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Clifford Simak: Il cubo azzurro

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Clifford Simak Il cubo azzurro

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Tutto ha inizio quando il professor Edward Lansing decide di scoprire chi ha realmente scritto un magnifico saggio su Shakespeare consegnatogli da un suo studente e viene a sapere che l’alunno l’ha comprato, pensate un po’!, da una slot machine. Una rapida investigazione ed ecco che il professor Lansing si trova di fronte alla macchinetta: questa gli dà due chiavi e lo manda alla ricerca di un’altra slot machine. La terza slot machine infine si prende il suo denaro e lo trasporta in un nuovo mondo. Qui Lansing incontra uno strano assortimento di compagni di viaggio, tra cui un prepotente brigadiere, un prete pomposo, una donna ingegnere, una poetessa e un simpatico robot, tutti ignari e perplessi come lui. Allontanati dalle loro linee temporali e scaraventati in questo nuovo mondo, sono tutti giocatori in un gioco senza regole e apparentemente anche senza scopo. Comincia così un viaggio straordinario che porterà i nostri forzati avventurieri prima a un immenso cubo azzurro e poi a un’antica e misteriosa città: scopriranno allora di dover risolvere un enigma fondamentale, la cui soluzione garantirà loro un ruolo di rilievo nello sviluppo della società galattica.

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— Bene, è molto onesto da parte sua — disse Lansing. — Sì, estremamente onesto. Ma una slot machine…

— È nella sede dell’Unione, signore. L’Unione Studentesca.

— Sì, so dove si trova l’Unione.

— Giù, nel seminterrato — disse Jackson. — Vicino alla Rathskeller. C’è una porta, su un lato del bar. Non ci va mai nessuno, o quasi nessuno. È una specie di magazzino, anche se è in disuso. Almeno al momento. Forse una volta veniva utilizzato. E dentro ci sono varie cose. Cose sistemate lì molto tempo fa e ormai dimenticate. In un angolo c’è questa slot machine , o qualcosa che le somiglia. Se qualcuno entrasse nel ripostiglio, non la degnerebbe d’una seconda occhiata. Se ne sta li, acquattata nell’angolo. Se qualcuno la vedesse penserebbe che è rotta e…

— A meno che — disse Lansing, — a meno che, ovviamente, sapesse che cos’è in realtà.

— Giustissimo, signore. Vuol dire che mi crede?

— Non ho detto questo — rispose Lansing. — Stavo semplicemente cercando di aiutarla. Si era impantanato. L’ho detto soltanto per rimetterla in carreggiata.

— Bene, grazie, signore. È molto gentile. Sì, stavo divagando un po’. Ecco, vede, si va lì, e si mette un quarto di dollaro nella fenditura. Allora il quarto di dollaro la anima; e parla, domanda che cosa si vuole e…

— Intende dire che la slot machine parla?

— Proprio così, signore. Le chiede che cosa vuole, e allora lei glielo dice, e la macchina le spiega quanto costa; e quando lei paga, glielo fornisce. È in grado di sfornare un tema su quasi tutti gli argomenti. Basta dirle quello che si vuole…

— Ed è appunto ciò che ha fatto lei. Le dispiacerebbe spiegarmi quanto le è costato?

— Certo, signore. Due dollari. È tutto.

— Scandalosamente a buon mercato — disse Lansing.

— Sì, signore, ha ragione. È un vero affare.

— In questo momento — disse Lansing, — sto pensando che è molto ingiusto che soltanto pochi eletti siano a conoscenza di questa macchina prodigiosa. Pensi a tutti gli altri, centinaia di altri, che stanno sulle scrivanie e si stillano il cervello per scarabocchiare un capoverso con un contenuto significativo quando, se lo sapessero, potrebbero trovare le soluzioni per tutti i loro problemi nel seminterrato della sede dell’Unione.

Jackson sembrava impietrito. — Lei non mi crede, signore. Pensa che sia una frottola. Che le stia mentendo.

— Cosa immaginava che potessi pensare?

— Non lo sapevo, sinceramente. A me sembra molto semplice, perché è la verità. Ma lei non mi crede, quando glielo dico. Avrei fatto meglio a mentire.

— Sì, Mr. Jackson, penso davvero che abbia mentito.

— E cosa intende fare, signore?

— Per il momento, nulla. Ci penserò sopra durante il fine settimana. Quando avrò preso una decisione, glielo farò sapere.

Jackson si alzò, irrigidito, e uscì dall’ufficio. Lansing ascoltò i passi che si allontanavano nel corridoio, fino a quando il suono svanì. Poi mise il saggio di Jackson in un cassetto e chiuse a chiave la scrivania. Prese la borsa e si avviò verso la porta. Poi si fermò di colpo, si voltò e lasciò cadere la borsa sulla scrivania. Quel giorno non intendeva portarsi il lavoro a casa. Il fine settimana era libero, e intendeva tenerlo libero.

Mentre percorreva il corridoio, verso l’uscita che si apriva sul viale, provava una sensazione strana, senza la borsa. Era diventata una parte di lui, pensò. Una parte di lui, come i calzoni e le scarpe. Era parte dell’uniforme che indossava. L’aveva portata per anni e ora, senza, si sentiva un po’ nudo, come se fosse un’indecenza mostrarsi al pubblico senza la borsa sotto il braccio.

Scese l’ampia scalinata di pietra della palazzina, e qualcuno lo chiamò, da mezzo isolato di distanza. Si voltò e vide che era Andy Spaulding. Aveva allungato il passo, sul marciapiedi, per intercettarlo.

Andy era un vecchio amico fidato, ma era anche un pallone gonfiato, e a volte diventava un po’ troppo pomposo. Era un sociologo e aveva la testa sempre traboccante di idee. L’unico guaio era che quelle idee non le teneva mai per sé. Ogni volta che riusciva a bloccare qualcuno, piombava sulla vittima rassegnata e parlava e parlava delle sue idee, senza mollare il bavero del malcapitato perché non potesse sfuggirgli, e polemizzava con se stesso, esponendo il poderoso torrente di pensieri che gli sgorgava dentro. Ma nonostante tutto questo, era un buon amico leale, e Lansing era quasi contento di vederlo.

Attese ai piedi della scalinata, fino a quando Andy lo raggiunse.

— Andiamo al club — disse Andy. — Vieni, ti offro da bere.

II

Il club dei docenti era all’ultimo piano dell’Unione Studentesca. L’intera parete esterna era formata da una serie di grandi vetrate che si affacciavano su un piccolo lago placido e ben tenuto, circondato da betulle e pini.

Lansing e Andy presero posto ad uno dei tavoli accanto alle vetrate.

Spaulding alzò il bicchiere e guardò Lansing al di sopra dell’orlo, con un’espressione pensierosa.

— Sai — disse, — in questi ultimi giorni ho pensato che sarebbe una vera fortuna se venissimo colpiti da un’altra epidemia, come quella che eliminò un terzo della popolazione europea nel secolo decimoquarto. Oppure un’altra guerra mondiale, o magari un secondo diluvio biblico… qualcosa, insomma, che ci costringesse a ricominciare daccapo, a cancellare alcuni degli errori che abbiamo commesso negli ultimi mille anni o giù di lì, e ci offrisse la possibilità di arrivare a qualche nuovo principio sociale ed economico. Una possibilità di sottrarci alla mediocrità, di organizzarci in modo più razionale. Il sistema lavoro-stipendio è diventato obsoleto, sconfigge se stesso, eppure continuiamo a tenerlo ben stretto…

— Non pensi — chiese Lansing in tono blando, — che i metodi che hai suggerito sarebbero piuttosto drastici?

L’aveva detto senza l’intenzione di polemizzare. Nessuno polemizzava con Andy; quello travolgeva, semplicemente, chiunque ci si provasse. Continuava a borbottare, con una voce quasi monotona, riordinando i propri pensieri, catalogandoli, esponendoli perché il suo interlocutore li ammirasse, come se aprisse a ventaglio un mazzo di carte da gioco.

Lansing non voleva polemizzare, non ne aveva la minima intenzione; ma era entrato nello spirito del gioco che imponeva alla vittima o alle vittime di Andy, a certi intervalli, di mormorare una risposta appropriata.

— Uno di questi giorni — disse Andy, — ci accorgeremo improvvisamente… non so in che modo si produrrà questa specie di rivelazione, ma ci accorgeremo che tutti i nostri sforzi umani, compiuti finora, sono futili, perché sono stati compiuti nella direzione sbagliata. Da secoli cerchiamo la conoscenza, perseguendola in nome della ragione, ma con la stessa ragionevolezza con cui gli alchimisti dell’antichità insistevano nella ricerca di un metodo che trasformasse in oro i metalli vili. Potremo scoprire che tutta questa conoscenza non è altro che un vicolo cieco, che oltre un certo punto ogni significato cessa di esistere. Nel campo dell’astrofisica, sembra, ci stiamo avvicinando a questo punto. Tra pochi anni tutte le vecchie, solide teorie sullo spazio e il tempo potrebbero crollare nel nulla, lasciandoci in mezzo alle macerie che, allora lo riconosceremo, non hanno valore e non ne hanno mai avuto. Forse allora non esisterà più una ragione per continuare a studiare l’universo. Potremmo scoprire che in realtà non esistono leggi universali, che l’universo funziona forse in base alla pura e semplice casualità, o anche peggio. Tutti questi studi frenetici, questa ricerca della conoscenza, e non solo per quanto riguarda l’universo ma anche per molte altre cose, esistono perché noi cerchiamo di trarne un vantaggio pratico. Ma domandiamoci se abbiamo diritto di cercare un vantaggio. Può darsi che, fondamentalmente, non abbiamo il diritto di pretendere qualcosa dall’universo.

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