«Scrivi» mi ordinò. «Ti torna tutto in mente, quando lo metti per iscritto. Sollecita la memoria.»
Tacque. Ascoltammo gli ululati del vento. Un ramo batté rumorosamente contro la parete. Tom afferrò il lenzuolo che gli copriva le gambe, lo strinse, lo torse. L’orlo era tutto sfilacciato.
«Hai male?» chiesi.
«No.» Ma continuò a torcere il lenzuolo e guardò la parete, non me. Sospirò alcune volte. «Pensi che io sia molto vecchio, no, ragazzo?» La voce era debole.
Lo fissai. «Sei molto vecchio.»
«Sì. Ho vissuto una vita intera, nei vecchi tempi, avevo 45 anni, il Giorno… per cui ora ne ho 108, giusto?»
«Sì, certo. Lo sai meglio di tutti.»
«E sembro proprio un centenario, lo sa Iddio.» Trasse un respiro profondo, trattenne il fiato, lo lasciò uscire. Notai che ancora non aveva tossito, da quando ero arrivato: forse il vento secco lo aiutava. Ero sul punto di dirlo, quando lui riprese.
«Ma se non lo fossi?»
«Come?»
«Se non fossi così vecchio?»
«Non capisco.»
Sospirò, cambiò posizione sotto il lenzuolo. Chiuse gli occhi per un poco. Pensai che si fosse addormentato. Riaprì gli occhi.
«Voglio dire… ho allungato un poco la mia età.»
«Ma… com’è possibile?»
Spostò lo sguardo a fissarmi in viso, con occhi castani, lucidi e imploranti. «Quando le bombe scoppiarono, Henry, avevo 18 anni. Ti dico la verità per la primissima volta. Devo, finché ne ho l’occasione. Dovevo andare in quella scuola di cui abbiamo visto le rovine sulle scogliere, a sud. Andai a fare una gita nella Sierra, l’estate prima; accadde proprio allora. Quando avevo 18 anni. Così ora ne ho… ne ho…» Batté rapidamente le palpebre varie volte di seguito, scosse la testa.
«Ottantuno» dissi, con voce secca come il vento.
«Ottantuno» ripeté lui, in tono sognante. «Abbastanza vecchio, ed è la verità! Ma sono solo cresciuto, nei vecchi tempi. Il resto non è vero. Volevo dirtelo, prima d’andarmene.»
Lo fissai, lo fissai. Mi alzai, girai per la stanza, finii ai piedi del letto, da lì lo fissai ancora. Mi sembrava di non riuscire a metterlo a fuoco. Lui smise di guardarmi in faccia, si scrutò a disagio le mani chiazzate.
«Pensavo solo che dovevi sapere qual è stato il mio compito» disse, in tono di scusa.
«E sarebbe?» chiesi, intontito.
«Non lo sai? No. Be’… fare in modo che ci fosse in giro uno che era vissuto nei vecchi tempi, che li conosceva bene, anche… è importante.»
«Ma se in realtà non ci eri vissuto!»
«Inventare. Oh, c’ero. Sono vissuto nei vecchi tempi. Non molto, e senza capirli, all’epoca… ma c’ero. Non ho mentito completamente. Ho solo esagerato.»
Non ci credevo. «Ma perché?» esclamai.
Rimase in silenzio per un periodo lunghissimo. Il vento ululava d’angoscia al posto mio.
«Non so come dirlo» riprese stancamente. «Per mantenere un appiglio su quella parte del passato che ha valore, forse? Per mantenere alto lo spirito di noi tutti. Come fa quel libro. Non sono sicuro se l’ha fatto o meno. Può darsi che un Glen Baum abbia fatto il giro del mondo; può darsi che Wentworth l’abbia scritto lì nella sua tipografia. Non importa… ora è vero, perché c’è il libro. Un americano intorno al mondo. Ne avevamo bisogno, anche se era una bugia, capisci?»
Scossi la testa, incapace di parlare. Tom sospirò, guardò dall’altra parte, batté leggermente la testa contro il bidone. Un milione di pensieri mi si affollava nella testa, eppure dissi una cosa che non avevo pensato, in tono pieno di delusione. «Allora non hai veramente incontrato il tuo doppio.»
«No. L’ho inventato. Ho inventato un mucchio di cose.»
«Ma perché, Tom? Perché?» Ripresi ad andare avanti e indietro per la stanza, così non mi avrebbe visto piangere.
Non rispose. Pensai a tutte le volte che Steve l’aveva chiamato bugiardo, a quanto spesso avevo difeso il vecchio. Da quando ci aveva mostrato la fotografia della Terra vista dalla Luna, gli avevo creduto, avevo creduto a tutte le sue storie. Avevo deciso che diceva la verità.
Con voce che percepivo appena, Tom disse: «Siedi, ragazzo. Siediti qui.» Ubbidii. «E ora ascolta. Sono sceso e ho visto, capisci? Capisci? Ero fra le montagne, te l’ho detto. Questa parte della storia era vera. Tutte le bugie erano vere. Fra le montagne, per una gita da solo. Non sapevo nemmeno che le bombe fossero esplose, ci credi?» Scosse la lesta, come se non ci credesse ancora adesso. E all’improvviso capii che mi raccontava cose mai dette a nessuno. «Era una giornata magnifica, arrivai fin sopra passo Pinchot, ma quella notte il fumo oscurò le stelle. Niente stelle. Non lo sapevo, ma sapevo. E scesi e vidi. Ogni persona di valle Owens era impazzita; la prima che incontrai mi disse perché. E quel momento… oh, Hank, grazie a Dio tu non dovrai mai vivere quel momento. Impazzii come tutti gli altri. Avevo poco più della tua età. E tutti erano morti, tutti quelli che conoscevo. Ero pazzo di dolore, mi si spezzò il cuore, a volte penso che non sia mai guarito…»
Deglutì con forza. «Ora capisco perché non ne parlo.» Con la testa sbatté contro il bidone, mosse le palpebre per schiarirsi la vista. In un sussurro feroce disse: «Ma devo parlarne, devo, devo, devo» sbattendo piano la testa, bong, bong, bong.
«Smettila, Tom.» Gli misi la mano sulla nuca, contro quel risonante tamburo metallico. Aveva i capelli madidi. «Non hai bisogno di parlare.»
«Devo» mormorò. Mi sporsi per sentire. «Sulle prime, non ci credetti. Ma la corriera non passava, e capii. Sputai l’anima a camminare e a fare l’autostop con dei pazzi, per tornare a casa; ma quando scesi la cinque, dappertutto c’erano ancora colonne di fumo in tutta la città. Allora seppi che era vero; avevo paura delle radiazioni, non andai a vedere casa mia. Mi rifugiai fra le montagne, saccheggiai e frugai nelle macerie per procurarmi il cibo. Per quanto tempo, non so; perdetti il senno; ricordo solo lampi come fiamme tra il fumo. Ammazzai. Tornai in me in una baracca fra i monti e seppi che dovevo vedere, per credere che fossero tutti morti. I miei familiari, capisci? Ormai me ne fregavo delle radiazioni, non me ne ricordavo nemmeno. Tornai all’Orange County; e qui, oh, oh…» Continuò a torcere il lenzuolo. Gli bloccai la mano. Era febbricitante.
«Questo non posso raccontarlo» bisbigliò. «Era… male. Scappai, venni qui. Montagne disabitate. Ero sicuro che tutto il mondo era distrutto, mondi d’insetti e d’esseri umani morenti sulle spiagge. Nei momenti di speranza, mi auguravo che fosse successo solo a noi e alla Russia, all’Europa e alla Cina. E che gli altri paesi alla fine ci portassero aiuto, ah, ah.» Quasi soffocò, mi si aggrappò alla mano. «Ma nessuno sapeva. Nessuno sapeva niente, a parte quel che si vedeva. Vidi montagne deserte. Sapevo solo questo. I marines le avevano tenute pulite. Vidi che potevo vivere fra quelle montagne senza impazzire, se riuscivo a non farmi uccidere da qualcuno e a non morire di fame. Se era possibile. Ma qui c’era la valle e sapevo che era possibile. E non misi mai più piede nell’Orange County.»
Gli strinsi la mano; sapevo che da allora c’era andato.
Quasi a contraddirmi, disse: «Mai, fino a oggi.» Mi tirò la mano, mormorò in fretta: «È male, è male. Li hai visti ai raduni, gli sciacalli, in loro c’è qualcosa di sbagliato, occhi affetti da glaucoma corneale, qualcosa scoppiato dentro… c’è qualcosa di sbagliato nei loro occhi, la vita nelle rovine li fa impazzire. Matti come cavalli. E non è una sorpresa. Devi stare lontano da lì, Henry. So che ci sei stato, di notte. Ma dammi retta, ora, non salirci più, è male, male!» Si sporgeva dal guanciale verso di me, tutt’e due le mani dalla mia parte del letto per tenersi sollevato, il volto teso e madido. «Promettimi di non andarci, ragazzo.»
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