Poi mi lasciò.
Verso sera tornai al mio alloggio. Olmayne non era nella sua stanza. Un Servitore m’informò che era stata fuori tutto il giorno. L’aspettai sino a tardi; poi feci la comunione e m’addormentai, e all’alba sostai un attimo davanti alla sua porta. Era chiusa a chiave. Mi affrettai verso la casa del rinnovamento.
Il Rinnovatore Talmit mi venne incontro sulla soglia e mi guidò lungo un corridoio a piastrelle verdi, fino alla prima vasca di rinnovamento. — Il Pellegrino Olmayne — m’informò — ha ottenuto il rinnovamento, e sarà qui oggi stesso, tra qualche ora. — Questa sarebbe stata l’ultima allusione alle vicende di un altro essere umano che avrei udito per diverso tempo. Talmit mi fece entrare in una stanzetta dal soffitto basso, stretta e umida, rischiarata da pallidi globi di luce-schiava; nell’aria aleggiava un debole profumo di germogli schiacciati di fiordimorte. Mi vennero tolti saio e maschera, e il Rinnovatore mi coprì la testa con una reticina di fine metallo color verde oro, in cui fece passare la corrente; quando tolse la rete, i miei capelli erano scomparsi, la mia testa era nuda come quei muri spogli, per semplificare l’inserzione degli elettrodi — spiegò Talmit. — Adesso puoi entrare nella vasca.
Una scala poco ripida mi portò nella vasca, che era una tinozza di dimensioni modeste. Sentii sotto i piedi la calda, morbida cedevolezza del fango, e Talmit annuì e mi disse che era fango rigeneratore irradiato; serviva a stimolare il processo di suddivisione cellulare che era alla base del rinnovamento, e io non mi opposi. Mi distesi sul pavimento del serbatoio; solo la mia testa restava fuori dal fluido viola cupo contenutovi. Il fango cullò e carezzò il mio corpo stanco. Talmit si piegò su di me, stringendo in mano quello che sembrava un fascio di fili di rame, ma quando egli appoggiò i fili al mio cranio nudo essi si sciolsero l’uno dall’altro, come dotati di vita propria, e le loro punte cercarono il mio cranio e s’infilarono nella pelle, nelle ossa, giù fino alla nascosta, circonvoluta materia grigia. L’unica sensazione che provai fu quella di lievi punture. — Gli elettrodi — spiegò Talmit — raggiungo i centri d’invecchiamento nel tuo cervello; noi trasmettiamo segnali che producono un’inversione dei normali processi di senescenza, e il suo cervello perderà nozione del senso in cui scorre il tempo. Così il tuo corpo risulterà più ricettivo nei riguardi degli stimoli ambientali che riceve valla vasca. Chiudi gli occhi. — Mi pose pose sul viso una maschera respiratoria. Mi spinse dolcemente in giù, e la mia nuca si staccò dal bordo della vasca, cosicché mi trovai a galleggiare verso il centro. Il caldo crebbe. Udii appena l’eco di suoni gorgoglianti. Immaginai che nere bolle solforose salissero dal fango, attraversassero il liquido in cui ero immerso; immaginai che ilfluido fosse diventato color del fango. E così andai alla deriva in quel mare senza onde, appena appena conscio che una corrente passava per gli elettrodi, che qualcosa mi pungeva il cervello, che ero inglobato nel fango e in quello che avrebbe potuto benissimo essere liquido amniotico. Da lontano, da molto lontano, giungeva la voce profonda del Rinnovatore Talmit che mi chiamava alla giovinezza, mi traeva indietro lungo i decenni già trascorsi, mi scioglieva dalla tirannia del tempo. Avevo in bocca un sapore di sale. Di nuovo traversavo l’Oceano Terrestre e i pirati m’assalivano e difendevo gli strumenti della Vigilanza dai loro dileggi, dai loro colpi. Di nuovo ero fermo sotto il caldo sole di Agupt, e incontravo Avluela per la prima volta. Abitai di nuovo a Palash. Tornai al mio luogo di nascita nelle isole occidentali dei Continenti Scomparsi, in quella che una volta era stata l’Usa-amrik. Vidi Roum crollare per la seconda volta. Frammenti di ricordi venivano a galla nel mio cervello ammorbidito. Non esisteva una logica, uno svolgersi razionale degli eventi. Ero bambino. Ero un vecchio stanco. Ero tra i Ricordatori. Visitavo i Sonnambuli. Vedevo il Principe di Roum procurarsi nuovi occhi da un Artefice di Djion. Trattavo col Procuratore di Perris. Muovevo i comandi dei miei strumenti ed entravo nello stato di Vigilanza. Mangiavo cibi deliziosi che venivano da un mondo lontanissimo: aspiravo profondamente il profumo della primavera di Palsh; rabbrividivo nell’inverno personale di un vecchio; nuotavo in un mare agitato, ilare e felice; cantavo; piangevo; resistevo alle tentazioni; cedevo alle tentazioni; litigavo con Olmayne; abbracciavo Avluela; sperimentavo una rapida successione di notti e giorni, mentre il mio orologio biologico si muoveva secondo strani ritmi di regressione e accelerazione. Mi assalivano illusioni. Pioveva fuoco dal cielo; il tempo fuggiva in varie direzioni; diventavo minuscolo e poi enorme. Udivo voci che parlavano con sfumature scarlatte e turchese. Una musica dentata scintillava su lontani crinali. Il suono a martello del mio cuore era aspro e possente. Ero intrappolato tra due battiti successivi del mio cervello, tenevo le braccia schiacciate contro i fianchi per occupare meno spazio possibile mentre continuava a pulsare, pulsare, pulsare. Le stelle battevano, si contraevano, si fondevano fra loro. Avluela mormorava dolcemente: — Sono gli indulgenti, benevoli impulsi della Volontà che ci fanno guadagnare una seconda giovinezza, non le buone azioni individuali che abbiamo compiuto in vita. — Olmayne diceva: — Come divento sinuosa! — Talmit diceva: — Queste oscillazioni della percezione indicano solo la dissoluzione del desiderio di autodistruzione collocato nel cuore del processo d’invecchiamento. — Gormon diceva: — Queste percezioni di un’oscillazione indicano solo l’autodistruzione del desiderio di dissoluzione collocato nel processo d’invecchiamento del cuore. — Il Procuratore Governatore dell’Uomo Sette diceva: — Siamo stati mandati su questo mondo per essere lo strumento della vostra purificazione. Noi siamo i mezzi di cui si serve la Volontà. — Rivendicatore Diciannove diceva: — D’altra parte, mi sia concesso di dissentire. L’incontro tra il nostro destino e quello della Terra è una semplice coincidenza. — Le mie palpebre pesavano come pietra. Le minuscole creature che includevano i miei polmoni cominciarono a fiorire. La mia pelle si squamava, scoprendo fili di muscoli tesi sulle ossa. Olmayne diceva: — I miei pori si restringono. La mia pelle si tende. I miei seni rimpiccioliscono. — Avluela diceva. — Più tardi volerai con noi, Tomis. — Il Principe di Roum si copriva gli occhi con le mani. Le torri di Roum ondeggiavano ai venti del sole. Ghermivo la sciarpa di un Ricordatore che passava. Clown piangevano nelle strade di Perris. Talmit diceva: — Adesso svegliati, Tomis, esci del tuo sogno, apri gli occhi.
— Sono giovane di nuovo — risposi.
— Il tuo rinnovamento è appena cominciato — disse.
Non riuscivo più a muovermi. Gli inservienti mi afferrarono e mi coprirono di tele porose; mi adagiarono su un carrello mobile e mi portarono in una seconda vasca, molto più grande, in cui fluttuavano dozzine di persone, ciascuna chiusa nel suo sogno personale. I loro crani nudi erano pavesati di elettrodi; i loro occhi coperti da nastri rosa; le loro mani tranquillamente adagiate sul petto. Entrai in quella vasca, e questa volta non ci furono illusioni; solo un lungo sonno senza sogni. Fui svegliato da uno sciaguattio d’onde e mi trovai a percorrere, a piedi in avanti, uno stretto condotto; emersi in un serbatoio chiuso, dove respirai solo fluido, e dove rimasi per qualcosa di più d’un minuto e per qualcosa di meno d’un secolo, mentre sbucciavano la mia anima di strati su strati di peccato. Fu un lavoro lungo, assillante. I Chirurghi operavano a distanza, le mani infilate in guanti che controllavano piccoli bisturi mobili, e mi liberavano dal male con un taglio e un taglio e un taglio di quelle lame minuscole, strappando da me colpe e tristezze, gelosia e rabbia, orgoglio, lussuria e impazienza.
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