Bob Shaw - Autocombustione umana

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Autocombustione umana: краткое содержание, описание и аннотация

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Nella cittadina americana di Whiteford una ragazza va in cucina a preparare il caffè lasciando il padre seduto nella sua poltrona. Quando ritorna dopo pochi minuti, la stanza è piena di fumo ma non c’è più incendio: ciò che è bruciato (dall’interno) e ridotto in finissima cenere, è soltanto suo padre. Si scopre allora che testimonianze più o meno credibili sul fenomeno del CUS (Combustione Umana Spontanea) si erano avute fin dall’antichità. E pochi giorni dopo, nella stessa cittadina — un secondo caso si verifica sotto gli occhi dello stesso scettico giornalista che sta indagando sul primo. L’“autocombustione umana” è ormai un fatto accertato. Resta solo da spiegare chi o che cosa “si nasconda” dietro il mostruoso fenomeno.

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«Ma se Dougan e McVattelapesca sono terrestri… Si ricorderanno la mia faccia.»

«No» intervenne Simm. «Ricorderanno solo quello che noi vorremo. Ma poiché non possiamo tenere sotto controllo anche gli altri che ti hanno visto, l’inganno reggerà solo per uno o due giorni… ma dovrebbero bastare. Su, lascia che ti aiuti a sfilare il cappotto.»

«Un momento» disse Jerome. «E io? Cosa ne sarà di me?»

«Ti abbiamo portato abiti e biancheria adatti alla tua corporatura. Cy Rickell ti accompagnerà a un aeroporto privato vicino a Grand Forks, a un’ora da qui. Un aereo della CryoCare è in attesa di portarti in volo a Amity. Dovrà seguire una rotta lungo i due continenti americani, perché non possiamo rischiare che l’aereo precipiti in mare, ma il viaggio non durerà più di…»

«Basta!» Jerome, disperato, alzò la sinistra mostrando l’anello. «Ne ho abbastanza… Ho già fatto abbastanza. Non voglio andare nell’Antartide. Qualcun altro si prenda l’anello… Non voglio più saperne di questo maledetto coso!»

«Per favore, Rayner, non parlare così.» Simm lanciò un’occhiata a Voegle che si era immobilizzato nell’atto di togliersi la camicia. «Non parlare così del Thrabben.»

«Scusatemi» disse Jerome. «Ma parlavo sul serio. Deve portarlo qualcun altro.»

«Ma sei tu il Portatore del Thrabben. Ha accettato te, e adesso tu sei lo strumento diretto dei Quattromila. Hai mai provato a sfilare l’anello?»

«No.» Improvvisamente Jerome trovò strano che non avesse mai cercato di farlo.

«Prova adesso.»

«Bene!» Jerome afferrò col pollice e l’indice il cerchietto di platino… e lasciò subito ricadere la mano.

Non aveva sentito niente, né una scossa, né una comunicazione telepatica, ma aveva capito che l’anello doveva restare infilato al suo dito. Era una certezza assoluta, semplice come le certezze dei bambini. L’anello doveva restare dov’era.

«Non è giusto» protestò. «Perché vi comportate così? Se volete che porti il Thrabben a Amity, perché non mi ipnotizzate, facendo di me uno zombie, o persuadendomi che vado da qualche parte in vacanza? Perché devo aver paura?»

«Noi siamo un popolo etico» disse Simm, in tono persuasivo e gentile. «Non vogliamo privarti del libero arbitrio e neppure trasformarti in una macchina biologica. Secondo noi, è più leale lasciarti la libera scelta.»

«Ma davvero? Magnifico!» esclamò con amarezza Jerome. «Mentre voi ve ne state con le mani in mano a congratularvi per la vostra sublime etica, io devo vedermela con Belzor!»

« Belzor! » esclamò Simm con un misto di sorpresa e piacere. «Perdonami, Rayner. È stato criminale da parte mia non dirtelo subito, ma eravamo tutti sotto pressione.»

Jerome guardò prima uno poi l’altro. «Cosa ne è di Belzor?»

«È morto» disse Simm tranquillamente. «Il Principe è morto.»

13

Jerome dormì quasi sempre durante il volo verso l’Antartide, ma, sebbene non temesse più per la sua vita, il suo sonno fu turbato da sogni stranamente pessimistici.

Gli avevano raccontato che un gruppo di una ventina di dorriniani, violando il loro codice di non violenza, si fossero armati e avessero dato la caccia al Principe Belzor. L’avevano trovato in un bivacco ben equipaggiato in prossimità del lato sud del Condominio Amity. Sebbene fossero già passati tre giorni dalla morte di Marmorc, il Principe si trovava ancora in uno stato semi-catalettico, talmente svuotato di energie vitali da non essere in grado di opporre una difesa telepatica. Un dorriniano gli aveva iniettato aria nel sangue, causando in meno di trenta secondi la cessazione della già ridotta attività cardiaca. Il corpo, apparentemente morto per cause naturali, era stato messo su un mucchio di neve accumulata dal vento a più di un chilometro dalla tenda. Sebbene fosse l’inizio della primavera nell’Antartico, in quella parte della Terra di Graham era in atto una violenta bufera e il termometro segnava –18. Ben presto la neve aveva coperto il corpo, e i dorriniani erano tornati alla CryoCare dove si erano poi divisi.

«Noi siamo stati molto fortunati» aveva detto Paul Nordenskyöld a Jerome. «Non abbiamo subito perdite, ma le cose sarebbero andate diversamente se il Principe fosse stato in possesso delle sue facoltà.»

Nordenskiöld, portavoce della dozzina fra uomini e donne a bordo dell’aereo, si era tenuto discretamente in disparte per la maggior parte del tempo, per permettere a Jerome di riposare e adattarsi alle nuove circostanze. La notizia della morte di Belzor gli aveva procurato un enorme sollievo, ma nonostante questo era ancora preoccupato e inquieto. Adesso che il più tormentoso dei suoi assilli, la paura di Belzor, era svanito, avevano preso il sopravvento i timori per il futuro immediato e per quello più lontano.

L’opale che portava al dito era un bel gioiello, la storia dei Dorriniani e del loro sogno era un’epopea di grandiosità e coraggio, la parola “reincarnazione” era circonfusa da un alone etereo e spirituale, ma al di sotto di queste nobili astrazioni esistevano ben diverse realtà. Realtà come quattromila corpi ibernati di persone malate di mali incurabili. Jerome stava recandosi a uno strano appuntamento con quei corpi — cadaveri? — per portar loro il dono della vita. Ma quale vita? I Dorriniani erano convinti che tutte le nazioni della Terra avrebbero accettato la loro presenza, ma a Jerome pareva di vedere il bagliore delle aurore australi ravvivato dalle esplosioni nucleari. In un mondo dove sterminio e morte erano all’ordine del giorno come punizione per chi aveva la pelle di un colore diverso, quali erano le prospettive per un gruppo di alieni le cui origini erano marchiate da tutti i tabù mortali noti all’umanità?

E poi, quali erano le sue prospettive personali? Quale poteva essere il futuro di un emaciato gigante, schiacciato da un peso due volte e mezzo superiore a quello naturale?

Come avrebbero trattato quel traditore dell’umanità?

Ma com’è possibile che questo sia successo proprio a me? Jerome si pose questa domanda durante il volo. Una catastrofe dovrebbe essere la conseguenza di un errore irreparabile, mentre tutto quel che io ho fatto è stato fermarmi a una villetta in periferia a Whiteford mentre andavo al lavoro. Se solo avessi proseguito…

«Atterreremo fra dieci minuti circa» disse Nordenskjöld, svegliando Jerome dal suo inquieto dormiveglia. Nordenskjöld aveva la carnagione scura, e i capelli neri ricci che lo facevano sembrare più un italiano che un nordico. Come gli altri, portava anche lui il distintivo “CC”, simbolo della CryoCare.

«Grazie.» Jerome si alzò a fatica e guardò l’orologio inserito in un pannello. Erano le 14.08.

Nordenskjöld gli porse una tuta imbottita e Jerome rabbrividì al pensiero che stava per avventurarsi nel freddo polare. «Prima di infilarmela potrei avere un altro brandy?»

«Naturalmente.» Nordenskjöld andò al mobile bar e tornò con un bicchiere di brandy. Jerome, che aveva bevuto raramente alcolici anche nella prima parte della sua vita, aveva chiesto di bere qualcosa di forte, senza pensarci, appena erano partiti, nella speranza di trovare un po’ di conforto nel calore del brandy, ma i suoi sensi dorriniani si erano ribellati al sapore. Questa volta la reazione fu meno forte e riuscì a ingollare tre lunghe sorsate prima che lo stomaco tentasse di ribellarsi.

Restituì il bicchiere, grato per il calore che sentiva diffondersi in lui, e s’infilò non senza fatica la tuta.

«Sentite, devo partecipare a una spedizione?» chiese, mentre un altro gli porgeva un paio di stivali termici con la suola spessa.

«Dovrete percorrere solo un breve tratto da un veicolo che vi trasporterà fin là, all’ingresso della Criocupola, ma la temperatura è di meno trenta» disse Nordenskjöld. «E all’interno della cupola è pressappoco uguale.»

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