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Clifford Simak: Il cubo azzurro

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Clifford Simak Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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Lansing stette al gioco. — Questo pomeriggio — osservò, — mi sembri ancora più pessimista del solito.

— Non sono il primo — disse Andy, — ad abbandonarsi a questo tipo di pessimismo, anche se il mio è ispirato da un punto di vista leggermente diverso. Anni fa ci fu una scuola di pensiero che propose un’argomentazione molto simile. A quel tempo, i cosmologi erano convinti che noi esistessimo in un universo finito. Attualmente, la concezione cosmologica non è altrettanto rigida. Ora siamo indecisi: non sappiamo in che tipo d’universo ci troviamo. Può essere finito, può essere infinito; nessuno lo sa con certezza. Tutto dipende dalla quantità di materia che contiene, e le stime relative alla materia cambiano di anno in anno, se non addirittura di mese in mese. Ma questo non c’entra. A quel tempo, anni fa, quando predominava ancora la concezione di un universo finito, la teoria sosteneva che la conoscenza scientifica, basata su un universo finito, doveva essere finita anch’essa. L’universo aveva un confine, e quindi c’era un confine anche per la conoscenza. C’era tanto da imparare e non di più; e quando l’avessimo imparato, tutto sarebbe finito lì. Se la conoscenza avanzava e si accumulava, raddoppiando ogni quindici anni, secondo le stime di quel tempo, allora, si diceva, non ci sarebbe voluto molto, al massimo qualche secolo, per arrivare al punto in cui i fattori limitanti di un universo finito avrebbero dato l’altolà ad ogni ulteriore accumulazione della conoscenza. Gli uomini che sostenevano questa concezione, allora, si spinsero fino a tracciare le curve esponenziali con le quali affermavano di poter mostrare in che punto la conoscenza scientifica e tecnologica sarebbe arrivata alla fine.

— Ma tu hai detto — osservò Lansing, — che oggi un universo finito non è più un fatto accettato… che può essere infinito.

— Ti è sfuggito il punto più importante — borbottò Andy. — Io non sto parlando del fatto che l’universo sia finito o infinito. Me ne sono soltanto servito come di un esempio per confutare l’accusa di pessimismo che mi hai rivolta. Stavo cercando di spiegarti che, in altre situazioni, ci sono stati alcuni che, a volte, hanno espresso un certo tipo di pessimismo.

«Ciò che avevo detto, all’inizio, è che sarebbe una fortuna, se dovessimo subire qualche catastrofe che ci costringesse a cambiare il nostro modo di pensare e a cercare un diverso modo di vivere. Perché adesso stiamo correndo in una strada senza uscita e, soprattutto, stiamo correndo a tutta velocità. Quando arriveremo in fondo al vicolo cieco, sbatteremo il muso. E allora torneremo indietro, trascinandoci, e ci chiederemo se non ci sarebbe stato un sistema migliore. Quel che intendevo dire è che adesso, prima di arrivare in fondo alla strada senza uscita, dovremmo fermarci e porci questo interrogativo…

Andy continuò a borbottare; ma Lansing escluse il suono della voce. Lo sentiva soltanto come un brontolio sordo, senza parole.

E quello era l’uomo, pensò, al quale aveva contato di proporre un’escursione a piedi per il fine settimana. Se ne avesse parlato, molto probabilmente Andy avrebbe accettato, perché in quei giorni sua moglie era andata nel Michigan a far visita ai genitori. Durante l’escursione, quasi sicuramente, Andy non sarebbe stato in grado di continuare il bombardamento di parole e di argomentazioni come stava facendo ora; ma avrebbe parlato, avrebbe parlato senza smettere mai, non si sarebbe mai azzittito. In un’escursione a piedi un uomo normale si sarebbe goduto un po’ di pace e di silenzio: ma per Andy non era così. Per Andy il silenzio e la pace non esistevano: esisteva solo il pensiero tumultuoso e straripante.

Lansing aveva considerato anche l’eventualità di invitare Alice Anderson a trascorrere il fine settimana con lui; ma anche questo aveva i suoi inconvenienti. Nelle ultime occasioni, quando era stato con lei, gli era parso di leggerle negli occhi un brillio di intenzioni matrimoniali; e se si fosse arrivati a quel punto, avrebbe potuto essere disastroso quanto le chiacchiere inarrestabili di Andy.

Quindi era meglio cancellarli tutti e due dai suoi programmi, pensò. Poteva ancora fare una gita in macchina tra le colline. Oppure poteva rintanarsi nel suo appartamento, con il fuoco acceso, la musica e la lettura. E forse, forse c’erano molti altri modi che gli avrebbero permesso di divertirsi durante quel fine settimana.

Riprese ad ascoltare le parole di Andy.

— Hai mai preso in considerazione — gli stava chiedendo Andy, — i punti critici della storia?

— Credo di no — disse Lansing.

— La storia ne brulica — disse Andy. — E su questi punti, anzi sulla loro somma, poggia la sorte del mondo in cui viviamo oggi. A volte ho pensato che forse esiste una gran numero di mondi alternativi…

— Ne sono sicuro — disse Lansing, ormai disinteressato. I voli di fantasia dell’amico l’avevano lasciato molto indietro. Al di là della vetrata, il lago era immerso per metà nell’ombra: stava scendendo la sera. Mentre guardava il lago, Lansing ebbe la sensazione che qualcosa non andasse. Senza sapere che cosa fosse, si rendeva conto che qualcosa era cambiato. Poi, a poco a poco, comprese: Andy aveva smesso di parlare.

Girò la testa e guardò l’amico, seduto di fronte a lui. Andy sorrideva.

— Ho un’idea — disse Andy.

— Sì?

— Dato che Mabel è andata a trovare i suoi, perché non combiniamo per domani? So dove posso procurarmi un paio di biglietti per l’incontro di football.

— Mi dispiace — disse Lansing. — Purtroppo sono molto impegnato.

III

Lansing uscì dall’ascensore al piano terreno e s’incamminò verso la porta che si apriva sul viale. Mentre uscivano, Andy aveva adocchiato un conoscente seduto a un altro tavolo e s’era fermato per parlare con lui. Lansing era fuggito, cercando di non aver l’aria di fuggire. Ma non gli restava molto tempo, si disse. Andy avrebbe potuto scendere con il prossimo ascensore; e prima che questo avvenisse, avrebbe dovuto mettersi fuori vista e fuori portata. Se Andy fosse riuscito a raggiungerlo, sarebbe stato capacissimo di trascinarlo a cena da qualche parte.

Era quasi arrivato alla porta quando si fermò. La Rathskeller era in fondo alla scala a destra, e in uno stanzone adiacente, se Jackson non aveva mentito, stava la favolosa slot machine. Lansing cambiò rotta e puntò verso la scala.

Si rimproverò mentalmente, mentre scendeva. Il ripostiglio non doveva esistere; e anche se esisteva, non c’era nessuna slot machine. Non riusciva a immaginare perché mai fosse venuto in mente a Jackson d’inventare una simile frottola. Certo, poteva essere stata una pura e semplice impertinenza; e anche se lo studente era capace di fare una cosa simile non gli sarebbe servita a nulla. L’impertinenza poteva andar bene per prendere all’amo un docente, e c’erano certi docenti che spesso si lasciavano pescare così, anzi sembravano cercarsela, ed erano quasi tutti stupidi presuntuosi che meritavano uno scherzo del genere. Ma Lansing era sempre stato orgoglioso dei buoni rapporti che aveva con i suoi studenti. A volte, ne aveva il sospetto, lo giudicavano persino un po’ troppo tenero. Ripensò a Jackson, e si disse che in realtà non aveva avuto una bega con lui. Jackson era sempre stato uno studente molto scarso, ma questo non c’entrava. Aveva cercato di trattarlo con la massima cortesia, con considerazione, e a volte aveva tentato di aiutarlo anche se, con un tipo come Jackson, dubitava molto che i suoi tentativi fossero stati apprezzati.

C’era pochissima gente nella Rathskeller; e quasi tutti erano intruppati intorno a un tavolo in fondo. L’uomo dietro il banco stava chiacchierando con due studenti. Quando Lansing entrò, nessuno fece caso a lui.

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