John Christopher - I possessori

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«Tu non l’hai raccolta,» chiese, «quando sei andato ad aiutare Andy?»

«Allora non c’era più niente. Ma prima c’era qualcosa. Era di un azzurro vivo e… ecco, lucente.»

Un’illusione, pensò Selby. Sapeva che la luce del sole, sulla neve, poteva creare bizzarre illusioni ottiche. In quel momento entrò in cucina George Hamilton: fece per dire qualcosa a Selby, ma s’interruppe quando vide il bambino. Quando riprese a parlare, lo fece in tono più cauto.

«Posso parlarle un momento, Selby?»

«Certo.» Poi, al ragazzo: «Non ha sofferto, sai. È successo all’improvviso. Bevi il cordiale che ti ha preparato Mrs. Hamilton: ti scalderà. La tua mamma verrà qui da te molto presto.»

Si augurò che fosse vero. Hamilton lo condusse in sala da pranzo e disse:

«È la maledizione inevitabile, quando si ha una pensione… la mancanza d’intimità. Si sieda.» Sedettero uno di fronte all’altro, a tavola. «È stato un brutto colpo.»

Selby annuì. «Sì.»

«Il cuore, immagino. Povero piccolo. Suppongo che i genitori non sospettavano che fosse malato.»

«No, a quanto mi risulta.»

«È proprio in quel modo che mi sono sempre augurato di andarmene. Ma a quell’età! Non è giusto. Comunque, noi non potevamo farci niente.» Guardò irrequieto Selby. «Il problema è: e adesso cosa succede?»

«In Inghilterra, in circostanze simili, dovrebbe esserci un’inchiesta. Non so bene come vadano le cose, qui in Svizzera.»

«Non lo so neppure io,» disse Hamilton. «Accidenti! Forse dovrei saperlo, ma non ci è mai capitato che morisse qualcuno.» Il suo volto aveva un’espressione perplessa. «E non possiamo chiedere consiglio alle autorità locali. Non possiamo metterci in contatto con nessuno.»

«Comunque, non si può fare niente con il cadavere,» osservò Selby, «fino a quando non avranno sgombrato la strada per Nidenhaut.»

«Sì. Ci avevo pensato anch’io. Brutta faccenda.»

«Brutta faccenda?»

«Ho appena visto Ruth Deeping. Lei sa che hanno la stanza accanto alla nostra, e quella dei bambini è lì accanto?» Selby annuì. «Mi ha chiesto di far portare nella loro camera il letto di Stephen.»

«E allora? Quel povero ragazzino deve pur stare in qualche posto.»

Hamilton batté sul piano del tavolo le grosse mani. «Senta, io potrei spegnere il radiatore, ma i tubi dell’impianto del riscaldamento passano sotto la stanza. Non posso chiuderli, altrimenti qui si muore tutti congelati. Questa casa è stata costruita in modo da essere molto calda, d’inverno. E noi non sappiamo quanto tempo ci vorrà prima che arrivino dal villaggio e sgombrino la strada. Potrebbe essere una settimana e in questo caso…»

«Sì,» disse Selby. «È naturale. C’è una stanza fredda, da qualche parte?»

«In cantina. Nell’angolo a nord-est: non è riscaldata. Non ci teniamo altro che viveri in scatola, qualche corda e gli attrezzi. Possiamo portare via tutto in un attimo.»

«Allora questo risolve il nostro problema.»

«Sì, se riusciamo a convincere Mrs. Deeping.»

«Già,» fece Selby. Tacque per un istante. «Crede che farà delle difficoltà?»

«Non è convinto anche lei?»

«L’alternativa non è piacevole.»

«Se la sente di porgliela, Selby? Dopotutto, lei è un medico. È abituato a queste cose.»

Selby sorrise sarcastico. «Non proprio. Sono passati parecchi anni, da quando ho perduto un paziente.»

«Comunque, è sempre un medico. Saprà dirlo meglio di quanto potrei fare io. E Ruth l’ascolterà più di quanto ascolterebbe me. Se la sente?»

«D’accordo. Lasciamole un’ora, più o meno, prima, perché si abitui alla situazione.»

«Bravo.» Hamilton sbuffò di sollievo. «Dirò a Peter di preparare tutto, in cantina. Dovrà portare dentro un po’ di ghiaccio, e montare una tavola sui cavalletti. E intanto, credo che mi farebbe bene bere qualcosa. Cosa le sembra dell’idea?»

«Approvata,» disse Selby. «Approvata di tutto cuore.»

In un primo momento, Ruth Deeping non voleva saperne di spostare di nuovo il corpo di suo figlio. Doveva restare dov’era, insistette, fino a quando fosse stato possibile portarlo al villaggio. Non voleva che lo mettessero in cantina.

Selby non faticò ad ottenere l’appoggio di Deeping, ma questo non bastò a convincere la donna: guardò il marito con occhi irosi e risentiti e disse che non si aspettava che lui la pensasse allo stesso modo, a proposito di Andy. Lui aveva anteposto i suoi capricci agli interessi dei bambini da quando erano nati, ed era naturale che la loro morte lo lasciasse indifferente. La «loro», pensò Selby… come se li avesse perduti entrambi. Deeping non cercò neppure di risponderle: sembrava intimidito. Era sorprendente: talvolta la sottomissione, nelle donne, nascondeva una dominazione potenziale, in particolare nei confronti di uomini sgradevolmente arroganti come Deeping. La dominazione, e la stessa indifferenza che lei lo accusava di provare per i figli. Anche prima che nascessero, Selby ne era convinto, Ruth non doveva avere mai provato nulla per il marito.

Allora intervenne, con calma ma fermamente: «È necessario, Ruth. Deve farsene una ragione.»

Lei scosse il capo, guardandolo con odio. «No.»

«Ho visto la stanza. È pulita e fresca. Il posto migliore, le assicuro.»

Ruth Deeping disse qualcosa che lui non afferrò. La pregò di ripeterlo. Con voce fremente di orrore, lei disse:

«Potrebbero esserci i ratti.»

Selby fece, pietosamente: «No. Non ci sono ratti, qui… me l’ha assicurato George. E la stanza è vuota. Potrà vedere lei stessa che non c’è neppure una tana di topi.»

Ruth lo fissò. «No. Lo voglio qui con me.»

Selby diede alla propria voce il tono autoritario del chirurgo. «Come medico, debbo insistere.» Poi, dopo una pausa, proseguì: «Lei si preoccupava dei ratti. Ha mai visto come si riduce un corpo umano quando comincia a decomporsi?»

Lei chiuse gli occhi, rifiutando quell’immagine. Selby si rivolse a Deeping.

«George ha fatto portare su una barella. È fuori, sul ballatoio. La porti dentro: le darò una mano a scendere.»

Deeping obbedì. Mentre era fuori, Selby posò una mano sul braccio di Ruth. Lei tremava leggermente.

«Vada giù,» le disse. «George le darà un brandy.» Ruth scosse appena il capo, e lui insistette: «Glielo prescrivo. Le parlo ancora come medico. Poi George l’accompagnerà in cantina, e le farà vedere come si è organizzato.»

La donna rimase immobile per un momento. Poi si piegò e baciò il viso del bambino. Quindi uscì dalla stanza, in fretta: Selby sentì i suoi passi scendere le scale.

Peter, l’uomo di fatica, sostituì Selby per l’ultima rampa di scale: era più stretta e contorta e Peter, che scendeva per primo, doveva muoversi con attenzione. Selby li seguì nel locale che era già stato preparato. Era in fondo al corridoio. La porta era aperta, e lasciava filtrare un po’ di luce.

Dentro c’era George. Al centro della stanza c’era un vecchio tavolo, e un paio di grosse casse di legno, cui era stato asportato un lato, erano state messe insieme in modo da formare una specie di rozza bara scoperta. Selby la guardò, mentre gli altri due deponevano la barella. Il fondo e i lati erano stati rivestiti di ghiaccio. Guardò George e annuì in segno di approvazione. Poi Deeping sollevò dalla barella il corpo del figlio, lo distese nelle casse. Il bambino era stato rivestito di un pigiama, e a Selby parve terribilmente freddo e sperduto. Deeping stese il lenzuolo, lo tirò per coprire la faccia. Abbassò gli occhi, impotente, per un momento, poi disse:

«Ruth vuole vederlo, adesso. Vado a dirglielo.»

«Aspetterò qui,» disse Selby.

George attese con lui. L’aria era molto fredda, dopo il tepore del resto della casa, e il silenzio era rotto da un suono lontano, che Selby riconobbe: era il rombo della caldaia. Più che altro per spezzare il silenzio, disse:

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