Clifford Simak - Fuga dal futuro

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Nel giardino di un fotoreporter, ai piedi di una vecchia quercia, si apre a un tratto, come nelle fiabe, un gran buco nero. Ma le creature che ne escono non sono gnomi o folletti, sono uomini e donne, vecchi e bambini che fuggono dal futuro; o, almeno, così dicono. È un’invasione ordinata e pacifica, che pone però ugualmente problemi gravissimi. Possiamo noi, già sovraffollati come siamo, accogliere e mantenere questi milioni di nuovi venuti che dilagano in ogni parte del mondo? E, d’altra parte, chi avrebbe il coraggio di respingere quelli che sono, in fin dei conti, i nostri discendenti? Finché, a sciogliere i nodi e le esitazioni, interviene l’orrendo nemico da cui i profughi fuggivano e che ora si scatena anche nel nostro tempo.

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— Se è vero quanto dite, sembra un’era in cui è possibile vivere — disse Brooks. — Gli uomini riuscirebbero a cavarsela.

— Oh, di questo siamo sicuri — asserì Osborne. — Le grandi foreste delle ere precedenti cedevano il passo alle praterie, ma restava ancora moltissima legna. E poi l’erba, e il bestiame, i terreni coltivabili, le piogge, non più abbondanti come nelle ere precedenti ma sempre sufficienti… Oh, potremo cavarcela benissimo fin dal principio. Troveremo abbondanza di selvaggina, frutta, bacche e radici commestibili. Anche la pesca sarà abbondante. Non sappiamo bene come sarà il clima, ma abbiamo dei validi motivi per supporre che non sarà molto diverso dal nostro. Forse gli inverni saranno meno freddi. Naturalmente non ne abbiamo la certezza assoluta.

— Naturalmente — disse Brooks. — Però siete decisi ad andarci.

— Non abbiamo altra scelta — disse Osborne.

31

Steve Wilson tornò in sala stampa. La lampada ancora accesa sulla scrivania disegnava un cerchio luminoso nella stanza buia. Le telescriventi continuavano a ticchettare. Erano quasi le tre, e lui doveva cercare di dormire. Era stato a prendere una boccata d’aria in giardino, ma adesso avrebbe fatto bene a coricarsi, tanto più che fra tre o quattro ore al massimo avrebbe dovuto rimettersi al lavoro.

Quando si avvicinò alla scrivania, Alice Gale si alzò dalla poltrona su cui era rimasta seduta al buio. Indossava ancora la tunica bianca. Forse, pensò Wilson, non aveva altro. I profughi dal futuro avevano portato pochissimo bagaglio con sé.

— Signor Wilson — disse Alice — vi aspettavo nella speranza che tornaste. Mio padre vorrebbe parlarvi.

— Con piacere. Buona sera, signor Gale.

Gale uscì da un angolo in ombra e depose sulla scrivania la borsa che aveva sempre portato con sé fin dal suo arrivo. — Mi trovo in una posizione imbarazzante — disse — e avrei piacere che mi ascoltaste e mi diceste cosa devo fare. Mi sembrate un uomo che sa il fatto suo.

Wilson s’irrigidì. Le cose stavano prendendo una piega sgradevole, e aveva l’impressione che avrebbe finito per trovarsi in difficoltà.

— Noi tutti — proseguì Gale — ci rendiamo conto che la nostra venuta costituisce un grave peso per tutti i governi e i popoli della Terra. Abbiamo cercato di ovviare in qualche modo provvedendo a trasportare frumento e altre scorte di viveri nelle zone dove sappiamo che esiste penuria di generi di prima necessità. Siamo pronti a dare il nostro aiuto materiale qualora venga richiesto, ma sappiamo che non sono le braccia che vi mancano. Però la costruzione dei tunnel temporali che ci porteranno nel Miocene comporterà enormi spese…

Così dicendo, prese la borsa e l’aprì, sotto la lampada. Era piena zeppa di sacchettini di cuoio. Gale ne prese uno, l’aprì e rovesciò sulla scrivania una cascata di gemme che scintillarono alla luce della lampada.

— Diamanti — disse.

Wilson deglutì a vuoto. — Ma perché? — balbettò. — Perché mi avete portato queste pietre?

— Era l’unico modo di sdebitarci. I diamanti valgono molto e occupano poco posto. Sappiamo che, se fossero immessi tutti in una volta sul mercato, il loro valore diminuirebbe sensibilmente, ma se li si vendesse poco per volta, senza dare nell’occhio, potrebbero rendere parecchio. Ci siamo assicurati che fossero tutti diamanti trovati dopo la vostra epoca. Avremmo potuto portarvi le gemme più note e che esistono anche adesso, ma abbiamo evitato di farlo. Queste sono state tutte trovate e tagliate nel futuro.

— Metteteli via! — esclamò Wilson inorridito. — Buon Dio, ma non immaginate cosa succederebbe se si venisse a sapere qual è il contenuto della vostra borsa. Miliardi di dollari…

— Sì, molti miliardi — confermò Gale senza scomporsi. — Ai prezzi attuali, i vostri prezzi, forse mille miliardi. Oggi valgono molto più di quanto non valessero nel nostro tempo. Noi non attribuivamo molto valore alle gemme.

Raccolse senza affrettarsi le pietre, le infilò nel sacchetto, rimise il sacchetto nella borsa e la chiuse.

— Vorrei tanto che non me ne aveste parlato — disse Wilson.

— Ma non potevamo farne a meno — obiettò Alice. — Non capite? Siete l’unica persona che conosciamo, l’unico di cui possiamo fidarci. Voi potete dirci cosa dobbiamo fare.

Wilson dovette dominarsi per mantenere la calma. — Mettiamoci a sedere e parliamone — disse. — Ma a bassa voce. Non credo che ci sia nessuno, nei paraggi, ma è meglio essere prudenti.

Presero tre sedie e andarono a sedersi al buio.

— E adesso ditemi quali sarebbero i vostri progetti — disse Wilson.

— Abbiamo pensato che, vendendo oculatamente i diamanti, potreste rifarvi almeno in parte delle spese che incontrerete per aiutarci. Non solo voi, ma tutti i governi e i popoli della Terra. Potreste istituire un fondo comune, per esempio e, una volta vendute le pietre, potreste disporre del ricavato in modo…

— Ma…

— Prevengo la vostra obiezione. Volete dire perché non abbiamo distribuito i diamanti ai governi di tutte le nazioni, non è vero? I motivi che ci hanno indotto a non farlo sono due. Più gente viene informata, maggiori sono le probabilità che la notizia trapeli. Perché i diamanti si possano vendere a un prezzo sostenuto è meglio che solo pochi sappiano della loro esistenza. Noi del futuro, infatti, lo sappiamo solo in sei, e qui nel vostro mondo per ora siete voi il solo a esserne informato. E poi è una questione di fiducia. Dalle indagini storiche che abbiamo fatto, risulta che pochi sono i governi di questo periodo dei quali ci si possa fidare: il vostro e quello inglese. Dopo studi e discussioni abbiamo deciso per gli Stati Uniti. In un primo momento, avevamo pensato di affidare le gemme all’ONU, ma, a dirla schietta, non avevamo molta fiducia nell’ONU. Io ebbi così l’incarico di consegnare la borsa nelle mani del Presidente, ma poi, constatando come fosse già carico di preoccupazioni e problemi, e come le sue decisioni dipendessero dal giudizio di altri, ho cambiato idea.

— Io sono sicuro di una sola cosa — disse Wilson. — Non potete continuare ad andare in giro portandovi appresso questa borsa. È troppo rischioso. Bisogna metterla in un posto sicuro. A Fort Knox, magari, se il governo sarà disposto ad accettarla.

— Volete dire che sarebbe meglio se la mettessi sotto custodia, signor Wilson? No, non sono di questo parere.

— Santiddio, non lo so. Non so cosa sia meglio fare. — Prese il telefono e formò un numero. — Jane, sei ancora di turno? Sai se il Presidente si è ritirato?

— Sì, un’ora fa.

— Bene. Avrebbe dovuto coricarsi prima.

— Si tratta di una cosa importante, Steve? Ha lasciato detto di chiamarlo in qualunque momento.

— No, no, non è urgente. Credi di potermi pescare Jerry Black?

— Proverò. Dev’essere ancora nei paraggi.

Il silenzio della stanza era rotto solo dal ticchettio delle telescriventi. Alice si mosse inquieta sulla sedia e mormorò: — Ci spiace di avervi disturbato, signor Wilson. Ma non sapevamo proprio cosa fare.

— Oh, non preoccupatevi.

— Voi non sapete cosa significhi questo per noi — continuò la ragazza. — Gli altri lo sapranno dopo, ma noi ci sentiamo la coscienza a posto. Non siamo venuti come parassiti o mendicanti.

Si udirono dei passi nell’atrio e la porta si aprì.

— Cosa c’è, Steve? — domandò Jerry Black.

— Mi occorrono un paio di uomini — disse Wilson.

— Uno sono io — rispose Black. — Vado a cercartene un altro.

— Si tratta di un favore personale. Non è un incarico ufficiale e agisco di mia iniziativa. Così sarà almeno fino a domattina, quando avrò informato il Presidente.

— D’accordo. Poi deciderà il Presidente. Ma adesso cosa vuoi?

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