Arthur Clarke - Culla

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Un missile top secret che svanisce in volo. Un tridente d’oro che cambia sorprendentemente forma. Una caverna subacquea custodita da balene... Qualcosa si nasconde nel fondo marino al largo di Key West, un mistero in parte umano ma nello stesso tempo terribilmente alieno. Il suo potere è immenso e terrificante e potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla Terra. Ma qualcuno ha deciso di scoprire il terribile segreto. E da quel momento non esiste più alcuna certezza, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, nessuna alleanza su cui poter contare. Intorno a una giornalista bella e ambiziosa, disposta a correre qualsiasi rischio pur di arrivare alla verità, si stringe la rete di una cospirazione implacabile: spie militari, killer spietati, ma soprattutto una forza estranea e sconosciuta, le cui mosse nessuna mente umana potrebbe comprendere e prevedere... L’inesauribile immaginazione di Arthur C. Clarke spazia in questo nuovo romanzo dagli enigmi irrisolti del passato alle soglie indecifrabili del futuro, dagli infiniti oceani di stelle all’imperscrutabile fondo del mare. In un appassionante viaggio ai confini della realtà, Culla esplora i percorsi dell’avventura e dell’ignoto.

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In camera, sedettero sul pavimento, con tutti i loro cartoccetti sparsi davanti. Vernon accese la radio. Una stazione di musica classica stava trasmettendo una sinfonia. Il suono lo ipnotizzò: per la prima volta nella vita riusciva infatti a sentire dentro di sé, a uno a uno, gli strumenti dell’orchestra! Visualizzò un palcoscenico, allora, e vide gli orchestrali manovrare gli archetti dei violini. Affascinato ed eccitato, disse a Joanna di avere la sensazione che tutti i suoi sensi fossero vivi.

A Joanna Carr sembrò che lui si stesse finalmente aprendo. Così, quando Vernon si chinò a baciarla, lei si mostrò più che disposta. Mentre la sinfonia continuava, si baciarono con dolcezza, ma a fondo, ripetute volte. Un breve intervallo per mangiare qualche altro boccone, e Joanna sintonizzò la radio su una stazione rock. La musica cambiò il ritmo delle effusioni. Il trascinante, sempre più rapido tumultuare di suoni rese i baci più appassionati. Nel suo ardore, Vernon spinse Joanna sul pavimento, e così, stesi sul fianco e sempre vestiti, entrambi presero a baciarsi forsennatamente, come stregati dalla forza dell’eccitazione.

La radio passò a trasmettere Light My Fire dei Doors. E Vernon Allen Winters di Columbus, Indiana, allievo del terz’anno dell’Accademia Navale degli Stati Uniti d’America, perse la verginità prima della fine della lunga canzone. « Il tempo dell’esitazione è finito, Non è più il momento di pestare l’acqua nel mortaio, Prova ora e puoi solo perdere, e il nostro amore diventerà una pira funebre… Su, bambina, accendi il mio fuoco… Su, bambina, accendi il mio fuoco. » Vernon non aveva mai perso il controllo di sé in vita sua. Ma, quando Joanna gli accarezzò il profilo del pene rigonfio da sopra i jeans, fu come il crollo improvviso di una gigantesca parete di acciaio e cemento. Anni dopo, la passione nuda e cruda da lui dimostrata in quei due, forse tre minuti, non avrebbe cessato di meravigliarlo. I baci insistenti di Joanna, l’erba e i ritmi trascinanti della musica lo spinsero, combinati insieme, a varcare i limiti. Diventò un animale. Steso sul pavimento della camera del motel, prese a strattonare i pantaloni di Joanna, che quasi strappò nel tirarglieli sotto le anche. Le mutandine di lei calarono a metà insieme coi pantaloni, e lui afferrò e abbassò il tutto rudemente mentre a sua volta si svincolava dai jeans.

Joanna tentò dolcemente di calmargli la fretta, di suggerire che forse era meglio sul letto. O, quanto meno, che sarebbe stato più piacevole se si fossero tolti scarpe e calze, perché, fare l’amore con le caviglie impacciate dai pantaloni… Ma Vernon era partito, ormai. Anni di tenuta a freno l’avevano lasciato senza la capacità di controllare l’impeto del desiderio. Come posseduto, si mise sopra Joanna, il viso terribilmente serio. Per la prima volta, lei ebbe paura, e la paura contribuì a eccitarla maggiormente. Vernon si agitò qualche secondo (la musica, intanto, era entrata nella ossessiva fase strumentale della canzone) per trovare il punto giusto, e poi la penetrò direttamente e con forza. Joanna lo sentì spingere una, due volte, poi fremere tutto. Era venuto in forse dieci secondi. L’intuizione le disse che quella doveva essere stata la sua prima volta, e il piacere che ciò le diede compensò l’affronto ricevuto dalla sua mancanza di delicatezza e tenerezza.

Vernon non disse una parola, e in breve le si addormentò accanto sul pavimento. Lei allora andò bravamente a prendere il copriletto e, tornata a rannicchiarsi fra le braccia di lui, se ne servì per coprire sé e il compagno. Poi, sorridendo fra sé, si abbandonò piano piano al sonno. Quel tipo dell’Indiana che le giaceva accanto seguitava a sconcertarla un po’, ma ormai era “speciale” per lei come lei per lui.

Quanto speciale, lei, però, non l’avrebbe saputo mai veramente. Vernon si svegliò nel pieno della notte in preda a un angoscioso senso di colpa. Non riusciva a credere di aver fumato “roba” e quindi praticamente violentato una ragazza che conosceva a malapena. Aveva perso il controllo di sé: non era stato capace di fermarsi e aveva chiaramente oltrepassato i confini del lecito. Al pensiero di ciò che avrebbero pensato di lui i genitori (o, peggio, Betty e il reverendo Pendleton), se avessero potuto vedere ciò che aveva fatto, ebbe un sussulto. Poi il senso di colpa lasciò il posto alla paura. Immaginò Joanna incinta, il dovere per lui di lasciare Annapolis per sposarla (E cosa avrebbe fatto? Che genere di lavoro scegliere, non potendo diventare ufficiale di marina?), la necessità di spiegare il tutto ai propri genitori e ai Pendleton. Peggio ancora, immaginò un’imminente retata della polizia al motel, il ritrovamento, durante la perquisizione, della cicca di spinello infilata nella forcina, e le conseguenze: espulsione dall’Accademia per abuso di droga, prima , e rivelazione del suo aver messo incinta una ragazza poi.

Steso sul pavimento di una stanza di motel della periferia di Filadelfia, alle tre mattutine di una domenica, Vernon Winters, ormai terrorizzato, cominciò a pregare sul serio. «Caro Signore» pregò, chiedendo (per la prima volta dal giorno in cui aveva chiesto il Suo aiuto per superare l’esame TAS) qualcosa di specifico per sé «fa’ che me la cavi senza danno, e diventerò l’ufficiale di marina più disciplinato che tu abbia mai visto. Aiutami, ti prego, e dedicherò la vita a difendere questo paese che ti onora.»

Alla fine, riuscì a riaddormentarsi, ma di un sonno intermittente e perturbato da sogni nettissimi. In uno, vestiva la divisa di allievo, ma si trovava sul palcoscenico della chiesa presbiteriana di Columbus. Era la rappresentazione pasquale, e lui faceva di nuovo il Cristo che trascinava la croce sul Calvario. Il bordo affilato della croce sulla spalla gli stava tagliando la camicia della divisa, e lui avvertiva come l’angoscia di non poter superare l’ispezione. Inciampò e cadde, la croce incise più a fondo nella divisa, come aveva temuto, e lungo il braccio prese a scorrergli del sangue. «Crocifiggetelo!» udì urlare da qualcuno. «Crocifiggetelo!» gridò unanime un gruppo di spettatori, mentre lui si sforzava invano di vedere attraverso la luce dei riflettori ad arco. Si svegliò in un bagno di sudore. Per qualche istante rimase disorientato, poi rivisse gli eventi della notte precedente ripercorrendo il ciclo ribrezzo-depressione-paura.

Al risveglio, Joanna si mostrò tenera e affettuosa; lui, invece, molto distante. Era preoccupato per gli esami imminenti — spiegò. Per due volte, Joanna fece per parlare di quanto era avvenuto fra loro, ma lui cambiò rapidamente discorso. La colazione e il ritorno al pensionato di Joanna in College Park furono per lui una sofferenza. Al momento del congedo, lei tentò di comunicargli il proprio trasporto con un bacio, ma lui non contraccambiò. Aveva fretta di dimenticare l’intero fine settimana, lui; e, una volta tornato nell’intimità della sua camera di Annapolis, tornò contrariamente a patteggiare con Dio la propria uscita senza macchia dalla faccenda.

L’allievo Vernon Winters mantenne la parola. Non solo non parlò mai più a Joanna Carr (che, dopo aver telefonato due volte senza riuscire a trovarlo e mandato due lettere rimaste senza risposta, decise di lasciar perdere), ma, nei diciotto mesi finali di Accademia, smise del tutto di uscire con ragazze, si applicò con ogni energia agli studi e frequentò la cappella, come promesso a Dio, due volte la settimana.

Laureatosi con lode, prestò il suo primo servizio su una grande portaerei. Due anni più tardi, nel giugno 1974, sposò Betty Pendleton, diplomatasi maestra, nella chiesa presbiteriana di Columbus, nella quale, dodici anni addietro, erano stati lui Giuseppe e lei Maria. La coppia si stabilì a Norfolk, in Virginia, e Vernon pensò di aver davanti ormai una vita ben precisa: lunghi periodi in mare e brevi soggiorni a casa con Betty e i bambini che avrebbe avuto.

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