John Christopher - I possessori

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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Stavano giocando, pensò Selby: ma c’era qualcosa d’inquietante nel modo in cui il bambino era caduto. Rimase immobile, indeciso, a guardare. Stephen scese accanto ad Andy, si piegò, lo sollevò e lo girò. Poi si accosciò, con il fratello tra le braccia come un peso morto, e alzò la testa, come per cercare aiuto. Selby non perse altro tempo: piantò i bastoncini nella neve e scese verso di loro.

Una comune sincope, pensò, vedendo il volto bianco ed esanime, il corpo inerte. Troppo sforzo, subito dopo il pranzo, o forse lo choc ritardato per la caduta dalla slitta. Disse a Stephen:

«Bene. Dallo a me.»

«È svenuto,» disse Stephen.

«Sì. Fra poco rinverrà.»

Si era tolto i guanti e li aveva sfilati al bambino, e le sue dita cercarono automaticamente il polso. Rimase sconvolto, incredulo. Accostò la guancia alla bocca del bambino, infilò la mano sotto il maglione e la camicia per sentirgli il cuore. Lo stava tenendo così, sorreggendolo con l’altro braccio, quando in uno spolverio di neve Diana gli arrivò vicina, subito seguita da Elizabeth.

«Cosa c’è?» chiese Diana. «È successo qualcosa?»

«È svenuto,» ripeté Stephen. «È caduto e svenuto.»

Selby disse a Elizabeth: «Sganciami gli sci, per favore. Lo riporto in casa.»

Mantenne la voce su un tono neutro, ma dall’espressione di lei capì che aveva intuito trattarsi di qualcosa di grave. Lei gli sganciò gli sci rapidamente, con gesti esperti. Selby portò il ragazzo allo chalet, camminando sulla neve. Quelli che si trovavano sul pendio più sotto, a quanto pareva, non si erano accorti di niente, ma Mandy gli andò incontro sulla porta.

«Un incidente?» domandò.

«Non so.»

Mandy si fece da parte, e Selby portò il bambino in salotto. Lo depose sul tappeto, davanti al fuoco, gli tolse maglione e camicia. Massaggiò il torace ancora caldo, cercò di insufflare aria nei polmoni afflosciati. Ma sapeva che non c’era niente da fare, prima ancora di desistere. Alzò la testa. Accanto a lui c’erano Elizabeth e Diana.

Elizabeth disse: «Mandy ha condotto Stephen in cucina. Selby, è morto?»

Lui annuì, senza dir nulla.

«Ma come? Cos’è successo?»

«Arresto del cuore. Può darsi che lo avesse già debole.» Selby scosse il capo. «Ma non sembrava un cardiopatico.»

Diana disse, con voce atona: «Non posso crederlo.» Distolse lo sguardo dal corpo del bambino, andò alla finestra che dava sulla terrazza. «Stanno ancora sciando, laggiù,» disse. «Qualcuno dovrà avvertirli.»

«Andrò io,» disse Elizabeth. Si chinò e toccò il viso del bambino morto, come se, toccandolo, rendesse più credibile la realtà di quella morte. «Lo lasci qui?»

«Per il momento.»

Mentre attendeva che arrivassero i Deeping, Selby si sentiva stordito. Nei primi tempi, nel teatro anatomico, aveva incontrato moltissimi casi diversi di morte improvvisa. Ma era stato anni prima, e c’era sempre stato un preavviso, una spiegazione. Adesso fissava il corpo senza segni di malattia, e si sentiva pieno di stupore e di risentimento. Il suo lavoro consisteva nel rimediare alle imperfezioni dell’aspetto umano, nel conquistare piccole vittorie sull’indifferenza della natura, nel condurre una campagna tranquilla e misurata contro la bruttezza. E li c’era quel bambino, delicato, senza difetti, morto. L’indifferenza suprema, la bruttura finale. Di fronte ad essa, tutto ciò che lui aveva fatto o sperato di fare sembrava un’irrisione.

Fino a quando lei non parlò, aveva dimenticato che Diana era ancora lì. Lei disse:

«Crede che farei meglio ad andarmene… prima che arrivi lei?»

Selby la sentì appena. «Come crede.»

«Non sopporto le scene, e del resto, non posso rendermi utile.» Diana ebbe una piccola risata nervosa. «E sento il bisogno di fumare una sigaretta.»

«Sì,» disse lui. «Vada, allora.»

Elizabeth arrivò con i Deeping. Era sempre perfetta, in situazioni del genere: tranquilla, comprensiva, serena. Con discrezione ma con fermezza, cinse con un braccio le spalle di Ruth Deeping e la guidò attraverso il salotto.

Per qualche secondo nessuno parlò. Il silenzio era rotto solo dagli scoppiettii del fuoco, dal ticchettio del grosso, complicato orologio a cucù appeso alla parete. Ruth Deeping si era lasciata cadere in ginocchio accanto al figlio, gli aveva sollevato la testa, stringendola tra le braccia. Quando alzò gli occhi e parlò, la sua voce era ragionevole, controllata.

«Non è morto,» disse. «È solo svenuto.»

«Mi dispiace, ma…»

«È caldo!»

Un pezzo di legno sibilò, nel fuoco, come per sottolineare l’inutilità di qualunque risposta. Gli occhi azzurri stavano diventando vitrei. Selby guardò Deeping. Lui l’aveva accettato, sicuro. La rassegnazione era espressa dalle spalle piegate, dalla contrazione mesta della bocca. Selby gli si avvicinò, disse sottovoce:

«Mi dispiace moltissimo. Nessuno avrebbe potuto far nulla. Era già morto quando l’ho trovato.»

Deeping girò la testa di scatto. «Come?»

«Il cuore. Ha… aveva dei disturbi?»

Deeping scosse la testa, lentamente. «Non ha mai avuto niente. Mai niente. Solo la varicella, il morbillo… le solite cose.» Fissò Selby, come chiedendogli una spiegazione. «Com’è successo? Lei deve averne un’idea.»

«Doveva trattarsi di un vizio cardiaco. Qualcosa che non risulta se non facendo un elettrocardiogramma. L’unico modo per scoprirlo sarebbe…» Esitò. «Sarebbe un’autopsia.»

Sebbene avesse parlato sottovoce, Ruth Deeping doveva aver udito le sue parole. Disse, con voce aspra:

«No. Niente da fare. È già abbastanza che sia morto. Non importa qual è stata la causa.»

Selby provò un senso di sollievo nell’accorgersi che aveva superato la prima, terribile crisi; ma si sarebbe sentito più tranquillo se lei avesse pianto. L’arida amarezza che mostrava quella donna lo rendeva inquieto. Si rivolse a Deeping.

«Forse è meglio che lei lo porti in camera sua. Ce la fa?»

«Ce la faccio.»

Ruth non fece obiezioni, quando Deeping sollevò il bambino tra le braccia e lo seguì in silenzio. Selby li sentì salire le scale, e ricordò che l’altro bambino era in cucina con Mandy. Sua madre avrebbe dovuto andare da lui, pensò. Sono i vivi che hanno delle esigenze. Andò in cucina, e trovò il bambino seduto davanti a un bicchiere di cordiale bollente. Mandy stava lavorando. La guardò con aria interrogativa, e lei scosse leggermente il capo. Selby si stupì un poco di quel gesto. Toccava ai genitori dargli la notizia, non a semplici conoscenti come loro.

Stephen chiese: «Andy… è morto, Mr. Grainger?»

C’era un po’ di paura nella sua voce, e tanta incertezza. Non poteva aspettare che i Deeping ritornassero dalla loro veglia, pensò Selby.

«Sì, Steve,» gli disse. «Purtroppo sì.»

«L’avevo pensato.» Il bambino esitò. «Non è stato… perché la slitta si è rovesciata?»

Ancora paura, con una sfumatura di senso di colpa. Forse aveva fatto deviare la slitta mandandola contro il mucchio di neve, o temeva che dessero la colpa a lui. Gli disse, con fermezza:

«No, quello non c’entra affatto.» Però, naturalmente, poteva essere stata una causa, se il bambino aveva avuto un vizio cardiaco congenito. Continuò: «Cos’è successo, dopo che la slitta si è rovesciata? Come stava Andy?»

«Stava bene. Rideva. E poi…»

«Poi?»

«Poi mi ha gridato che aveva trovato qualcosa nella neve.»

«Cosa aveva trovato?»

«Non lo so. Sembrava una palla azzurra.»

«Tu l’hai vista?» chiese Selby.

«Solo un momento. Poi Andy è caduto.»

«Capisco.»

Era ben poco probabile che ci fosse una palla azzurra tra i detriti trascinati da una valanga giù per il fianco desolato di una montagna. Probabilmente, una pietra azzurra, sferica quando bastava per sembrare una palla. L’unica cosa strana era che, se Stephen l’aveva vista, avrebbe dovuto vederla anche lui, quando aveva raccolto il corpo di Andy. Ricordava la scena con molta esattezza: la neve smossa ma omogenea. Nessuna traccia d’azzurro, in quel biancore. Nessuna pietra.

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