ruote del carro sopra le pietre. L’uomo, che aveva un aspetto particolarmente stanco, si fermò immediatamente e ci osservò avanzare e affiancarlo. Frenai il carro e scrutai attentamente lo sconosciuto.

Era un membro della Confraternita dell’Uomo Futuro, piccolo, occhialuto, col viso avvizzito, innaturalmente accaldato e grondante di sudore. Aveva le guance e la fronte così arrossate che pareva appena uscito dal forno. Nonostante ciò sorrise con allegria, come se quella fosse stata sempre l’espressione del suo viso.

— Abbiamo posto, se volete salire sul carro — dissi.

— Mi piacerebbe — confessò lui — ma il vostro cavallo mi sta scongiurando di rifiutare l’offerta. — La giumenta stava davvero osservando l’ometto con uno sguardo sorprendentemente simile all’avversione. Riflettei che la strada davanti a noi era prevalentemente in salita.

— Molto bene — dissi. — Alleggeriremo il carico. Non voglio certo farla consumare di fatica. Il giovane John è un peso piuma e nemmeno voi siete molto grosso. È solo il mio peso che le crea problemi, perciò ci daremo il cambio a camminare mentre John guiderà il carro.

John si mostrò completamente indifferente nei confronti di questo scambio di posti. L’omino esitò appena: ovviamente, la sua era una situazione troppo scomoda per perdere tempo a rifiutare educatamente un’offerta d’aiuto. Si arrampicò goffamente sulla ruota anteriore e gli tesi la mano per farlo sedere accanto a me. Poi lo scavalcai e saltai a terra agilmente. L’uomo si voltò a guardare John, che si stava sedendo a cassetta per prendere le redini, fece un sorriso ancora più ampio del precedente, annuì al ragazzo e rivolse nuovamente l’attenzione verso di me.

— Sono Fra Alvaro — disse. — O Padre Alvaro se preferite. — Gli porsi la mano e lui la strinse.

— Matthew — dissi. — Non sono padre di nessuno ma sono suo fratello. Lui è John, la Lucciola

— Come mai questo nome? — gli domandò Alvaro.

— Perché vado per la mia strada — rispose John un tantino svogliato — e non ho bisogno di essere guidato dalla luce di nessun altro.

— Solo di farti trasportare dal cavallo di qualcun altro — borbottai sottovoce. — Essere una lucciola in una giornata come questa mi sembra un’attività particolarmente inutile — dissi a voce alta mentre i loro sguardi mi interrogavano sul contenuto del mio precedente commento. Non volevo che John cominciasse uno dei suoi lunghi monologhi riguardo l’inutilità della mia esistenza in particolare o della moderna esistenza in generale, ma difficilmente potevo sperare di riuscire a fermarlo.

Andai avanti per accarezzare la grossa testa nera d. Darling e lei mi guardò con un’aria supplichevole.

— La stiamo trattando troppo duramente — gridai a John. — Dobbiamo fermarci appena troviamo dell’ombra. — Sembrava davvero un po’ disperata e io ero seriamente preoccupato. Talvolta l’impazienza di John mi faceva dimenticare che anche Darling doveva essere presa in considerazione. Dopotutto, a parte il fatto che un cavallo malato ci avrebbe fatto rallentare molto di più di una sosta ogni ora, volevo bene alla vecchia Darling.

— Emano la luce della ragione — mormorò John rivolgendosi più a se stesso che al suo nuovo compagno. Poteva essere un gesto di ribellione nei confronti di quanto avevo silenziosamente desiderato poco prima, o forse aveva intuito il contenuto della mia precedente affermazione.

Fra Alvaro mantenne opportunamente un atteggiamento solenne.

— Stiamo seguendo un uomo che può viaggiare nel tempo — disse John con un tono più vivace mentre avanzavamo in cerca dell’ombra. — Ne sapete qualcosa?

La sorpresa di Alvaro era evidente, ma le sue parole non fecero trapelare nulla. — Uno strano modo di passare i giorni — disse, evitando la domanda.

— Avete sentito parlare di quest’uomo? — insistette John. Gli avevo insegnato quali fossero le regole della buona educazione, ma lui non vi aveva mai prestato la benché minima attenzione.

— Credo di sì, ma non so dove potreste trovarlo.

John scivolò nuovamente nel silenzio.

— Che cosa cerchi? — gli domandò Alvaro. — Un’avventura nel tempo? La conoscenza? Una fuga? — Pensai che stava prendendo queste tre opportunità fin troppo seriamente. Mi voltai e lo guardai sconcertato. Stava ancora sorridendo compiaciuto.

— Voglio la felicità — disse John.

— E cos’è la felicità? — domandò il prete.

— Non lo so — rispose John senza il minimo umorismo. — Non l’ho ancora trovata. Essere soddisfatto della mia vita, suppongo, così come il mio caro fratello Matthew è soddisfatto della sua. Aver raggiunto una meta o superato un limite. Sentirmi a mio agio. Non essere costantemente in disaccordo con il mondo. Sapere che ciò che esiste è solo ciò di cui ho bisogno per sfamarmi. Il guaio di questo tempo e di questo mondo è che non è adeguato a me. C’è sempre una divergenza tra me e la vita. C’è costantemente attrito.

— E tu credi che viaggiare nel tempo risolverà tutti i tuoi problemi, farà scomparire tutte le tue ansietà? — disse l’omino come se sapesse che non era la soluzione giusta.

— L’Età dell’Oro — rispose John assumendo un atteggiamento incisivo in previsione di un’eventuale discussione. — L’età in cui l’uomo era potente, prima che il genere umano cominciasse a morire. Voglio ritornare ai giorni in cui eravamo padroni delle stelle, quando al posto dei deserti di ruggine di oggi c’erano delle grandi città. Quello è il mio tempo. Ecco cosa voglio.

Alvaro scosse la testa e si asciugò la fronte. Si tolse gli occhiali e cominciò a pulirli con cura. Apparentemente il caldo aveva smorzato tutto il suo entusiasmo per il dibattito e John, per il momento, non avrebbe aggiunto altro finché la sua affermazione non fosse stata contestata.

Scrutai l’orizzonte in cerca di un gruppo di alberi o di una guglia di roccia che potessero offrirci un po’ d’ombra per riposare e riprendere le forze.

Non molto lontano notai qualcosa che si muoveva. Lo intravidi una sola volta, poi scomparve quando la strada cominciò a scendere. Raggiunta la salita successiva, cercai di individuare la cosa in movimento, ma mi ci vollero parecchi minuti prima di riuscire a mettere a fuoco la sagoma di un ragazzo che saltellava qua e là sul ciglio della strada sopra un cumulo di lastre di pietra riarse dal sole. Sembrava impazzito: volteggiava, saltava su e giù, raccoglieva dei sassolini e li lanciava in alto. Ma il suo sguardo rimaneva costantemente fisso sulla roccia sotto ai suoi piedi.

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