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Eric Russell: Le sentinelle del cielo

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Eric Russell Le sentinelle del cielo

Le sentinelle del cielo: краткое содержание, описание и аннотация

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Eric Frank Russell ritorna con queste sue sentinelle degli spazi cosmici e dell’umanità che ormai dilaga per tutta la Galassia. È un romanzo di enigmatiche visioni sideree, di “presenze” inconoscibili, di vaghe minacce provenienti dalle profondità ignorate dello spazio. Ed è il romanzo di David Raven, naturalmente, il telepatico agente segreto della Triade Planetaria, e della bellissima Leina. La coppia ha in comune, tra molte altre cose, un segreto soprannaturale; e grazie ai poteri straordinari di cui è dotata, vigila sull’umanità. Sono David e Leina, le sentinelle del Cielo. Insieme, scrutano il cielo, vigili, in agguato, faccia alle stelle. La fascia favolosa della Via Lattea palpita sui loro capi, mentre nell’ombra, chi sa dove, incombe l’atroce minaccia delle astronavi di Deneb. Da troppe generazioni ormai, la razza umana, colonizzando i pianeti, è rimasta esposta alle insidiose radiazioni cosmiche; e le nuove specie dei “mutanti” fanno capolino ovunque, dando origine a nuove razze umane. Con questo romanzo, E.F. Russell ha saputo narrare l’epopea siderale di un futuro che potrebbe anche essere vero…

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— Ma a distanza ravvicinata non ha possibilità di scampo. L’ipnotico risulta sempre vincitore. Lo so perfettamente! Gli ipno mi hanno fatto parecchi scherzi, specialmente dopo che avevo bevuto qualche bicchiere di whisky venusiano.

La donna non rispose. I suoi lineamenti rimasero impassibili, nello sforzo di ascoltare dietro e oltre le chiacchiere dell’altro.

Grayson fece un rapido tentativo di scrutare la mente della donna, sperando di coglierla di sorpresa. Ma andò a colpire uno scudo impenetrabile. Lei era riuscita a resistergli senza sforzo, e continuava ad ascoltare, ascoltare. Il rumore quasi impercettibile di una zuffa giunse dall’altra stanza, seguito da un respiro affannoso.

Grayson si girò leggermente, come la persona che sospetta di aver sentito qualcosa che non doveva sentire. — Comunque, ci sono ancora io, con questa pistola, e il gruppo di amici che aspetta fuori. — Girò la testa verso la porta della stanza.

— Sono troppo lenti, là dentro.

— Non c’è possibilità — disse la donna con voce appena udibile. — A distanza ravvicinata non c’è possibilità di scampo.

Qualcosa della sua faccia, dei suoi occhi, della sua voce, fece rinascere in Grayson i sospetti che aveva soffocato, e l’uomo provò un vago senso di allarme: strinse le labbra e fece un cenno con la pistola. — Muovetevi. Camminate davanti a me. Andiamo a vedere perché non escono.

Leina si alzò, appoggiandosi al bracciolo della poltrona pneumatica. Poi si girò lentamente verso la porta, abbassando gli occhi, come per ritardare la visione di quello che avrebbe scorto dall’altra parte o che sarebbe comparso sulla soglia.

Ne uscì Steen. Si passava una mano sul mento e sorrideva soddisfatto. Era solo. — Ha cercato di fare il furbo — annunciò rivolgendosi a Grayson e senza minimamente badare a Leina. — Avevo la sensazione che avrebbe tentato qualcosa. Risultato: è più rigido di una pietra sepolcrale. Dovremo trasportarlo su un’asse.

— Bene! — esclamò Grayson tranquillizzato, mentre l’altro si avvicinava. Abbassò la pistola e si girò verso Leina.

— Cosa vi avevo detto? È stato stupido tentare a distanza ravvicinata. Certa gente non imparerà mai.

— Sì — ammise Steen facendosi più vicino. — È stato uno stupido. — Si fermò di fronte a Grayson e lo fissò negli occhi. — Troppo da vicino per avere possibilità di scampo.

I suoi occhi si erano fatti luminosi e grandissimi. Le dita di Grayson si irrigidirono e la pistola cadde sul tappeto. L’uomo aprì e richiuse la bocca, e le parole uscirono con difficoltà.

— Steen… cosa diavolo… stai… facendo?

Gli occhi di Steen divennero enormi, mostruosi, irresistibili. Il loro bagliore parve riempire il cosmo e bruciare il cervello della persona che li stava fissando. Una voce profonda, tuonante, venne con il bagliore. Giunse da una immensa distanza, e si avvicinò a una immensa velocità, fino a diventare un rombo pauroso.

— Raven non c’è.

— Raven non c’è — balbettò Grayson, meccanicamente. Il suo cervello era stato vinto.

— Non l’abbiamo visto. Siamo arrivati troppo tardi.

Grayson ripeté le parole come un automa.

— In ritardo di quaranta minuti — precisò la paralizzante voce mentale di Steen.

— In ritardo di quaranta minuti — approvò Grayson.

— È partito su uno scafo dorato da velocità a venti reattori, matricola XB 109, di proprietà del Consiglio Mondiale.

Grayson ripeté parola per parola. Aveva l’aspetto rigido e l’espressione vuota di un manichino che raccoglie polvere nella vetrina di un sarto.

— Destinazione sconosciuta.

Anche questo venne ripetuto.

— In questa casa abbiamo trovato solo una donna grassa. Una telepatica innocua.

— In questa casa — ripeté Grayson — abbiamo trovato solo una donna grassa. Una telepatica innocua.

Steen riprese a parlare. — Raccogli la pistola. E andiamo a informare Haller.

Passò davanti alla telepatica innocua, e Grayson lo seguì come una pecora. Nessuno dei due degnò Leina del minimo sguardo. Lei concentrò tutta la sua attenzione su Steen, scrutandone la faccia, cercando quello che c’era dietro la maschera, parlandogli in silenzio, e rimproverandolo. Ma lui non le fece caso: la sua impassibilità era deliberata e completa.

La donna chiuse la porta alle loro spalle, poi si lasciò sfuggire un sospiro e si strinse nervosamente le mani, come fanno tutte le donne dall’inizio dei tempi.

Sentì un rumore alle proprie spalle e si girò. La figura di David Raven stava avanzando incerta nella stanza.

L’uomo camminava piegato in due e si teneva le mani sulla faccia, tastandosi, quasi per accertarsi da quale parte della testa fossero collocati i lineamenti. E sembrava terrorizzato da quello che le sue dita stavano toccando. Quando staccò le mani, la faccia aveva un’espressione tormentata e gli occhi erano pieni di sgomento.

— Era mio — disse con voce che non era né quella di Raven né quella di Steen, ma una combinazione delle caratteristiche di tutte e due. — Se n’è andato con quello che era mio e mio soltanto! Mi ha derubato di me stesso!

Guardò la donna con cattiveria, mentre i lineamenti continuavano a esprimere il tormento interiore. Sollevò le braccia e avanzò di qualche passo.

— Voi lo sapevate! Lo sapevate e lo avete aiutato. Maledetta intrigante. Potrei uccidervi!

Le dita si piegarono ad artigli intorno al collo della donna, ma lei rimase immobile, mentre una luce indescrivibile le si accendeva negli occhi.

Quando le dita cominciarono a stringere, lei non fece nessun movimento per resistere. Per diversi secondi lui rimase fermo in quella posizione, la faccia sconvolta da una serie di contrazioni. Poi allentò la stretta e si allontanò di scatto, scosso da un tremito.

— Mio Dio — balbettò quando fu nuovamente in grado di parlare. — Anche voi!

— Quello che può essere fatto da uno può essere fatto anche dall’altro. Questo è il legame che esiste tra noi. — La donna lo osservò mentre lui si sedeva e si tastava quella faccia che non gli era familiare. — C’è una legge valida e basilare quanto quella della sopravvivenza fisica — disse ancora lei. — Dice: Io sono Io, e non posso essere Non-Io.

L’uomo rimase in silenzio, ma continuò a passarsi le mani sulla faccia. La donna riprese a parlare.

— Così, continuerete a desiderare quello che vi appartiene di diritto. Continuerete a desiderarlo, come desidera la vita chi si trova in imminente pericolo di morte. Lo desidererete per sempre, disperatamente, rabbiosamente. E non avrete mai pace ne tranquillità. Non potrete mai conoscere la completezza a meno che…

— A meno che? — chiese lui togliendo le mani dalla faccia e alzando gli occhi.

— A meno che non facciate quello che vi diremo. Allora quello che è stato fatto potrà essere disfatto.

— Cosa volete da me? — Si era alzato, e negli occhi aveva una luce di speranza.

— Obbedienza assoluta.

— L’avrete — promise lui con fervore.

Lei si sentì sollevata. In pochi minuti aveva risolto il problema del vestito di Ravel e del proprietario-che-non-ne-era-proprietario.

Il comandante della squadra in attesa era un individuo magro, alto circa uno e ottanta. Si chiamava Haller, era nato su Marte ed era un mutante di Tipo Tre, un pirotico. Appoggiato alla coda dello scafo giocherellava con un bottone d’argento della falsa divisa da poliziotto. Mostrò un certo disappunto quando vide comparire Steen e Grayson, soli.

— Allora? — chiese.

— Siamo stati sfortunati — disse Steen. — Se ne è andato.

— Da quanto?

— Da quaranta minuti — rispose Steen.

— Aveva tre ore di vantaggio — disse Haller battendosi un dito sui denti. — Significa che stiamo guadagnando terreno. Dov’è andato?

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