«Sì, Tom. Tom! Calmati, ti supplico.» Ero in piedi, lo trattenevo per le spalle, mi chinavo su di lui, sconvolto dal suo delirio. Si dibatté per riprendere a parlare. Gli tappai la bocca. Lottò per respirare, tolsi via la mano. «Dici cose insensate» lo rimproverai. La lampada tremolò, la nostra ombra ondeggiò contro i cerchi neri delle pareti, il vento ululò oltre l’angolo. «Ti affatichi troppo a parlare a vanvera. Ascoltami, ora, mettiti disteso. Per favore. Doc s’arrabbierà, se ci scopre. Non hai la forza per continuare a questo modo.»
«Ma devo» bisbigliò.
«Buono, buono. Lascia sbollire i pensieri, calma, calma.»
Finalmente parve udire le mie parole. Si abbandonò all’indietro. Mi asciugai dalla fronte il sudore, tornai a sedermi. Mi sentivo come se avessi corso chilometri e chilometri. «Cristo, Tom.»
«Va bene» disse. «Mi calmo. Ma dovevi sapere.»
«So che sei sopravvissuto. Ora hai superato quel momento, non mi serve sapere altro. Non voglio sapere altro.» E l’intendevo sul serio.
Scosse la testa. «Devi saperlo.» Si rilassò contro il guanciale. Bong, bong, bong, bong, bong, bong.
«Smettila, Tom.»
Smise. Il vento riprese forza, riempì il silenzio. Whoooo, whoooooo, whooooooooooo.
«Sì, starò zitto» disse piano. La tensione era scomparsa dalla voce. «Non vorrei che Doc s’infuriasse con me.»
«No, infatti» dissi, serio. Ero ancora spaventato; il cuore mi batteva all’impazzata. «E poi, devi cercare di conservare le energie che ti restano.»
Scosse la testa. «Sono stanco.» Il vento ululava come se volesse sollevarci e sbatterci a terra. Il vecchio mi guardò. «Non andrai lassù, vero? L’hai promesso.»
«Ah, Tom» dissi. «Una volta o l’altra dovrò andarci, lo sai.»
Si accasciò sul guanciale, fissò il soffitto. Dopo un poco parlò in tono molto calmo. «Quando impari cose abbastanza importanti da avere voglia d’insegnarle, sembra sempre possibile. Ogni cosa è così chiara, dato quel che hai passato… le immagini sono lì, a volte perfino le parole adatte a esprimerle. Ma non funziona. Non puoi insegnare quel che le parole hanno insegnato a te. Tutti i trucchi della retorica, la forza della personalità, la falsa autorità dell’essere maestro, o la finzione d’essere enormemente vecchio… nessuna di queste cose basta a scavalcare l’abisso. E nient’altro basterebbe.»
“Così, ho fallito. Quel che ho finito per insegnarvi era senza dubbio l’opposto esatto dei miei scopi. Ma non c’è rimedio. Tentavo di fare l’impossibile e così mi sono… confuso.”
Scivolò sul cuscino, giacque disteso sulla schiena. Si coprì con il lenzuolo, tanto da dare l’impressione che si sarebbe addormentato da un momento all’altro, perché teneva gli occhi chiusi e respirava profondamente, come un uomo esausto. Ma allora un occhio castano si aprì e mi fissò, mi trafisse. «Riceverai l’insegnamento da qualcosa di forte come questo vento, ragazzo, che ti afferrerà e ti soffierà a mare.»
PARTE QUARTA
Orange County
Fuori era buio, il vento ululava. Mi fermai accanto alla panca di tronchi nell’orto: il vento frustava la cima delle piante di patata, mi sferzava. A ovest il Cuchillo sporgeva nell’ultimo azzurro del cielo prima del nero della notte. Tutto sembrava diverso: quasi che, uscendo dalla casa di bidoni, fossi entrato in un altro tempo, dove il vento dilaniava la terra come le bombe. Le raffiche mi strapparono il respiro, me lo ricacciarono in gola. Cercai di riprendermi.
«Sei pronto?» disse bruscamente Steve. Sobbalzai. Lui, Mando e Gabby erano dietro di me. Impossibile, nel vento, udire chi si avvicinava.
«Bello scherzo!» mi lamentai.
«Andiamo.»
Mando disse: «Devo vedere che papà sia sveglio per badare a Tom.»
«Tom è sveglio» dissi. «Lo chiamerà lui, se ne avrà bisogno. Se svegli tuo padre, dove gli dici che vai?»
Nel buio, il viso indistinto, a disagio, di Mando.
«Andiamo» insistette Steve. «Se vuoi venire, cioè.»
Senza una parola, Mando si avviò per il sentiero verso la valle. Lo seguimmo. Nei boschi il vento si ridusse a una raffica qua e là. Gli alberi scricchiolavano, gemevano, brontolavano. Salimmo sul Basilone, girando alla larga della casa degli Shanks. Attraversammo le fondamenta coperte d’erbacce, arrivammo all’autostrada, allungammo il passo. Abbastanza rapidamente ci trovammo nella valle San Mateo e al di là del posto dove avevo affrontato Add. Steve si fermò; aspettammo che decidesse cosa fare.
«In teoria dovremmo incontrarli dove l’autostrada attraversa il fiume» disse Steve.
«Meglio continuare, allora» rispose Gabby. «È abbastanza lontano.»
«Lo so, però… ho l’impressione che non dovremmo andare dritti lì. Non mi sembra il modo giusto di procedere.»
«Scendiamo qui» intervenni. «Può darsi che ci aspettino e abbiamo un bel pezzo da percorrere.»
«D’accordo…»
Ci tenemmo vicini, in modo che ciascuno udisse gli altri nonostante il vento. Una palla d’erba mobile rimbalzò lungo l’autostrada; Mando fece uno scarto. Steve e Gabby risero.
«Pericoloso, quel cespuglio» disse Gabby.
Mando non rispose e passò avanti. Lo seguimmo fino al San Mateo. Sulla riva del fiume non c’era nessuno.
«Ci vedranno e ci segnaleranno dove si trovano» ipotizzai. «Hanno bisogno di noi e sanno che saremo sull’autostrada. Forse si nascondono.»
«Vero» concesse Steve. «Forse bisognerebbe attraversare…»
Una vivida luce ci illuminò, da sotto il terrapieno dell’autostrada. Dagli alberi provenne una voce: «Non muovetevi!»
A occhi socchiusi fissammo la luce intensa. Mi ricordava quando i giapponesi ci avevano sorpresi, in mare; sentivo il cuore martellare, come se volesse saltare via per conto suo.
«Siamo noi!» gridò Steve. Gabby ridacchiò sotto i baffi. «Da Onofre.»
La luce si spense, lasciandomi cieco. Fra il rumore del vento, un mormorio.
«Bene.» Una sagoma si stagliò contro l’autostrada, dalla parte del mare. «Scendete qui.»
A tentoni scendemmo la scarpata, finimmo tutti insieme contro un fitto cespuglio. Intorno a noi c’erano parecchi uomini. Alla base del pendio ci tirammo in piedi, in mezzo agli arbusti alti fino alla cintola. Dieci e più uomini ci attorniarono. Uno di loro si piegò ad aprire lo schermo di una lanterna a gas; gran parte della luce fu catturata dai rami più bassi della boscaglia, ma in piedi davanti alla lanterna, illuminato da un fioco raggio, c’era Timothy Danforth, sindaco di San Diego. Aveva i calzoni infangati.
«Siete in quattro?» disse, con quel suo vocione rauco e forte. Mi riportò alla mente tutti i particolari della serata trascorsa in casa sua sull’autostrada isola.
«Sì, signore» rispose Steve Nicolin.
Altri uomini si unirono a noi, sagome scure che emergevano dalla boscaglia lungo il fiume.
«Non ce ne sono altri?» chiese il Sindaco.
«No, signore» rispose Steve.
«Benissimo. Jennings, dai una pistola a questi uomini.»
Uno degli uomini, riconoscibile come Jennings solo adesso che era stato chiamato per nome, si piegò sui talloni accanto a un grosso sacco di tela.
«C’è Lee?» chiesi.
«Lee non ama questo genere di cose» rispose Danforth. «E neppure è buono a farle. Perché lo chiedi?»
«Lo conosco.»
«Conosci anche me, giusto? E Jennings, lì.»
«Certo. Semplice curiosità, tutto qui.»
Jennings diede una rivoltella a ciascuno di noi. La mia era grossa e pesante. Mi piegai a esaminarla alla luce della lanterna, reggendola a due mani. Canna di metallo nero, calcio di plastica nera. Raduni a parte, era la prima volta che impugnavo una rivoltella. Jennings mi porse un sacchetto di pelle pieno di proiettili e s’inginocchiò accanto a me. «Questa è la sicura; devi spostare la levetta in questa posizione, prima di sparare. Si ricarica così.» Girò il tamburo, per mostrarmi dove inserire i proiettili. Anche gli altri ricevevano istruzioni analoghe. Mi raddrizzai, battendo le palpebre per adattare la vista all’oscurità. Soppesai la rivoltella.
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