La voce di Belzor, carica d’angoscia e così debole da sembrare una comunicazione telepatica disse: «Non far lo stupido, Jerome! Non lasciarti ingannare da loro. Credi davvero di agire liberamente, in questo momento? Credi di aver mai…?»
Jerome continuò a salire verso la cupola.
La stanza circolare era piena di una gelida nebbia biancastra che tuttavia non offuscava le file di bare allineate. Dalle lampade del soffitto pioveva una luce fievole simile a un chiaro di luna verde. Al centro del pavimento c’era un piedestallo sormontato da un grosso emisfero di cristallo. Senza che glielo avessero detto, Jerome sapeva che doveva arrivare al piedestallo. Camminava come in sogno e come in sogno si avvicinò al piedestallo e vide che sulla piatta superficie superiore era inserito un disco di platino. Come in sogno si sfilò il guanto sinistro.
L’anello d’opale del Thrabben scivolò senza difficoltà dal suo dito e lui lo depose sul disco.
Non percepì rumori, non vi fu alcuna visibile conseguenza della sua azione, ma l’agitazione, il tumulto, il quasi udibile fragore del conflitto finirono di colpo.
Belzor è morto , pensò senza provare emozione. Si voltò per raggiungere il gruppo in attesa all’ingresso, ma il peso del corpo gli divenne d’un tratto insopportabile, e l’attrazione gravitazionale della Terra ebbe finalmente la meglio.
Jerome incespicò e cadde in ginocchio, e attese impotente che Nordenskjöld e un altro si precipitassero ad aiutarlo. Lo rimisero in piedi e lo trasportarono nell’atrio.
Jerome cercò di sorridere mentre Nordenskjöld lo aiutava a sedersi su una sedia. «Non credevo… di essere così debole. Non so se potrò resistere ancora per molto.»
«Non sarà necessario» gli disse Nordenskjöld. «Vi ricompenseremo.»
«Ma non vedo come…»
Provò per un attimo quel particolare dolore, e poi si ritrovò in ginocchio nella neve accanto alla scalinata che portava alla cupola. Si alzò, e anche nel tumulto dello shock e della confusione, ebbe modo di accorgersi che non aveva fatto nessuna fatica. Stringeva qualcosa di pesante nella destra. Guardò: era il fucile e, cercando di esprimere l’inesprimibile, lo scagliò lontano nella neve.
Corpo ed anima si erano riuniti, e lui si sentiva a posto. Non esisteva niente nell’universo capace di compensare la perdita di quella sensazione. Si voltò per avviarsi verso la cupola, e si accorse che anche senza occhiali aveva una vista perfetta. Era arrivato all’ultimo gradino quando Nordenskjöld emerse dal buio rettangolo dell’ingresso.
«Non dovete fermarvi ancora qui, Rayner» disse Nordenskjöld prendendolo per un braccio e avviandosi verso la gradinata. «L’aereo è a vostra disposizione e potete partire appena avrà fatto rifornimento.»
«Un momento!» Jerome rifiutò di muoversi. «Non potete sbarazzarvi così di me.»
«Abbiamo usato, e anche abusato, di voi» disse l’altro in tono solenne, «ma siete anche stato ricompensato. Belzor non mentiva circa le condizioni in cui si trovava una volta il vostro corpo, ma adesso è perfetto, naturalmente, quanto può esserlo un corpo umano…»
«Non alludevo a questo» lo interruppe Jerome. «Cosa ne sarà di… tutto ? I Quattromila si sono reincarnati? Si metteranno in contatto con le Nazioni Unite? E cosa…?»
«Calma!» lo esortò sorridendo Nordenskjöld. «Noi non vogliamo precipitare le cose… non dopo aver pazientato per migliaia di anni. La presenza dei Quattromila sulla Terra rimarrà segreta finché i tempi non saranno maturi. Potranno lavorare meglio così, senza cambiare radicalmente il vostro mondo. Sono sicuro che converrete anche voi che questo è il sistema migliore.»
Jerome non era soddisfatto. «E tutti quelli che vivono su Mercurio? Mi avevano detto che si stava preparando un imponente programma spaziale per trasportarli qui.»
«Anche questo sarà attuato a tempo debito. Verrà divulgata la notizia che l’astronauta salvato su Mercurio è morto per arresto cardiaco, ma che prima di morire aveva dichiarato di esser nato in una colonia sotterranea di quel pianeta. La tuta e la radio dorriniane verranno fatte esaminare da chi di dovere. Tutto questo susciterà abbastanza interesse da allestire altre missioni per Mercurio, dopo di che tutto si evolverà naturalmente.»
«Non può funzionare» obiettò Jerome. «Anche se i dorriniani non diranno niente dei Quattromila, e di come sono arrivati qui, i terrestri che riporterete indietro lo grideranno ai quattro venti.»
Nordenskjöld scosse la testa: «No, Rayner. Diranno solo quello che i Quattromila vorranno che dicano. Ricorderanno solo quello che i Quattromila vorranno che ricordino.»
«I Quattromila sono in grado di esercitare un tale controllo su tante persone contemporaneamente?»
«Certamente. È una cosa semplicissima.»
«Mi pare che tutto questo porti alla conclusione che mi succederà qualcosa» disse Jerome, non ancora persuaso.
«Non allarmatevi, Rayner» lo rassicurò con grande gentilezza Nordenskjöld. «Noi siamo un popolo molto etico.»
Era una bella giornata a Whiteford, e la città era illuminata da un vivido sole e circonfusa da quell’alone di sicurezza, equilibrio e comodità caratteristiche delle piccole città nelle mattinate estive.
Jerome andò alla finestra del suo ufficio e rimase per un momento a guardare il traffico di Mayflower Square attraverso le chiome degli alberi. Era sfacciatamente troppo presto per pensare di far vacanza per il resto della giornata, ma nei pochi mesi trascorsi dal suo matrimonio con Anne Kruger e dalla sua nomina a condirettore dell’ Examiner il lavoro era molto diminuito. Gli argomenti di interesse mondiale, come il drammatico e improvviso accordo sul disarmo nucleare, non erano di pertinenza dell’ Examiner , e la cronaca nera locale era pressoché inesistente.
«Pensi a quello che sto pensando io?» Anne Kruger gli cinse la vita e posò la testa sui robusti muscoli della sua schiena.
«Sì, ma siamo andati al lago martedì» obiettò lui. «Dovremmo lavorare tutta la settimana, una volta tanto.»
Anne rise. «Ricordami di comprarti una scatola di pillole anti-puritane. Vado a parlare con Bernard. Sono sicura che non gli seccherà di pensare lui a tutto.» Si staccò da Jerome e andò a cercare il vicedirettore.
Jerome sedette alla scrivania in attesa del suo ritorno, e spinto dall’impulso aprì un cassetto e ne trasse una cartelletta che portava la scritta QUICKSILVER.
I lettori dell’ Examiner tendevano a interessarsi di più ai risultati delle esposizioni locali di fiori che non ai voli spaziali, ma lui aveva raccolto una collezione di ritagli relativi alla Quicksilver e al suo sensazionale ritorno sulla Terra.
Ricordava come fosse rimasto incredulo quando, verso la fine di gennaio, si era diffusa la notizia che l’astronauta salvato aveva asserito di far parte di una colonia umana stabilitasi su Mercurio in epoca preistorica. Il misterioso spaziale era morto per collasso cardiaco poco dopo l’arrivo sulla Terra, ma aveva fatto in tempo a convincere qualcuno che diceva la verità.
L’interesse di tutto il mondo era stato tale che i tre principali membri del club spaziale, USA compresi, stavano allestendo nuove spedizioni dirette verso il primo pianeta.
Jerome aprì la cartelletta e sfogliò i ritagli finché non ebbe trovato una fotografia dell’astronauta morto. Aveva studiato più volte quella faccia barbuta da Cristo, chiedendosi perché continuasse ad affascinarlo. Nel suo intimo era sicuro che si trattasse di un russo che, dopo aver passato indicibili peripezie su Mercurio aveva finito con l’impazzire, ma una parte nascosta di lui si rifiutava di crederlo.
«Tutto a posto. Ho parlato con Bernard» disse Anne rientrando nell’ufficio. «Possiamo far vacanza per il resto della giornata.»
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