Ursula Le Guin - Su altri piani

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Su altri piani: краткое содержание, описание и аннотация

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L’antologia è composta da racconti legati da un filo conduttore descritto nel primo racconto che fa da introduzione agli altri. L’opera trae spunto dalla possibilità di spostarsi in dimensioni parallele, detti piani, e rappresenta una specie di diario di viaggio narrato in prima persona dall’autrice stessa come se fossero esperienze vissute in prima persona o riferite da autentici conoscenti. Ogni dimensione offre spunto per la descrizione di una realtà fantastica ed affascinante, spesso rappresentazione allegorica e satirica della nostra, ma sempre ricca di poesia, sul filone de
di Jonathan Swift.

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Ai margini della folla scorsi una guida locale con cui avevo stretto una leggera amicizia, un giovane visconte, figlio del duca di Ist, e mi feci strada fino a lui. Mi occorse parecchio tempo, perché tutti seguivano lentamente la processione dei portatori e del loro gruppo, in direzione delle auto reali e delle carrozze a cavalli che attendevano nei pressi della cancellata del palazzo. Quando finalmente arrivai accanto alla guida, gli chiesi: «Chi è morto? Chi sono quelle persone?»

«Sissie», mi rispose con un gemito, preso anch’egli dal dolore generale. «Sissie è morta la scorsa notte!» Poi, ritornando ai suoi doveri di guida e interprete e cercando di recuperare le sue affabili maniere aristocratiche, mi guardò, batté gli occhi per liberarli dalle lacrime e disse: «Sono i nostri Comuni».

«E Sissie…?»

«È… era la loro figlia. Figlia unica.» Per quanto si sforzasse di vincere la commozione, le lacrime tornarono a luccicargli negli occhi. «Era una così cara ragazza. E un grande aiuto per la madre; sempre. Un sorriso così dolce. E non c’è nessuna come lei, nessuna. Era la sola. Oh, com’era piena d’amore. La nostra povera, piccola Sissie!» A quel punto non riuscì più a frenarsi e scoppiò in pianto.

In quel momento passavano davanti a noi il re e i suoi figli. Vidi che tutt’e due i ragazzi piangevano e che la faccia di pietra del re tradiva un sovrumano sforzo per mantenere la calma. Il fratello del re, un individuo leggermente ritardato, pareva essere in uno stato di stupore, si teneva stretto al suo braccio e camminava accanto a lui come un automa.

La folla si riversò dietro la processione funebre. La gente spingeva per farsi avanti, per toccare l’orlo del drappo funebre, di seta bianca, che copriva la bara.

«Sissie! Sissie!» gridavano alcuni. «Oh, mamma, anche noi le volevamo bene!» piangevano. «Babbo! Babbo, come faremo senza di lei? Adesso ha raggiunto gli angeli», gemevano. «Non piangere, mamma, vogliamo bene anche a te! Te ne vorremo sempre! Oh, Sissie! Sissie! La nostra dolce bambina!»

Rallentati e quasi bloccati dalle lamentele appassionate dell’immensa famiglia reale che li circondava, il feretro e i suoi portatori raggiunsero le auto e le carrozze.

Quando la bara scivolò nel retro del lungo carro funebre bianco, un gemito tremolante, inumano si levò da ogni gola. Le nobildonne gridavano con voce sottile, acuta, e i nobili svenivano per la commozione. La ragazza in minigonna cadde in quella che sembrava una crisi epilettica e le venne la schiuma alla bocca, ma uno degli uomini grassi e pallidi la infilò in un’auto.

I motori si avviarono con un basso ronronnio, i cocchieri misero al passo i loro bei cavalli bianchi, e il corteo si avviò, lentamente, a passo d’uomo. La folla si riversò al seguito.

Io feci ritorno in albergo. Quella sera venni a sapere che gran parte della popolazione di Legners Royal aveva seguito il corteo per tutto il tragitto di sei miglia, fino al cimitero e aveva preso parte alla cerimonia funebre e all’inumazione. Per tutta la sera, e ancora fino a tardi nella notte, c’era gente per strada che faceva ritorno al palazzo e agli appartamenti reali, stanca, con i piedi doloranti e il viso segnato dalle lacrime.

Nei giorni successivi parlai con il giovane visconte, che riuscì a spiegarmi il fenomeno a cui avevo assistito. Avevo dato per inteso che tutta la popolazione del Regno di Hemgogn fosse di sangue reale, direttamente imparentata con il suo (e con altri) re; non sapevo che c’era una famiglia non reale. Erano comuni cittadini. Si chiamavano Gat.

Quel cognome, come quello da ragazza della signora Gat — Tugg — non avevano alcuna menzione nel Libro del Sangue. Nessun Gat o Tugg aveva mai sposato qualcuno di famiglia reale, o anche solo nobiliare. Non c’era nessuna leggenda di famiglia su un principe giovane e bello che aveva sedotto la bionda figlia del fabbricante di stivali. La famiglia non aveva neppure una storia, tanto meno una (leggenda.

I Gat non sapevano da dove venissero o da quanto tempo vivessero nel regno. Di mestiere facevano stivali. Nel soleggiato Hegn, ben poche persone calzano gli stivali.

Come aveva fatto suo padre, e come imparava a fare suo figlio, il signor Gat cuciva stivali di pelle, da parata, per i principi della guardia, orribili stivali di feltro per la regina madre, che amava camminare nel prato dei pasticcini, con i suoi gorki, nel corso dell’inverno.

Lo zio Agby sapeva conciare il cuoio, la zia Irs preparava il feltro dalla lana. La prozia Yoly allevava le pecore, il cugino Fafvig, invece, mangiava troppa uva ed era ubriaco per gran parte del tempo. La figlia più vecchia, Chickie, era un po’ disordinata, ma in fondo era una brava ragazza.

E Sissie, la dolce Sissie, la figlia più giovane, era la beniamina di tutto il regno, il Fiore Selvatico di Hemgogn, la Piccola Ragazza Comune.

Era sempre stata di salute cagionevole. Si diceva che si fosse innamorata del giovane principe Frodig, anche se lui, naturalmente, non avrebbe mai potuto sposarla. Si diceva che li avessero visti parlare, una o più volte, nei pressi del ponte levatoio, al crepuscolo.

Il mio visconte, chiaramente, avrebbe voluto crederlo, ma non poteva nascondere i dubbi, dato che il principe Frodig era lontano dal regno, a studiare ad Halfvig, da tre anni. In ogni caso, Sissie era debole di petto. «Spesso è così, per i Comuni», spiegò il visconte. «È ereditario. Si trasmette alle donne.» Aveva cominciato a perdere la salute, era dimagrita e divenuta pallida, ma non s’era mai lamentata, aveva sempre continuato a sorridere, era così magra e silenziosa, si era limitata a svanire di giorno in giorno, e adesso giaceva nella fredda, fredda terra, la Dolce Sissie, il Fiore Selvatico di Hemgogn.

E l’intero regno l’aveva pianta. L’avevano pianta in modo irrazionale, esagerato, inconsolabile, regale. Il re aveva pianto sulla sua tomba aperta. Un attimo prima che cominciassero a riempire la fossa, la regina aveva posato sulla bara di Sissie la spilla di diamanti che era passata in eredità, di madre in figlia, per diciassette generazioni a partire da Erbinrasa del Nord, un gioiello che non era mai stato toccato da mano che non appartenesse al sangue degli Erbinnas.

Adesso giaceva nella tomba della Piccola Ragazza Comune. «Non erano brillanti come i suoi occhi» aveva detto la regina.

Io dovetti lasciare Hegn non molto tempo dopo quel funerale. Altri viaggi occuparono la mia attenzione per tre o quattro anni, e quando feci ritorno al regno di Hemgogn, l’orgia di lutto era finita da tempo.

Cercai il mio visconte. Aveva smesso di giocare a fare la guida quando era venuto in possesso della sua eredità: il titolo di duca di Ist e un appartamento nella Nuova Ala del palazzo reale, con l’usufrutto di una delle vigne reali, che forniva uva per i suoi ricevimenti.

Era un simpatico giovanotto, con un debole filo di originalità che l’aveva portato a seguire la vocazione di guida; in realtà era ben disposto verso i forestieri. Aveva anche una sorta di incapacità di opporsi, dovuta alla sua buona educazione, e io ne approfittai. Non sapeva dire no a una richiesta diretta e così, dato che glielo avevo chiesto, mi invitò a vari ricevimenti nel corso del mese da me trascorso a Hemgogn.

Fu allora che scoprii l’altro argomento di conversazione di Hegn: l’argomento capace di far dimenticare sport, gorki, clima e persino i rapporti di consanguineità.

I Tugg e i Gat, che ammontavano a diciannove o venti, all’epoca, erano l’interesse inesauribile, il più avvincente, per la nobiltà di Hemgogn. I bambini riempivano delle loro immagini i libri di disegni. La madre del visconte aveva un boccale e un piatto — i suoi preferiti — con i ritratti di «mamma» e «babbo» Gat nel giorno del loro matrimonio, circondati da ghirigori in oro zecchino.

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