Bob Shaw - Uomo al piano zero

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Uomo al piano zero: краткое содержание, описание и аннотация

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Immaginate di aver costruito un apparecchio (sul tipo di una radio-trasmittente) capace di emettere impulsi capaci a loro volta di innescare la ben nota reazione a catena in tutte le ogive nucleari attualmente esistenti in tutte le basi atomiche del mondo. Per costruire un apparecchio del genere dovreste indubbiamente aver risolto dei problemi scientifici d’una certa difficoltà... Ma se ci pensate un momento vi renderete conto che quelle difficoltà erano niente di fronte al problema che vi aspetta adesso (e che aspetta il protagonista di questo romanzo): quando e in che modo vi proponete di utilizzarlo, il vostro benefico apparecchio?

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«Hai detto proprio bene, Randy. E dove l’ha presa?»

«Secondo te quel cavallo è già vincente?» chiese Raphoe, fingendo di non aver sentito la domanda dell’altro.

«Master Auckland II» disse Beaton, trasmettendogli un’indiscrezione preziosa. Raphoe era notoriamente un chiacchierone e, a dargli una buona informazione, si rischiava di scatenare una reazione a catena di indiscrezioni che avrebbero determinato un crollo delle scommesse per le quali Beaton ci avrebbe perso un bel po’ di denaro. Comunque, aveva il sospetto che nel futuro immediato avrebbe avuto altro a cui pensare, oltre i cavalli.

«Vale la pena di tentare?»

«Randy, stavolta non è questione di tentare. E adesso, la macchina. Dove l’avete trovata?»

«Nel parcheggio dei Crickters. Sai dov’è? È una buona birreria, dalle parti di Breighmet.»

«La troverò.» A Beaton sembrava che il coltello che stringeva nella destra emanasse calore al punto da inumidirgli il palmo di sudore.

15

Era ancora giorno, quando Hutchman si svegliò, nella camera fredda. Allungato sul dorso, con le mani strette attorno alle lenzuola come per non cadere, cercava inutilmente di farsi venire in mente qualche frammento dell’incubo di prima. Hutchman, però, non ricordava mai i sogni.

Scappa! Ferma! Scappa! Ferma!

Si alzò, con un brivido, e andò ad accendere il gas.

Scappa! Ferma!

Forse avrebbe dovuto andarsene appena si era accorto che gli avevano rubato la macchina.

Avrebbe fatto meglio ad allontanarsi immediatamente, senza neanche tornare in pensione. Ma quella sera, però, era ubriaco, stava male, e aveva pensato che il ladro, in fondo, aveva fatto un buon lavoro togliendo di mezzo un elemento compromettente. Adesso aveva dei dubbi, e un impulso che si sentiva dentro lo spingeva a fuggire. Uscì dalla camera e scese le scale adagio, fermandosi a ogni pianerottolo come per decidere se doveva partire orizzontalmente nell’aria a ciascun piano. Una voce di donna salì lungo la tromba delle scale. Era la signora Atwood, che parlava con qualcuno al telefono, allegra, lieta di chiacchierare. Hutchman risentì la fitta della solitudine e decise di telefonare a Vicky. Sì, è possibile , pensò con stupore. Posso alzare il ricevitore e parlare. Mettermi in linea con il passato. Scese nell’ingresso, mentre la signora Atwood riappendeva il telefono.

«Era George» disse, incuriosita. «È venuto un uomo in negozio a chiedere di voi. Era per la macchina.»

«Davvero?» Hutchman si afferrò al legno della ringhiera.

«Vi hanno rubato la macchina, signor Rattray? Avevate detto che s’era bloccata, quando eravate…»

«Non so, potrebbero averla rubata dopo» Hutchman si voltò e corse su per le scale, terrorizzato. Appena in camera s’infilò il giubbotto e ridiscese. La signora Atwood era sparita da qualche parte. Lucas aprì la porta d’ingresso, guardò lungo la via per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi si allontanò rapidamente, dirigendosi dalla parte opposta alla strada principale. Quando fu quasi in fondo vide una Jaguar blu scuro voltare l’angolo. Al volante c’era un individuo corpulento, con i capelli grigi, che non sembrò notare Hutchman. Però la macchina rallentò immediatamente e scivolò piano lungo la strada, frusciando sulle foglie morte. Il guidatore stava guardando i numeri delle case.

Hutchman continuò a camminare normalmente fino a quando ebbe girato l’angolo e sbucò in una strada più larga e deserta. A questo punto si mise a correre. Correva senza sforzo, respirando senza difficoltà, come se si fosse liberato da bende che gli stringevano il petto. Corse lungo una fila di alberi, senza neanche accorgersi di toccare con i piedi il terreno, muovendosi tanto silenziosamente che per due volte avvertì il rumore sordo delle castagne che cadevano, schiacciandosi sul marciapiede. Arrivato quasi in fondo alla strada, ebbe un presentimento. Allora smise di correre e si guardò dietro. La Jaguar blu spuntava dalla fila di piante e sbandava leggermente nella curva. Veniva nella sua direzione e passava tra gli alberi, in un alternarsi di luce e di ombra.

Hutchman riprese a correre. Sbucò in un lungo cañon di casette terrazzate, a tre piani, vide sulla destra un viottolo e l’infilò. La via era lunga e anonima, e s’inerpicava sul fianco della collina fino a perdersi nella nebbia. Hutchman non aveva tempo per voltarsi indietro. Balzò attraverso una fila irregolare di macchine ferme, correndo a zig zag per evitare i gruppi di bambini che giocavano. Ma adesso correre era diventato più arduo. Ormai Hutchman sentiva una schiuma salata agli angoli della bocca e, di tanto in tanto, le caviglie gli mancavano. Si voltò a guardare e vide la Jaguar che lo seguiva, silenziosamente.

A un certo punto Hutchman notò, tra due file di case, un passaggio dissestato. Si lanciò da quella parte e si ritrovò in uno spiazzo desolato, costruito evidentemente da qualche programma di risanamento e di sviluppo delle aree fabbricate. La superficie dello slargo era ingombra di detriti, di pezzi di mattoni e di cemento, con un gruppo di bambini che si muovevano in mezzo a una nebbia bassa, come membri di una razza non terrestre formata da nani. Hutchman si gettò verso il limite opposto della radura, dove c’era un’altra fila di case dietro le quali, nel tramonto, cominciavano a brillare le luci bianco-azzurre di una strada molto frequentata. La Jaguar dietro di lui, si fermò. La portiera sbatté, ma Hutchman non aveva tempo di guardare perché correre su quel terreno accidentato era pericoloso. A ogni momento, quando doveva saltare oltre un blocco di cemento o uno spuntone di ferro arrugginito che si levava dal terreno come un trabocchetto, le caviglie minacciavano di non reggerlo. Si diresse verso quello che pareva un passaggio aperto fra le case, ma scoprì presto di avere sprecato inutilmente le forze. L’impresario del piano di sviluppo aveva cintato lo spiazzo con una rete di ferro, e Hutchman era in trappola.

Si voltò con l’intento di confondersi nella banda dei ragazzini, ma loro, fondandosi sull’istinto sviluppatissimo proprio della loro razza, se l’erano già squagliata. L’uomo dai capelli grigi era a una cinquantina di passi da lui, e correva veloce nonostante la mole, con un’aria stranamente buffa con quel bellissimo cappotto di tweed addosso. Dal modo in cui impugnava un coltello a serramanico, si capiva che sapeva usarlo con mortale competenza.

Hutchman si spostò di lato. L’inseguitore cambiò direzione per intercettarlo. Hutchman afferrò un mattone e glielo scagliò addosso, ma la mira era troppo bassa e il proiettile colpì senza danni il terreno. L’uomo dai capelli grigi inciampò nel mattone, si sbilanciò in avanti e la sua faccia finì contro un fascio di tondini di ferro che spuntavano da una base di cemento. Uno dei tondini si conficcò nell’orbita dell’occhio destro. L’uomo lanciò un urlo.

Hutchman vide con orrore una sfera incredibilmente grossa, venata di rosso, sgusciare dall’occhio e rotolare sul terreno.

«Il mio occhio! Il mio occhio!» L’uomo era chino nella polvere, e le sue mani cercavano alla cieca.

«State lontano da me» mormorò Hutchman.

«Ma è il mio occhio!» L’uomo si rialzò e teneva in mano l’oggetto orrendo. Lo tendeva a Hutchman, supplicando. Gocce di sangue nero gli rigavano la faccia e sgocciolavano sugli abiti.

«State lontano!» Hutchman s’impose di agire. Corse per un breve tratto parallelo al filo spinato, poi si girò verso l’apertura da cui era entrato nello spiazzo. I ragazzini schizzavano via davanti a lui, come tanti fagiani spauriti. Arrivò alla Jaguar blu e vi salì, ma nel cruscotto non c’erano le chiavi. Il suo inseguitore, evidentemente, non aveva voluto correre rischi. Hutchman scese dall’auto mentre gruppi di monelli riaffioravano tra una casa e l’altra. Tornavano verso lo spiazzo, ma stavolta avevano un’aria di autorità che faceva pensare che avessero l’appoggio degli adulti. Hutchman corse da quella parte e incontrò due uomini di mezz’età, uno dei quali era in pantofole e in maniche di camicia.

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