John Christopher - I possessori

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I possessori: краткое содержание, описание и аннотация

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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La sua posizione nei confronti di Elizabeth era ideale, pensò. Lei sapeva che il marito guardava volentieri una faccia o una figura graziosa e, conscia della propria superiorità, non se ne preoccupava. Sapeva che flirtava con le donne, e la cosa la divertiva. Sapeva anche che nessuna avrebbe mai potuto prendere il suo posto. Tutto questo era vero. Quel che non sapeva, e che Selby Grainger era deciso a non farle sapere mai, era che qualche volta i flirt assumevano una piega più intima. Lui aveva bisogno di quelle piccole avventure, dopo le quali tornava da Elizabeth più innamorato e ammirato che mai: ma non superava mai i limiti della discrezione. Perciò le avventure non avvenivano mai con le amiche di Elizabeth anche se, Dio lo sapeva, le occasioni non mancavano: e stava attento al tipo di ragazza che sceglieva. La sorella di Diana, per esempio, sebbene in realtà la preferisse, l’aveva esclusa quasi subito. Una giovane vedova era promettente: ma quella aveva un’aria troppo seria perché lui fosse disposto a rischiare.

No, era Diana che gli interessava. Era pronto a scommettere che non era vergine; d’altra parte, non era neppure una ragazza facile. Nei confronti della vita aveva un atteggiamento spensierato e, a giudicare dal fatto che non scriveva lettere e non riceveva telefonate, era abbastanza sicuro che per il momento nella sua vita sentimentale non ci fosse niente d’importante. Il suo modo di attirare l’attenzione di tutti i maschi che c’erano in circolazione non era significativo: ma le occhiate furtive che aveva ricevuto da lei, di tanto in tanto, appartenevano ad un’altra categoria.

Bastava soltanto prendere le cose con calma. Aspetta, e ti sarà dato. Lì a Nidenhaut, un piccolo flirt innocente, sotto lo sguardo indulgente di Elizabeth. Si girò a guardare la moglie, con un sorriso d’ammirazione e d’affetto. Era una donna meravigliosa.

«Siamo pronti per affrontare di nuovo le discese?» le disse.

Elizabeth scosse la testa elegante. «Ho il ginocchio un po’ indurito, dopo l’ultima caduta. Vai con Diana. Io me ne starò qui seduta a guardarvi.»

Grainger si alzò, si mise davanti a Diana. «Andiamo, ragazza mia. Entriamo in azione.»

«Anch’io preferirei riposarmi,» disse. Ma si afferrò alle sue mani, e lui la sollevò.

Diana non aveva mai sciato, prima di quella vacanza, ma aveva imparato molto in fretta e non se la cavava male. Doveva avere belle cosce, pensò Selby, un corpo agile e snello. Le toccò il braccio quando uscirono a prendere gli sci, e sentì la lieve pressione di risposta contro le sue dita. Sì, pensò, con un piacevole fremito d’anticipazione, sarà divertente.

Quando rientrarono, Elizabeth non c’era. Probabilmente era salita a prepararsi per il pranzo. George aveva aperto il bar, e Deeping era lì seduto, a bere una birra. Selby prese un Campari per sé e uno per Diana, e li portò sulla terrazza. Non c’era nessun altro. Lei era appoggiata alla balaustrata di legno in una posa che metteva in risalto la sua figura, nonostante l’ingombrante maglione. Selby lasciò che i propri occhi dimostrassero ammirazione, e lei sorrise, socchiudendo leggermente le labbra.

«Grazie, Selby. Stavo cercando Elizabeth.»

«È di sopra, credo: a dorare l’oro fino, a dipingere i gigli.»

«È molto bella, no?»

Ma non ne sembrava preoccupata. Selby disse:

«Molto. C’è abbastanza soda, o devo andare a prendere il sifone?»

«Va benissimo così.» Diana inarcò il corpo, un poco di più. «Mi piace. Solo, è un peccato che non siamo rimasti bloccati alla fine della vacanza, come i Deeping.»

«Può darsi che sia lo stesso anche per noi.»

«Troppa grazia. Niente: ritorno alla squallida Londra e allo squallido lavoro.»

«E che cosa fa? Voglio dire, so che è segretaria, ma dove lavora?»

«Un ufficio di contabilità. Non potrebbe essere più noioso. Neanche un brillante evasore fiscale. Contabilità di società, e società molto solide.»

«Vive con Jane?»

«Santo cielo, no. Non andremmo d’accordo per un pezzo. Lei ha vissuto in campagna fino alla morte di Harry. Da allora, vive passando da un albergo all’altro. Credo che dovrebbe decidersi a farsi una casa sua.»

«E lei ce l’ha… una casa sua?»

«Io,» disse Diana, assumendo un’aria istrionica, «vivo con un’amica a West Chelsea. A Fulham, cioè. Tre piani da fare a piedi, e là ci siamo noi. Due stanze, cucinino, bagno in comune. La mia amica si chiama Sylvia Farley: lavora per una ditta che vende diamanti. Purtroppo non le regalano i campioni. Abbiamo un fornello a gas, una radio a transistor, una TV a noleggio, e oltre al bagno abbiamo in comune un gatto. Tutte le comodità. Il venerdì sera ci laviamo i capelli.»

«Tutte le comodità? Immagino che ci sia anche un telefono.»

Lei lo guardò, mordendosi le labbra. «Sì, infatti. Un piccolo telefono rosa. Dividiamo le spese, ma sull’elenco c’è il mio nome. Blackstone, Diana, Finsborough 1256. Uno più due più tre eguale a sei. Tutti dicono che è un numero facile da ricordare.»

Selby sentì dei passi che arrivavano dal salotto, e riconobbe Elizabeth. Si concesse un lieve sorriso prima di girarsi verso la moglie.

«Sì,» disse. «Sembra anche a me.»

Elizabeth non aveva molta voglia di uscire neppure il pomeriggio, ma Selby la convinse. Con Diana si era spinto fino al punto cui voleva arrivare, date le circostanze attuali, e adesso poteva impegnarsi a placare i vaghi fremiti di sospetto che potevano attraversare la mente di Elizabeth. Disse, allegramente:

«Andiamo! Devi smaltire un po’ di tutti quegli idrati di carbonio.» Mandy, per pranzo, aveva preparato un abbondante spezzatino con pallottole di pasta bollita, seguito da una torta di mele e albicocche. «Altrimenti perdi la forma.»

Accompagnati da Diana, si diressero verso l’angolo occidentale più alto della conca, da dove era possibile lanciarsi in una lunga discesa… anche per più di un chilometro e mezzo, volendo, fino al punto in cui la strada per Nidenhaut era bloccata dalla valanga. In pratica, però, non sarebbero andati molto oltre lo chalet, probabilmente fino al punto dove Jane, insieme a Douglas Poole e ai Deeping, si stava esercitando su uno dei pendii più facili.

«Solo una discesa,» disse Elizabeth. «Poi lascerò che continuiate tu e Diana.»

«Sciocchezze,» disse Selby. «È la risalita che ti fa bene, la discesa non è gran che, come esercizio.»

Arrivarono al punto di partenza prestabilito, e si fermarono, ansimando. Erano a circa ottocento metri dallo chalet, verso ovest, ad una quota un po’ più elevata: in mezzo c’era la conca, ingombra di neve, ghiaccio e rocce, cadute con la valanga più piccola. Per fortuna, l’ingombro non arrivava fino alla loro linea di discesa.

I bambini Deeping, notò Selby, avevano tirato fuori di nuovo la slitta, e scendevano dalla parte più ripida del pendio, al di là della valanga. Andavano velocissimi: probabilmente non controllavano bene la slitta, ma almeno era improbabile che si facessero del male: lì la neve era alta. Quasi a conferma, vide la slitta sobbalzare e andarsi a seppellire, insieme ai suoi passeggeri, in un mucchio di neve. I bambini ne uscirono subito, e le loro voci, eccitate e felici, volarono esili nell’aria fredda.

Elizabeth disse: «Loro sono quelli che si divertono di più.» Nella sua voce c’era una nota che si avvicinava alla tristezza, per quanto lo consentiva la sua placidità. «Andare in slitta è sempre stata la cosa più bella dell’inverno, per me.»

«Giusto,» disse Selby. «Quando avremo finito la discesa, andremo in slitta. Tireremo fuori quella grande. George ci darà una mano.»

«I bambini,» disse Diana. «Hanno trovato qualcosa?»

Il più piccolo, Andy, stava frugando nella neve. Voltava loro le spalle, e stava chino. Si rialzò e chiamò il fratello, che tirava lo slittino sul pendio. Poi tornò a chinarsi, e scivolò in avanti, lentamente, bocconi.

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