Tom disse: «Sì.» Si strinsero la mano. Poi i due diedero la mano a Rafael (comica, la scena), a John, a Nat, a Steve e a me. Senza darlo molto a vedere, esaminarono il locale. Tutte le donne erano vestite o avvolte negli asciugamani; restavano solo il fuoco, le vasche fumanti e alcuni uomini nudi che luccicavano come pesci fra noi con qualcosa indosso.
Il basso mosse la testa in una sorta d’inchino. «Grazie per averci fatti entrare. Veniamo da San Diego, come il signor Barnard qui presente vi spiegherà.»
Restammo a fissarli.
«Siete venuti in treno?» chiese Tom.
I due annuirono. Il magro rabbrividì. «Siamo arrivati con i carri fino a otto chilometri da qui» disse. «Abbiamo lasciato lì la nostra squadra e proseguito a piedi. Prima di sistemare altri tratti di binario volevamo parlarne con voi.»
«Pensavamo di arrivare prima» disse il basso. «Ma la tempesta ci ha rallentati.»
«Perché siete andati in giro con questo tempo, allora?» chiese John Nicolin.
Il basso esitò. «Preferiamo viaggiare quando il cielo è coperto. Così dall’alto non possono vederci.»
John piegò di lato la testa, lo fissò a occhi socchiusi. Non capiva.
«Se volete fare un tuffo nell’acqua calda» disse Tom «accomodatevi.»
Il magro scosse la testa. «Grazie, ma…» Si scambiarono un’occhiata.
«Sembra calda» osservò il basso.
«Già» disse l’altro, annuendo un paio di volte. Aveva ancora i brividi. Si guardò intorno, impacciato, poi disse a Tom: «Ci scalderemo al fuoco, se non vi dà fastidio. Abbiamo camminato sotto l’acqua e vorremmo asciugarci.»
«Certo, certo. Fate come volete, siete a casa vostra.»
John non parve molto contento della frase di Tom, ma accompagnò i due accanto al fuoco. Carmen aggiunse altra legna. Steve mi diede di gomito. «Hai sentito? Un treno per San Diego? Possiamo andare laggiù a fare un giro!»
«Credo di sì» risposi.
I due si presentarono: il magro si chiamava Lee; il basso, Jennings. Jennings si tolse il berretto, mise in mostra capelli biondi e arruffati; poi si tolse il poncho, la giacca, la camicia, gli stivali e i calzini. Stese il tutto ad asciugare; in piedi, allungò le mani verso il fuoco.
«Sono settimane che sistemiamo i binari a nord di Oceanside» ci disse. Lee cominciò a togliersi gli abiti bagnati, imitando il compagno. Jennings continuò: «Il Sindaco di San Diego ha organizzato squadre di lavoro di vario genere, e noi abbiamo il compito di migliorare le vie di comunicazione con le città circostanti.»
«È vero che San Diego conta duemila abitanti?» chiese Tom. «Lo dicevano a un raduno di scambio.»
«Sì, più o meno» annuì Jennings. «E da quando il Sindaco ha iniziato a riorganizzare le cose, abbiamo compiuto un bel po’ di progressi. I vari insediamenti sono distanziati, ma collegati da un sistema rotabile che funziona bene. Solo carrelli a mano, capite, anche se abbiamo generatori che forniscono una buona quantità di energia elettrica. Ci sono raduni di scambio ogni settimana, una flotta peschereccia, una milizia territoriale… tutte cose che c’erano una volta. Naturalmente Lee e io siamo particolarmente orgogliosi della squadra d’esplorazione. Pensate, abbiamo ripulito la Statale 8, attraverso le montagne fino al lago Salton Sea, e vi abbiamo trasferito le rotaie.» Qualcosa, nel modo in cui Lee si mosse davanti al fuoco, indusse Jennings a tacere per qualche istante.
«Il Salton Sea sarà enorme, ora» disse Tom.
Jennings lasciò rispondere Lee. Il magro annuì. «Ora è d’acqua dolce, ricco di pesci. La gente lì se la cava abbastanza bene, tenendo conto che erano rimasti quattro gatti.»
«Perché siete venuti qui?» chiese John Nicolin, bruscamente.
Mentre Lee fissava John, Jennings diede un’occhiata ai presenti. Tutti, nella stanza, lo scrutavano attentamente e ascoltavano quel che aveva da dire. Lui parve compiacersene. «Be’, abbiamo la ferrovia su fino a Oceanside» spiegò. «E le rotaie malandate proseguono a nord, per cui abbiamo deciso di rimetterle in funzione.»
«Perché?» insistette John.
Jennings piegò la testa, imitando l’atteggiamento di John. «Meglio che lo chiediate al Sindaco, l’idea è stata sua. Vedete…» e lanciò un’occhiata a Lee, quasi a chiedere il permesso di continuare. «Sapete anche voi che i giapponesi ci sorvegliano sulla costa occidentale?»
«Certo» rispose John.
«Difficile non accorgersene» aggiunse Rafael. Aveva messo via la pistola e si era seduto sul bordo della vasca.
«Ma non mi riferisco solo alle navi al largo» disse Jennings. «Parlo anche del cielo. I satelliti.»
«Le telecamere?» disse Tom.
«Certo. Avete già visto i satelliti?»
Li avevamo visti. Tom ce li aveva indicati: puntini di luce in rapido movimento, simili a stelle, che si staccavano dall’orbita e ricadevano, mentre l’universo continuava a muoversi. E ci aveva anche detto che erano muniti di telecamere. Però…
«I satelliti hanno telecamere che riescono a distinguere anche cose non più grandi di un topo» disse Jennings. «Ci tengono sul serio gli occhi addosso.»
«Uno può alzare il viso e dire «Andate al diavolo», e loro glielo leggono sulle labbra» aggiunse Lee, con una risata a denti stretti.
«Verissimo» riprese Jennings. «E di notte hanno telecamere sensibili al calore, che rilevano oggetti piccoli come questo tetto, se in una notte serena tenete acceso il fuoco.»
Qualcuno scuoteva la testa, incredulo; ma sembrava che Tom e Rafael ci credessero. Quando gli altri lo notarono, ci furono commenti rabbiosi. «Te l’avevo detto!» sbottò Doc, rivolto a Tom. Nat, Gabby e un paio d’altri guardarono il tetto, sgomenti. L’idea di essere sorvegliati così attentamente era orribile, in un certo modo.
I forestieri portano sempre qualche notizia, si dice; ma quei due erano davvero fuori dell’ordinario. Mi chiesi se Tom l’avesse sempre saputo e non si fosse mai preso la briga di raccontarcelo, oppure se anche lui era all’oscuro. Dall’espressione, si sarebbe detto che sapesse. Dubitavo che una simile sorveglianza cambiasse la situazione, in termini di vita pratica; ma certamente era orribile, un’intrusione permanente. E nel contempo, affascinante. John guardò Tom, per avere conferma. Il vecchio gli rivolse un breve cenno d’assenso. John disse: «E voi come lo sapete? E, ripeto, cosa c’entra con la vostra venuta?»
«Abbiamo appreso alcune cose da Catalina» disse Jennings, tenendosi sul vago. «Ma non finisce qui. È chiaro che la politica dei musi gialli tende anche a mantenere isolate le nostre comunità. I musi gialli non vogliono l’unificazione, su nessuna scala. Quando abbiamo portato la ferrovia sulla Statale 8 est…» si gonfiò di sdegno al ricordo «abbiamo costruito alcuni ponti grossi e robusti. Una sera, verso il tramonto, bum, li hanno fatti saltare.»
«Cosa?» esclamò Tom. Alle parole “fatti saltare” era trasalito.
«Non fanno tanta scena» disse Jennings.
Lee sbuffò nel sentire la frase. «È vero. Sempre al crepuscolo: dal cielo arriva una scia rossa e, thunk, il ponte è distrutto. Senza la minima esplosione.»
«Bruciato?» chiese Tom.
Lee annuì. «Un calore tremendo. Le rotaie fondono, il legno incenerisce all’istante. A volte nei dintorni si sviluppa un incendio, ma in genere non succede.»
«Non ci accampiamo spesso nei pressi dei ponti» ridacchiò Jennings. «Potete ben immaginarlo.» Ma nessuno rise con lui. «Comunque, quando il Sindaco l’ha saputo, è diventato matto. Voleva completare la ferrovia, e al diavolo i bombardamenti! I contatti con altri americani sono un diritto divino, ha detto. Visto che per il momento loro hanno tutte le carte vincenti, e ci bombardano appena ci scorgono, dobbiamo solo fare in modo che non ci vedano. Sono le sue parole.»
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