Lasciò la frase in sospeso.
— Avremmo raggiunto i pianeti più lontani? Plutone?
— Anche quella sarebbe stata una gita — ripeté Carson.
— Alpha Centauri?
— Forse anche più in là. È ancora troppo presto per stabilire dei limiti, ma dovrebbero essere molto lontani. — Carson concentrò l’attenzione su Raven. — Sembra che la notizia non vi abbia scosso minimamente.
Raven non diede nessuna spiegazione della sua strana flemma. — Il nuovo carburante è altamente esplosivo?
— Sì. Ecco cosa ci mette con le spalle al muro. Potrebbe sempre trattarsi di un incidente, anche se sono state prese tutte le precauzioni immaginabili.
— Capisco. — Raven rimase qualche attimo in silenzio. — C’è in circolazione un tipo sospetto. Si tratta di un certo Kayder, un Venusiano. Dirige la Morning Star Trading Company. Gli darò la caccia.
— Avete scoperto qualcosa sul suo conto?
— Soltanto che di sicuro si trova sulla Terra anche per altri scopi, oltre a quelli del commercio. Il mio informatore sembra certo che sia lui il Pezzo Grosso dell’altra parte della barricata.
— Kayder — ripeté Carson, prendendo nota su un foglio fuori dall’inquadratura dello schermo. — Farò controllare dai servizi di sicurezza. Anche se si trova legalmente sulla Terra, dovrebbe esserci una scheda su di lui, quale nativo di Venere. — Finì di scrivere e alzò lo sguardo.
— Bene. Servitevi dell’elicottero, se ne avete bisogno. Vi serve altro?
— Un asteroide fertile tutto per me.
— Quando ne avremo occupati un centinaio, ve ne farò riservare uno — promise Carson senza sorridere. — Ma se andiamo avanti di questo passo, riusciremo a occuparli soltanto qualche centinaio di anni dopo la vostra morte. — Mosse una mano per raggiungere un invisibile pulsante, e lo schermo si spense.
Per qualche istante Raven rimase a fissare lo schermo con espressione leggermente divertita. Un centinaio d’anni dopo la sua morte, aveva detto Carson. Era una data completamente priva di senso. Un punto nel tempo che non esisteva. C’erano persone di cui l’angelo delle tenebre non poteva impadronirsi. C’erano persone che nessuna mano umana avrebbe mai potuto distruggere.
— Nessuna mano umana , David — lo interruppe il pensiero di Leina dalla casa. — Ricordalo! Ricordalo sempre!
— È impossibile dimenticarlo — rispose il pensiero di Raven.
— Forse no… Comunque cerca di non dimenticarlo neppure per un istante.
— Perché? Siamo in due, no? Uno ricorda, e l’altro si occupa delle cose da fare.
Lei non rispose. Non c’era una risposta da dare. Divideva con lui quella reciproca funzione, e aveva accettato spontaneamente che fosse così. Questo doveva ricordarlo sempre, ma non doveva parlarne.
Leina non temeva né uomo né mostro, né luce né tenebre, né vita né morte. Tutte le sue ansietà provenivano da una sola fonte: aveva paura della solitudine. La terribile, pungente solitudine di chi ha un intero mondo per sé.
Sceso dal piccolo apparecchio, Raven fece qualche passo per sgranchirsi le gambe e si tolse Leina dalla mente. Uno non tenta di consolare con la comprensione una intelligenza superiore pari alla propria.
I quattro vennero verso di lui, e Raven si rivolse al pilota. — Portatemi a questo indirizzo. Vorrei arrivare poco dopo il tramonto.
Kayder arrivò a casa nel momento in cui la luce del giorno stava già cedendo all’oscurità della notte. Fermò lo scafo sportivo dietro la casa e rimase a guardare i due uomini che, spinto l’apparecchio nel piccolo hangar, chiusero le porte scorrevoli. Poi i due lo raggiunsero e lo seguirono verso la porta posteriore della casa.
— Ho fatto tardi ancora una volta — borbottò Kayder. — Questa sera i poliziotti sono in agitazione. Pattugliano ogni angolo del cielo. Mi hanno fermato tre volte. «Possiamo vedere la vostra licenza?» «Ci potete mostrare il brevetto di pilota?» «Possiamo vedere il certificato di abilitazione al volo?» — Sbuffò con rabbia. — Poco mancava che volessero vedere anche le voglie.
— Deve essere successo qualcosa — disse uno degli altri. — Sugli spettroschermi però non è apparsa nessuna notizia particolare.
— Fanno spesso così — disse il secondo. — Sono già passate tre settimane e non hanno ancora ammesso l’incursione al…
— Sss! — Kayder gli diede una violenta gomitata per farlo tacere. — Quante volte devo ripetere che non si deve parlare di queste cose?
Si fermò sui gradini, con le chiavi in mano, e scrutò l’orizzonte nella vana speranza di scorgere il bagliore bianco che vedeva tanto di rado. Era un’abitudine di cui non riusciva a fare a meno anche se sapeva che il puntino bianco sarebbe apparso soltanto nelle prime ore del mattino. Dalla parte opposta, quasi allo zenit, splendeva una luce rosa, ma Kayder non vi fece caso. Era il loro alleato, ma non significava altro. Kayder considerava Marte un opportunista che si era affiancato a Venere nella lotta per pura convenienza. Aprì la porta, entrò, e andò a scaldarsi le mani al pannello termico. — Che cosa c’è da mangiare? — chiese.
— Arrosto di anatra venusiana con mandorle e…
I gong della porta echeggiarono rumorosamente e Kayder si voltò di scatto a guardare il più alto dei suoi due compagni.
— Chi è? — chiese.
L’uomo diresse la mente verso la porta anteriore. — Un certo David Raven — disse dopo un attimo. Kayder si mise a sedere. — Ne sei sicuro?
— Così stava pensando.
— Cos’altro pensava?
— Niente. Soltanto che si chiamava David Raven. Il resto del cervello era vuoto.
— Aspetta un attimo, poi fallo entrare.
Raggiunta la grande scrivania, Kayder tolse da un cassetto una scatola decorata, fatta col legno di un albero venusiano di palude. Sollevò il coperchio. Sotto c’era uno spesso strato di foglie rossastre e di bizzarri fiori secchi. Al centro del cuscino di foglie c’era un mucchietto bianco che sembrava sale. Kayder sollevò la scatola fino alla bocca ed emise una serie di suoni bizzarri. Immediatamente i piccoli granelli lucenti si mossero e presero a girare per la scatola.
— Sa che lo state facendo aspettare, e sa il perché — disse l’uomo alto, guardando con disagio la scatola. — Sa esattamente cosa state facendo e cosa avete in mente di fare. Vi può strappare tutti i pensieri dalla mente.
— Lasciamolo fare, tanto non gli serve a niente. — Mise la scatola al centro della scrivania e avvicinò la poltrona che stava di fronte. Alcuni granelli luminosi uscirono dalla scatola e si alzarono in volo sparpagliandosi per la stanza. — Ti preoccupi troppo, Santil. Voi telepatici siete tutti uguali. Ossessionati dai fantasiosi pericoli di un pensiero svelato. — Emise altre vibrazioni sonore atteggiando le labbra in modo curioso e creando suoni che quasi oltrepassavano la soglia dell’udibilità. Altri puntini si alzarono in volo e scomparvero alla vista. — Fallo entrare.
Santil fu felice di andarsene. E anche il suo compagno. Quando Kayder cominciava a giocare con le sue scatole era meglio stare alla larga da lui. Tutti i pensieri riguardo l’anatra venusiana e le mandorle si potevano rimandare a un momento migliore.
L’atteggiamento dei due piaceva a Kayder perché aumentava il suo senso di potere. La superiorità sulle pedine era una cosa assolutamente necessaria, ma l’emergere sugli altri dotati di indubbio talento significava grandezza. Girò lentamente uno sguardo soddisfatto per la stanza, spostandolo dalla scatola a una cassetta, da un vaso esotico a un cofanetto laccato. Alcuni erano aperti, altri erano chiusi, e non si preoccupò che qualcuno potesse leggere nella sua mente. In fondo alla tasca destra, un piccolo ragno verde si mosse nel sonno. Kayder era l’unico al mondo in possesso di un’armata coraggiosa e quasi invincibile sempre a portata di mano.
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